La Brexit vista da un calabrese

Mi trovo a Londra e mi incuriosisce capire come i londinesi e più in generale gli inglesi vivano la "Brexit".

La prima impressione è che la vivano con distacco a conferma del naturale e famoso aplomb inglese.

Le misure di sicurezza ed i controlli all'aeroporto sono molto meticolosi ed accurati, niente viene lasciato al caso. Capillare ma discreto è lo spiegamento di poliziotti in tutti gli angoli dell'aeroporto e numerose sono le telecamere installate sui percorsi obbligati, a conferma delle misure eccezionali adottate, non solo per sventare eventuali attentati, ma per difendere l'integrità di una nazione. Al gate e al ritiro bagagli accettano indistintamente il passaporto o la carta d'identità, ma fa una certa impressione pensare che, passata la fase transitoria di adeguamento alla Brexit, che durera fino al 2019, occorrerà esibire solo il passaporto.

La moneta ufficiale è rimasta la sterlina ed i negozi di abbigliamento o i supermercati non espongono il corrispondente valore in euro della merce in vendita, nè è ammesso,salvo rari casi, pagare con l'euro.

Il costo della vita è molto elevato al confronto con quello italiano se penso che alcuni prodotti, soprattutto italiani, costano più del doppio. Basta provare a fare shopping per le vie del centro e rendersi conto del lusso dei negozi. In questo periodo le vie sono addobbate con luminarie di ogni genere ed ogni via è contraddistinta dalle proprie illuminazioni. Sono stato in Old Bond Street, una delle vie più frequentate del centro, e non ha confronto nè con via Condotti a Roma, nè con via Montenapoleone a Milano tanto è lo sfarzo dei negozi, anche se alcuni sono italiani.

È quasi usuale incontrare per strada e nei negozi facce diverse, gente di diversa nazionalità con la loro cultura e storia: arabi, cinesi, giapponesi, persone di colore. Parlano l'inglese, ma anche lingue diverse.

Le macchine che circolano sono quasi tutte di grossa cilindrata e appartengono a marchi prestigiosi, come Porsche, Mercedes, Volkswagen, BMW.

Probabilmente i salari e gli stipendi sono adeguati al tenore della vita abbastanza alto, anche se non mancano persone meno abbienti. Nonostante l'Inghilterra abbia aderito alla Comunita Europea da anni, ti accorgi da tante cose che non vi è mai stata una completa integrazione. Alcune norme tecniche europee quali quelle riguardanti gli impianti elettrici sono state recepite solo in parte. Le prese elettriche , di tipo "G", ad esempio, sono diverse dalle classiche bipolari, tripolari o shuko adottate nel resto d'Europa.

Colpisce invece l'enorme attenzione e scrupolo riservati alle norme sulla sicurezza. Non ho mai visto allestire ponteggi con tanta cura ed attenzione. Sulla cartellonistica c'è scritto che la sicurezza è come se fosse la seconda natura. È improbablie sentire dagli inglesi la frase tante volte sentita da noi: " ce lo chiede l'Europa".

E qui potremmo o dovremmo discettare a lungo sul valore dell'unità europea e sull'operato della nostra classe politica, che sta facendo di tutto per diffondere un sentinento antieuropeista anche tra i più convinti europeisti.

Sicuramente l'uscita dell'Inghilterra dall' Unione europea segna il fallimento dell'Europa cosi concepita e deve indurre ad una riflessione generale e ad una revisione dei trattati europei per evitare altre spinte disgregatrici ed un ritorno al nazionalismo piu esasperato.

Ma al di là dei probabili errori imputabili ai politici, Londra, come il resto dell'Inghilterra, rimane una città multietnica e multiculturale con vocazione internazionale più che europea.

Una scultura bronzea raffigurante una panchina sulla quale stanno seduti, da una parte, Whiston Churchill e, dall'altra, Roosevelt, posta su una strada del centro, sembra il paradigma che, a mio parere, rappresenta la vera vocazione inglese: essere essenzialmente anglo - americani.

In fondo nessuno paese europeo, come Germania e Francia, ha rinunciato davvero alla sua identità ed alla storia millenaria che l'ha reso protagonista e padrone del mondo.

