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La filiera dell'informazione in Italia non si ferma: il diritto all'informazione è assicurato

 L'emergenza sanitaria da Coronavirus sta tenendo segregati in casa milioni di italiani, con l'obbligo, per chi può, di gestire le proprie attività lavorative in modalità smart working, considerando che le attività produttive non indispensabili sono state, per il momento, sospese (sono rimaste aperte solo quelle con speciali codici Ateco). In una situazione di criticità simile, il Governo italiano ha assicurato alla popolazione che i rifornimenti presso i supermercati dei beni alimentari primari saranno garantiti come sempre. Al pari dei generi alimentari di prima necessità, le autorità hanno assicurato la continuità dei servizi bancari e assicurativi, ma anche dei benzinai e dei tabaccai. Rientrano tra questi anche i giornalai, responsabili dell'informazione, che in questo momento riveste un ruolo ancora più essenziale, poiché consente ai cittadini di mantenersi informati sulla pandemia e sulle norme comportamentali richieste a ognuno di noi per ridurre i contagi. Il ruolo cardine dell'informazione nella lotta alla pandemia da Coronavirus è stato spiegato eloquentemente dal Sottosegretario dell'Editoria Martella, che ha dichiartato:

"È per questa ragione che abbiamo ritenuto che tutta l'attività della filiera editoriale fosse da considerare non oggetto delle restrizioni, perché i centri stampa e i giornalisti continuassero a svolgere la propria attività con la necessaria prudenza e le edicole rimanessero aperte, nel rispetto delle distanze, come presidio dell'informazione".

La fame di informazione della popolazione italiana in questo periodo è, in effetti, una realtà: i dati forniti da Google Trend mostrano una trasformazione nei trend di ricerca su Google da parte della popolazione, specialmente da quando la criticità della situazione ha portato al primo decreto #iorestoacasa. Non si tratta solo di ricerche inerenti al Coronavirus, ma di ricerche mosse da una vera e propria fame di informazione. Sono infatti in aumento i dati relativi alle ricerche online dei principali quotidiani e giornali nazionali: la Repubblica ha registrato il 50% di ricerche in più rispetto al mese di febbraio, il Corriere della Sera circa il 60%, il Fatto Quotidiano il 50%, mentre il trend di ricerca che ha coinvolto l'ANSA ha rasentato il 70%, dato identico a quello che si riferisce alle ricerche associate alla parola chiave "notizie on line", mentre "edicola digitale" mostra un +30%.

Con milioni di lavoratori e professionisti costretti nelle proprie case, è facile comprendere l'urgenza di fruire di una rassegna stampa quotidiana e aggiornata. Si tratta di un servizio che viene erogato proprio dalle edicole on line, ossia dei portali che permettonono di sottoscrivere un abbonamento digitale a tutti i quotidiani e alle riviste, italiani e stranieri, per leggere tutti i giornali online con un solo abbonamento digitale, da un'unica piattaforma. Si tratta di un servizio sempre più richiesto – specialmente in questo momento storico – e le edicole digitali si stanno dimostrando un valido supporto in assenza del cartaceo per assicurare una continuità ad Aziende, Enti e Associazioni, ma anche per garantire la corretta informazione alla popolazione.

Il Governo italiano ha assicurato la linearità della filiera dell'informazione, garantendo le attività giornalistiche e la distribuzione cartacea presso le edicole convenzionali e digitali (edicole on line) e, di conseguenza, il diritto all'informazione. 

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Vecchi e nuovi media, tra informazione e pettegolezzo

C'è  una voglia sfrenata, un desiderio inconscio, quasi  una morbosità da psicoanalisi di pubblicare ogni fatto accaduto considerandolo fatto di cronaca e come tale notizia da raccontare, appellandosi alla libertà di stampa, alla democrazia, al diritto d'informazione, senza valutare appieno gli effetti che può provocare alle famiglie degli interessati  ed agli elettori che con altrettanta morbosità lo leggono, lo commentano, lo riportano snaturandolo e spesso travisandolo.

Il diritto di cronaca, la libertà di stampa, i nuovi mezzi di comunicazioni (fb,Twitter, instagram, ecc.) senza dubbio sono il sale della democrazia ed arricchiscono il bagaglio culturale di ognuno, ma possono diventare, se non usati correttamente, la campana a morte di quella democrazia che a parole si difende. Penso alle fake news , ai tentativi occulti di indirizzare e condizionare le scelte politiche ed economiche dei cittadini.  

I potentati economici ed i poteri forti hanno compreso l’importanza dei media e li usano o per arricchirsi ulteriormente o per condizionare governi e nazioni.

Riportare le abitudini ed i comportamenti sessuali di nani e ballerine, che  purtroppo abbandono, fa  notizia, audience, stuzzica la fantasia dei lettori più di qualsiasi notizia culturale, di storia o di altro che rende un paese civile e culturalmente avanzato.

