La giudecca e la comunità ebraica di Nicotera

Sulla giudecca di Nicotera non esiste uno studio dettagliato, nonostante alcuni autori come Oreste Dito, Gustavo Valente e Placido Antonio Carè, abbiano studiato la condizione degli ebrei a Nicotera sostenendo che, proprio in questa città, venne edificata una delle prime giudecche calabresi. A dare un contributo allo sviluppo dell'economia nicoterese fu Federico II il quale, in ragione della presenza di un porto naturale, favorì la nascita delle attività necessarie ad eseguire le riparazioni e le costruzione della flotta imperiale. Tuttavia, gli ebrei erano specializzati  nell’industria della seta, della tintoria, del cotone, della canna da zucchero e della carta. Il loro contributo abbracciava altri settori come la lavorazione delle materie prime ed il prestito di capitali. Considerato il fatto che il “giudeo” non era ben visto dalla popolazione locale, l'Imperatore fece costruire a ridosso della Cattedrale un quartiere per accoglierli dignitosamente ed ordinò che anche nell'abbigliamento si distinguessero dagli autoctoni. Nel Parlamento Generale di Messina, Federico II aveva disposto che gli ebrei portassero un segno di riconoscimento: gli uomini “lusores taxillorum  et alea rum”,  mentre le donne, abiti uguali a quelli indossati dalle prostitute. Gli ebrei di Nicotera vivevano liberamente nella Giudecca caratterizzata da strade strette, addossate l'una alle altre e con case a due piani. La vita si svolgeva nei bassi, a piano terra c’erano le botteghe artigiane, mentre al piano superiore vivevano con le famiglie. Grandi scalinate e larghi protetti dai “cafi”, tipici passaggi coperti, ancora oggi,  conferiscono al quartiere un fascino inalterato ed all'attento studioso forniscono dati sulla vita nel quartiere. Gli ebrei di Nicotera, riuniti nella “Iudeca”, si reggevano con ordinamenti propri, secondo le proprie tradizioni. Costituivano, dunque, una comunità a parte, regolata da leggi differenti da quelle osservate dai Cristiani. In ordine al sistema fiscale, i documenti storici riportano che gli ebrei erano tenuti a pagare le tasse ordinarie di “fuoco e sale” mentre le tasse speciali venivano applicate in base ai privilegi o ai capitoli che la comunità ebraica riusciva ad ottenere. Spesso accadde che le “università” (le città) sostenessero le spese straordinarie per la comunità ebraica e viceversa o che gli ebrei pagassero la tassa sulla macellazione degli animali che doveva seguire le norme del “kasherut”. Dovevano pagare la “morkofa”, una tassa speciale per la libertà di culto! Tuttavia la documentazione attesta che gli ebrei di Nicotera, fin dal 1270, figuravano nei “Registri delle Collette fiscali della Calabria nei quali si legge che : “Carlo I d’Angiò ordinò al Giustiziere di Calabria di fare risarcire dai cristiani e dagli ebrei di questa località e di Seminara il milite Pietro di Monteleone, già giudeo con il nome di Giacomo Francigena, del danno di 162 once d’oro, subìto quando le due città avevano parteggiato per Corradino di Svevia e i seguaci di quest’ultimo avevano devastato a Monteleone i beni dei seguaci della casa d’Angiò”. L'avvento degli Angioini arrestò quel progresso inaugurato sotto gli Svevi e Nicotera si trovò ad assistere al nuovo assetto. I baroni ebbero mano libera ed il borgo fu affidato a Pietro II  dei Ruffo. Sono gli anni in cui la guerra del Vespro ebbe ripercussioni anche a Nicotera. Le cronache del tempo, come riporta Oreste Dito, nella” Storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI “, “Risiedeva a Nicotera un ebreo nativo di Catania a nome Giacomo Francigena il quale, fattosi cristiano prese il nome di Pietro da Monteleone (…) costui con armi e cavalli favoriva Carlo D'Angiò, da cui venne decorato del cingolo militare. Al contrario Rinaldo da Cirò, trovandosi a Nicotera coi suoi seguaci, fece ribellare a favore di Corradino Nicotera e Seminara, ed i beni di Pietro posti in questo territorio furono occupati dai ribelli”. Cominciarono da qui i veri problemi per gli abitanti della Giudecca di Nicotera, i quali avevano continuato a svolgere le loro attività, facendo anche delle donazioni alla Corona. Secondo le leggi il “giudeo” era escluso dal diritto di proprietà di terre e non poteva svolgere carriera militare. Poteva solo prestare denaro al Re ed agli imprenditori, poiché per legge un cristiano non poteva farlo.  