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Matrimoni (e divorzi) dei reali inglesi

Harry, figlio di Carlo e Diana, sposerà un’americana che, a parte essere multirazziale, è divorziata. Elisabetta, nella triplice veste di regina e capo della Chiesa anglicana e nonna, è d’accordo.

 Abbasso il razzismo! Del resto, la casa dettasi nel 1917 di Windsor, è in realtà quella di Hannover, tedeschi tutti anche per matrimoni, e solo di recente con qualche goccia di sangue britannico.

 Una divorziata? Eh, tempi di oggi! Ma no, che tempi di oggi? La storia dell’Inghilterra moderna nasce proprio con un divorzio, quando Enrico (Harry!) VIII, re dal 1509 al 47, era sposato con Caterina d’Aragona, ma voleva sposare Anna Bolena, e perciò prima divorziare; e, fine teologo qual era, si munì di solidi argomenti biblici. Niente da fare, la Chiesa di Roma si oppose; e Caterina era zia di Carlo V. Soluzione? Enrico si fece una Chiesa per conto suo, se ne proclamò capo, e coronò il sogno d’amore con Anna. Poi la farà decapitare, ma questo è un altro discorso.

 E dire che Enrico aveva scritto un veemente e documentato volume contro Martin Lutero, ricevendo da Roma il titolo di Defensor fidei, che tuttora porta anche Elisabetta [II] (asessuato, Defendetrix, a parte che non esiste in latino, è proprio brutto); e non voleva diventare protestante, cosa che avverrà solo più tardi, con la figlia Elisabetta [I]: voleva solo lo stesso favore che, pochi decenni prima, avevano fatto a Luigi XII di Francia, che divorziò micio micio; e che faranno a Napoleone.

 Nonostante questo, il divorzio in Inghilterra  restò sempre uno scandalo; e ancora per secoli anche un privato cittadino doveva fare istanza addirittura in parlamento.

 Fu così che si venne al caso di Edoardo VIII. Morto il padre, Giorgio V, il 20 gennaio 1936, egli divenne re di Gran Bretagna e Irlanda, imperatore delle Indie eccetera, e capo della Chiesa. Conviveva però con l’americana Wallis Simpson, pluridivorziata e chiacchierata. Montò lo scandalo, e alla fine dell’anno stesso Edoardo abdicò in favore del fratello.

  Non si può però tacere che la vicenda di Edoardo VIII potrebbe aver avuto risvolti politici: era infatti ritenuto simpatizzante per il nazionalsocialismo tedesco, e – la voce del sangue – per la Germania. Del resto, c’era tutta una politica britannica tutt’altro che antifascista. Nel 1933 Londra aveva aderito al Patto a quattro voluto da Mussolini, e poi respinto dal correttissimo parlamento francese; nel 1935 aveva stretto un accordo navale che consentiva di fatto alla Germania il riarmo; nel 1938 Chamberlain riconoscerà l’Impero italiano d’Etiopia, intesa ribadita con gli accordi di Pasqua del 1939. Ma c’era una linea ferocemente antitedesca, e, con Churchill ed Eden, condusse alla guerra.

 Edoardo, durante la guerra, sarà mandato a governare la lontana e paciosa Giamaica. Estraneo ormai alla famiglia, morì a Parigi nel 1972; la Simpson, nell’86.

 Curiosi casi di divorzi, da quelle parti. Corollario dinastico. Nella non scritta costituzione britannica, è sottinteso che a regnare è un’intera famiglia, secondo una precisa graduatoria automatica: fu per questo che, nel 1714, uno sconosciuto marchese tedesco divenne re Gran Bretagna. I matrimoni hanno perciò valore politico; e non si usa, come nel continente, il matrimonio morganatico, quello per cui Ferdinando IV/III di Borbone sposò la Villafloridia e Vittorio Emanuele II di Savoia Rosa Vercellana, legittimamente ma solo agli effetti privati. Lì funziona che Harry, attualmente quinto, per qualche circostanza potrebbe regnare, e lasciare il trono ai figli, pronipoti dei Guelfi Hannover Windsor da una parte, e di uno schiavo africano dall’altra.