Parimenti fa notizia riportare un fatto di cronaca come quello accaduto a Filogaso. Un fatto che in altri tempi non avrebbe suscitato tanto clamore ed avrebbe avuto  la comprensione, la pietas e la solidarietà di tutti per il contesto in cui si è svolto e per la peculiarità della situazione. Così  non è stato; la notizia è stata riportata da tutti i giornali e siti web, e da tutte le testate televise ( Rai, Mediasat, La 7) senza approfondire il caso e le circostanze in cui si è svolto.

L’immagine trasmessa era fuorviante,  di un paese culturalmente arretrato, senza servizi sociali e fuori dal mondo moderno e dalla civiltà. Mai tante testate giornalistiche, tanti reporter ed inviati di tg si sono interessati di Filogaso, come in questa occasione. Invece Filogaso è un paese che vanta un grande passato ed  una grande storia di cui si parla poco e si conosce pochissimo. Anche negli anni recenti ha avuto uno sviluppo culturale ed economico abbastanza significativo. Amministratori avveduti hanno realizzato  tutte le strutture  ed i servizi necessari ad un paese civile  tanto da essere tra i primi della Provincia per la cura del verde attrezzato, della raccolta differenziata e degli altri servizi di assistenza agli anziani ed agli invalidi. L’augurio è che i network ed i giornali  riportino, cosa che non è avvenuta in passato, anche le notizie positive e gli avvenimenti culturali che normalmente si svolgono .

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Giornali e toghe: la brutta storia del prete calabrese specchio di un cortocircuito