Vessati dalla legge proprio nel 1280  gli ebrei di Nicotera ricorsero presso Carlo I d’Angiò contro il Giustiziere della provincia perché questi aveva loro imposto di eleggersi un correligionario quale giudice, mentre essi si erano sempre rivolti ai giudici cristiani per avere giustizia. Proprio perché erano ben visti dal Re per i dazi che versavano nelle casse dello Stato il loro  ricorso venne accolto. Fu così ordinato all’ufficiale di non inquietare gli ebrei e di lasciare che gli ebrei seguissero la loro consuetudine. Degli israeliti locali nel periodo angioino è noto Abramunt de Abramunt, che nel 1377 esportò vino rosso, insieme ad Antonio di Luciano, a Capri ed a Cagliari. Sono gli anni in cui il comparto del vino si fa largo nel Nicoterese. La dominazione angioina lascia il posto a quella Aragonese e gli ebrei nicoteresi vennero ulteriormente vessati. Nel 1453 la comunità invocò il regio intervento per non essere obbligata al pagamento delle collette che erano state di recente imposte ai cristiani. Ed anche questa volta furono ascoltati. Agli inizi del Viceregno spagnolo la città fu tassata per 300 fuochi, quattro dei quali erano di ebrei, i cui contributi fiscali dovevano essere esatti separatamente dai cristiani e per il donativo di 450 ducati imposto nel 1507 dal Viceré ai “giudei” di Calabria, la “Iudeca” di Nicotera fu tassata per un ducato, che pagò l’11 agosto 1508 per mano di Michele Isac. Da quel momento le maestranze ebree regredirono anno dopo anno. Il regno di Ferdinando il Cattolico – sovrano già famoso per aver cacciato gli Ebrei dalla Spagna, dalla Sardegna e dalla Sicilia - passò alla storia anche per il decreto di espulsione emanato nei confronti degli ebrei e dei marrani del Regno di Napoli. Probabilmente anche a Nicotera vi fu qualche famiglia “marranizzata”. Oggi nei cognomi nicoteresi possiamo trovare le prove. In merito ai “cristiani novelli” - gli ebrei freschi di conversione, anch’essi soggetti all’espulsione - fu loro consentito di restare solo nel caso in cui avessero contratto matrimonio con donne di provata fede cristiana. Ad alterne vicende, fu richiesto ai sovrani, da parte di alcune università, di far rientrare gli ebrei ma, nel 1540, Carlo V ligio osservante delle disposizioni emanata dalla Chiesa cattolica della Controriforma, pose fine alle altalenanti vicende di esilio e riammissione, con un decreto di espulsione definitivo, attraverso cui gli ultimi ebrei di Calabria lasciarono il regno nel 1541. Ed in quella data partirono anche i “giudei” nicoteresi. I superstiti finirono col fondersi con il resto della popolazione e, a ricordo della loro presenza, rimangono alcuni cognomi e le tracce nella toponomastica. Per quanto riguarda le attività economiche, gli ebrei di Calabria esercitarono, per lo più, la medicina ed il commercio. Famose le attività finanziarie, con l’apertura dei banchi di prestito, oppure l’arte della spezieria e la preparazione di rimedi e farmaci. A tal proposito è bene ricordare che il famoso Donnolo Shabbetai, scrisse proprio in Calabria “Il libro delle polveri”, il primo libro di medicina scritto in ebraico. Agli Ebrei si deve, inoltre, la diffusione  della gelsi-bachicoltura, attività in cui erano maestri oltre al commercio in altri tessuti come lana e cotone. Essi erano, inoltre, abili tintori per cui molte delle giudecche si trovavano localizzate in prossimità dei greti dei fiumi; commerciavano in abiti, gioielli, olio, zafferano e mannite e molti di essi erano artigiani valenti nella falegnameria, nelle ferramenta, nella selleria e nelle costruzioni. Altre attività molto praticate in Calabria furono l’allevamento e l’editoria, che allora si traduceva in “arte scrittoria”. Furono moltissime le opere di medicina, filosofia, religione tramandate e trascritte in molte città quali Crotone, Cosenza e Reggio; qui, addirittura nel 1475, da una tipografia ebraica venne editato “Il Commentario del Pentateuco di Rabbi Salomone Jarco” da parte di Abramo Garton, ovvero il primo libro ebraico stampato, fornito di data.

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