 God save the King, e i suoi parenti.

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Con la Brexit potrebbe sparire la Gran Bretagna

La secesseione della secessione. Stiano sereni (!) i lettori del PD: non voglio parlare di loro, ma delle Isole Britanniche in fibrillazione. Iniziamo con un velocissimo riassunto delle puntate precedenti:

-          Nel 1603, morta Elisabetta I, il re di Scozia Giacomo VI Stuart divenne anche re d’Inghilterra come Giacomo I. Seguirono la dittatura di Cromwell, sotto il quale venne estesa l’occupazione inglese dell’Irlanda con oppressione dei cattolici; e il ritorno degli Stuart.

-          Con un processo che iniziò nel 1707, Inghilterra e Scozia si unirono nel Regno di Gran Bretagna; nel 1714 regnò Giorgio I Hannover.

-          Nel 1803 la denominazione dello Stato divenne Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda; ma le condizioni dell’isola, e quelle dei cattolici, rimasero di oppressione.

-          Dopo lunghe e anche sanguinose lotte dell’IRA (Irish Republican Army, ma l’acronimo è da leggere in latino), culminate con massacri inglesi del 1916, l’Irlanda cattolica ottenne l’autonomia come dominion; repubblica dal 1937, rimase ostentatamente neutrale durante la Seconda guerra mondiale. L’Ulster (Irlanda del Nord) protestante rimase alla Gran Bretagna.

-          Neanche questo placò gli animi, e seguirono attentati e repressioni, fino all’accordo del Venerdì Santo 1998.

 Secoli di guerra interna nel cuore dell’Europa. Ma ecco che nel frattempo arriva la Brexit dall’Europa, che, senza tanto menare il can per l’aia, sta arrivando all’applicazione: e, stando così le cose, l’intero Regno dovrebbe portare a termine la secessione. Addio al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

 Eh, una parola! Intanto in Scozia è fortissimo il movimento per la separazione, cioè per il ritorno alla situazione di prima del 1707-14; e questo riprende forza sostenendo una Scozia nell’Unione Europea.

 Freschissima notizia, ieri 24 febbraio 2017, è che l’Irlanda propone all’Ulster un’altra secessione: staccarsi dalla Gran Bretagna – o magari, per quanto sopra, dall’Inghilterra – e unirsi al resto dell’isola; e perciò restare in Europa. 

 Non è fantastoria: sono innumerevoli, per restare solo agli ultimi secoli, gli Stati europei nati e morti e a volte risorti, e dai confini variati; per non dire degli assetti istituzionali e politici. Chi, ancora nel 1980, avrebbe mai detto che sarebbe sparita niente meno che l’Unione Sovietica? Può svanire anche il Regno Unito, che un dì nemmeno tanto lontano fu la prima Potenza mondiale.

 Staremo a vedere. Ah, un paradosso: se mai Scozia e Ulster dovessero distaccarsi dall’Inghilterra, lo dovrebbero fare in lingua inglese; le antiche e poetiche lingue celtiche non vanno bene per il XXI secolo.

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El Alamein, 23 ottobre 1942: quando gli eroi della Folgore diventarono leggenda

Capita spesso di sentire associare all’Italia una storia militare fatta solamente di sconfitte, disfatte e rapidi “giri di valzer”.

Eppure, oltre al “Franza o Spagna purché se magna” ci sono tante pagine che parlano di un Paese differente, disposto a battersi ed a farlo con onore.

Ricorre proprio oggi l'anniversario dell'inizio della battaglia di El – Alamein combattuta, durante la seconda guerra mondiale, in Africa del nord da italiani e tedeschi da una parte e britannici dall’altra. Al km 120 della litoranea Alessandria d'Egitto - Marsa Matruh si fronteggiarono due eserciti e due strateghi geniali: Rommel, a capo dell'Afrika Korps e Montgomery al comando dell'VIII Armata britannica.

La guerra nel deserto nell'Africa settentrionale durava ormai da due anni. Nel periodo 1940-42 gli italiani, successivamente affiancati dai tedeschi, si erano battuti con alterne fortune contro gli eserciti di sua maestà.