E' una turpe vicenda, comunque la si pensi e per le ragioni più diverse, quella di cui da poco più di una settimana è protagonista un sacerdote della Piana di Gioia Tauro. Del religioso si parla da giorni, lo hanno fatto in tanti, qualcuno anche a sproposito, perché al centro di una presunta brutta storia di sesso con ragazzini, prostituzione minorile, rapporti omosessuali a pagamento. Insomma, un procedimento penale con tutti gli ingredienti per far scattare, istintivamente, un moto di profondissima indignazione in chiunque sia venuto a conoscenza dei particolari di questa indagine.Quel che è successo dopo, però, desta più di una perplessità. In particolare, a convincere poco sono le decisioni, contraddittorie ed apparentemente illogiche dei magistrati fino al momento imbattutisi nel caso. Si tratta, infatti, di capire cosa sia vero di ciò che ci è stato raccontato all'inizio, con dovizia di dettagli, anche pruriginosi ed inutili ai fini di una corretta e completa informazione, e quanto sia rimasto dell'impostazione originaria concepita dagli organi inquirenti.  Inutile girare, con delicata diplomazia, attorno al nocciolo della questione: il 18 dicembre al sacerdote vengono strette le manette ai polsi e, sotto il peso gravoso di accuse pesantissime, viene accompagnato dietro le sbarre. Tre giorni più tardi, sette ore di interrogatorio sono sufficienti per permettere al magistrato competente di decidere, 24 ore dopo, di concedergli il beneficio dei domiciliari. A prescindere dal quadro indiziario alla base del mandato d'arresto, illustratoci in modo circostanziato dagli investigatori, colpisce un elemento essenziale: i reati addebitati al prete sarebbero stati commessi sfruttando il cellulare ed il personal computer, due strumenti il cui utilizzo, con la detenzione domiciliare, non gli è precluso.  Dunque, dove si è inceppata la macchina logica del buonsenso? Un affievolimento delle esigenze cautelari non è facilmente rintracciabile, alla luce della possibile reiterazione del reato che, come noto, costituisce uno degli elementi alla base della reclusione in carcere. Indipendentemente dal contenuto delle risposte e delle spiegazioni fornite in sede d'interrogatorio, è mai possibile che in un arco temporale così breve siano venute meno le ragioni alla base del provvedimento restrittivo che ne aveva disposto la carcerazione? Più di qualcosa non torna e, legittimamente, l'opinione pubblica rimane spiazzata assistendo al saliscendi delle montagne russe della giustizia italiana. In linea puramente teorica ed astratta in quanto non appare opportuno entrare nel merito del caso specifico, siamo ancorati  ad una biforcazione del pensiero che non prevede il percorso di terze vie: o prima è stato esageratamente gonfiato il contenuto dell'ordinanza sfociata nella sua cattura, e sarebbe imperdonabile, o dopo gli  è stato riservato, ingiustificatamente, un trattamento di favore. Non che la conduzione lineare dell'attività investigativo-giudiziaria rappresenti un problema sorto nell'ultima settimana, beninteso. Basti pensare al rapporto-scontro, perverso, tra politica e giustizia che accompagna il corso degli eventi italiani ormai da quasi un quarto di secolo. Sono trascorsi, infatti, circa 24 anni da quando la furia violenta di "Tangentopoli" sconquassò lo scenario che per decenni aveva favorito, piaccia o no, benessere e sviluppo in Italia. Nelle forme più diverse, esito delle alchimie tipiche della Prima Repubblica, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito Liberale, il Partito Repubblicano ed il Partito Socialdemocratico avevano garantito la solidità del sistema. Di quel delicatissimo equilibrio fra poteri, anche differenti da quello propriamente politico, nulla rimase davanti alla cieca violenza di quella sedicente rivoluzione giudiziaria. L'ubriacatura di massa, causata dall'irresponsabilità di magistrati, panorama informativo e forze politiche che da quel blocco erano rimaste escluse, produsse un conformista ed acritico pensiero unico al quale in pochi, pochissimi, ebbero il coraggio di opporsi. L'opinione pubblica era assoggettata ad un impazzimento simile a quello che muove le vigliacche azioni di chi si agita per entrare in guerre senza vie d'uscita, per approssimazione, impreparazione, superficialità di giudizio. Cosa sia rimasto di quella ventata giustizialista è ciò che siamo costretti ad avere sotto gli occhi tutti i giorni: le seconde, le terze e le quarte file della platea di clientes di un tempo che, liberatisi i posti più appetibili, si sono lanciati famelici sulle misere spoglie rimaste. Le macerie di allora sono state così gigantesche che la polvere ancora adesso impedisce di cogliere dettagli e sfumature di quel che successe allora. Avvisi di garanzia trasformati, nell'immaginario collettivo, in arresti; arresti che, per l'inciviltà di toghe e penne assetate di sangue, hanno assunto le sembianze di condanne. Può sembrare mera speculazione teorica o un nostalgico ricordo di tempi orma andati, ma il veleno inoculato allora nel corpo fragile della democrazia italiana scorre ancora. Il giustizialismo d'accatto, confortato dal protagonismo di una parte consistente della casta dei magistrati e dalla prezzolata demagogia dello sconquassato tessuto giornalistico, guida le forche agitate dai puri che, è sufficiente cambiare inquadratura, per osservarli in tutta la loro sporcizia morale. Silvio Berlusconi, maggior beneficiario di quel vuoto prodotto dal "Colpo di Stato" meglio noto come "Tangentopoli", all'origine del suo progetto era animato dal desiderio, oltre che dalla necessità, di dare una casa ai milioni di orfani del pentapartito. In seguito, ma questa è ancora cronaca e non ancora storia da osservare con freddo distacco, sappiamo bene quale sia stata la sua parabola. Contestualmente, i compagni di viaggio dell'ex Cavaliere, Umberto Bossi e Gianfranco Fini, null'altro hanno fatto, se non sistemarsi sotto l'albero colmo di frutti e raccogliere tutto quel che cadeva, senza nessun merito, senza nessuno sforzo, come ebbe a dire il mai troppo rimpianto Indro Montanelli. Sui temi della giustizia, tuttavia, i tre hanno solleticato, in modo diverso, gli istinti più beceri del popolo: da una parte il garantismo ad personam coltivato dall'imputato B., dall'altra la demagogia di chi ha "sventolato" cappi in Aula e prima ancora aveva ancora rivendicato con orgoglio il lancio di monetine contro Bettino Craxi davanti all'hotel Raphael. Non condividere l'idea che nel 2015 la situazione sia ulteriormente peggiorata è il sigillo alla malafede: sotto questo punto di vista le colpe abnormi di certa stampa sono devastanti, quasi pari a quelle dei "sacerdoti della giustizia". Un infinito, ininterrotto "dagli all'untore", se potente ed in vista ancora meglio. Provare a contrastare questa deriva è simile al tentativo di voler fermare il vento con le mani, ma poco importa perché la barbarie, anche per vicende delicatissime sul piano personale, di additare al pubblico ludibrio e tagliare teste in simboliche impiccagioni di piazza, è da criminali, senza se e senza ma. Quando poi l'obiettivo del linciaggio riveste cariche pubbliche o indossa una tonaca da prete, la schiuma di rabbia esce ancora più copiosa dagli angoli della bocca. In fondo, a chi importa se agendo in siffatto modo si ottiene un unico risultato: la morte del vivere civile. In Calabria e nel resto di quel mondo che vorrebbe inchinarsi solo alla autentica Giustizia ed alla autentica Verità combattere per una causa persa, o almeno mettersi di traverso, è scomodo, ma ne vale la pena: soprattutto quando anche soggetti che vantano un recente passato, a loro dire, "garantista", s'inchinano alle più bieche e squallide voglie vendicative. Tutelare la presunzione d'innocenza, a maggior ragione in una terra infestata (anche) dalla 'ndrangheta dovrebbe essere un faro capace di illuminare le menti, ma è diventata niente più che un inutile orpello da nascondere per non rischiare di essere confusi con i lupi voraci delle altrui debolezze. 

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