La prima battaglia di El-Alamein si combatté dall’ 1 al 27 luglio 1942. Il generale Rommel, divenuto tra le dune africane, la volpe del deserto, aveva tentato un'ardita manovra in profondità per scardinare lo schieramento nemico e far cadere il campo trincerato di El-Alamein.

I protratti combattimenti ebbero però l’effetto di logorare le forze dell’Asse. I britannici, dal canto loro, effettuarono massicci e fulminei attacchi tesi a sfondare lo schieramento italo-tedesco. I due schieramenti si rafforzarono febbrilmente sulle rispettive posizioni con lavori di trinceramento e la posa di estesi e profondi campi minati. L'attacco finale degli inglesi, passato alla storia con il nome di seconda battaglia di El Alamein, venne sferrato nei giorni compresi tra il 23 ottobre ed il 6 novembre 1942.

L'offensiva fulminea rappresentava l’elemento portante del piano d'attacco. Per essere certi del successo, i britannici misero in campo una forza d'urto straordinariamente numerosa. Alla vigilia della battaglia l’VIII Armata contava, infatti, 220 mila uomini, 1.351 carri, quasi mille pezzi d’artiglieria, 1.200 aerei.

A contrastare l’avanzata delle truppe di Montgomery, complessivamente si trovavano 108 mila soldati e 497 carri, 700 aerei, dei quali solo 330 da prima linea. L'evidente sproporzione delle forze in campo era aggravata dalla penuria di rifornimenti causata dall’azione implacabile della marina da guerra britannica capace di decimare i convogli marittimi diretti in Libia.

Sul fronte sud l'attacco inglese, venne prontamente fermato dalla violenta reazione della Folgore. I 4 mila “leoni”, come appellò i paracadutisti il premier inglese Winston Churchill, solitamente poco incline ai complimenti nei confronti degli italiani, non mollarono.

Nascosti nelle buche lasciate dai proiettili dell’artiglieria i parà si scagliavano contro i corazzati con le loro bottiglie incendiarie o con le mine magnetiche. Incapaci di sfondare al primo assalto le truppe britanniche furono costrette ad impegnarsi in una logorante serie di offensive. Ai ripetuti attacchi britannici, i paracadutisti risposero con incredibile determinazione ed energia, respingendo ogni tentativo di sfondamento ed infliggendo al nemico gravi perdite.

La tenace resistenza obbligò gli inglesi a sospendere ogni ulteriore iniziativa su quella parte di fronte. "La battaglia di El-Alamein si sarebbe decisa, di lì a qualche giorno, sugli altri versanti. Quando il 2 novembre, in seguito al generale ordine di ripiegamento, la Folgore abbandonò le posizioni, la sua linea di resistenza era ancora intatta. L’arma vincente dei paracadutisti era stata la superiorità tattica; il contrassalto, applicato sistematicamente contro gli attacchi di carri e fanterie che aveva annullato la potenza offensiva dei nemici".

Sui luoghi della battaglia sorgono oggi tre cimiteri, muta testimonianza della durezza dello scontro. Un prato verde veglia sui caduti del Commonwealth.

Un castello svevo perpetua la memoria dei soldati tedeschi, un bianco Sacrario custodisce i resti dei combattenti italiani.

Poco distante sorge, invece, la torre di Quota 33, costruita a proprie spese da Paolo Caccia Dominioni, che ad El-Alamein, dopo aver combattuto, decise di trascorrere molti dei suoi anni alla ricerca delle povere ossa di quanti, sotto tutte le bandiere, intrisero con il loro sangue le arse sabbie del deserto.

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"Incidente chimico" a Londra, evacuato l'aeroporto City

Almeno 26 persone sono state sottoposte a cure mediche sul posto a causa di un non meglio precisato "allarme chimico" che ha provocato l'evacuazione del terminal del piccolo London City Airport. La notizia è stata diffusa dalla Bbc che ha citato il servizio antincendio londinese. Dal terminal sono state sgomberate circa 500 persone fra personale e passeggeri. Al momento non è ancora nota l'origine dell'accuaduto.

Bangladesh, breve storia di una nazione per caso

 Nei tempi che furono, il Bangla Desh si chiamava, tramite l’inglese, Bengala; e c’erano, oltre alle tigri del Bengala, i Lancieri del Bengala. Erano del posto, però militavano per la Compagnia delle Indie, una specie di Stato commerciale britannico, che possedeva vasti territori, ed era considerato uno dei tantissimi potentati indiani soggetti al Gran Moghul, l’imperatore che stava a Dheli e tutti veneravano, e che dal XVIII secolo contava sempre di meno. Il suo evanescente Impero si estendeva sopra gli attuali Pakistan, India e, appunto, Bangla Desh; ma, a parte la Compagnia, era di fatto diviso tra maharaja, rajà, nababbi e sultani; e tra musulmani e indù. La Compagni divenne sempre più ricca, disponendo di un proprio esercito locale sotto comando inglese, e di una numerosa flotta. Troppo, per una società privata; e, dopo la rivolta delle truppe indigene (cypois) del 1856, subentrò il Regno Unito. Tutta la politica britannica di quei secoli fu orientata verso l’India, e, come disse Disraeli, la Gran Bretagna divenne una “Potenza asiatica”; finché, nel 1876, Vittoria non s’incoronò imperatrice delle Indie, con il vassallaggio dei vari sovrani. Il resto è storia recente, con diversi movimenti indipendentisti, tra cui quello di Gandhi e quello fascista di Chandra Bose. Nel 1947 Londra si rassegnò a rinunciare all’Impero, ma lo fece nel peggiore dei modi: in fretta. Si tentò una via politica, affidata a lord Mountbatten, della famiglia reale. Questi si trovò a gestire una situazione di caos tra religioni e politica, e finì per farsi capo di Stato dell’India contro i musulmani. Tornato in patria, morrà nel 1979 in un attentato dell’IRA irlandese. Intervenne, in quel 1947, l’ONU con una delle sue solite idee brillanti destinate a far subito danno: uno Stato indù, l’attuale India, e uno Stato musulmano con le regioni occidentali al confine con l’Iran, e una orientale, orientalissima: il Bengala; avendo in comune solo la religione. Solo all’ONU poteva venire a mente una simile follia, cui si diede, non si sa manco bene perché, il nome di Pakistan; e, infatti, durò solo fino al 1971, quando nacque lo Stato del Bangla Desh. Intanto tra India e Pakistan scoppiavano periodiche e occasionali guerre per il Kashmir. Tra i Paesi più poveri, l’attuale Bangla Desh sta mostrando qualche segno di ripresa; e forse per questo attira l’attenzione dei tagliagole dell’ISIS. Ci vorrebbero un’altra volta i Lancieri del Bengala.

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By By Great Britain, la Brexit vince il referendum

La Gran Bretagna esce dall'Unione europea. I dati relativi al referendum sulla "Brexit" non lasciano dubbi,  il 'Leave' ha ottenuto il 51,9% dei voti a fronte del 48,1% del 'Remain'. Per la Brexit - riferisce il sito della Bbc - hanno votato 17.410.742 elettori mentre per restare nell'Ue i voti sono stati 16.141.241. L'affluenza al referendum è stata al 72,2%. Alla vigilia del voto, il leader euroscettico Nigel Farage aveva definito l'uscita dall'Unione europea :"Questa è la vittoria che significa un nuovo giorno dell'indipendenza per il nostro Paese. E' l'alba di un Regno Unito indipendente. E' arrivato il momento di liberarci da Bruxelles"

 

Brexit: sondaggio dell'ultima ora, in vantaggio il "Remain"

È il giorno della verità per la Gran Bretagna chiamata a decidere se rimanere o meno legata al cordobe ombelicale che la unisce all'Unione europea. Secondo due sondaggi diffusi nell'imminenza dell'apertura dei seggi, sarebbe in leggero vantaggio il fronte dei sostenitori del Sì. I fautori del "Remain" vedrebbero prevalere le loro ragioni per un soffio, con il 51% contro il 49.

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