Chiaravalle Centrale, domani la presentazione di “Legendabria, leggende di Calabria”

“Legendabria, leggende di Calabria”. È il titolo del libro che verrà presentato domani, 27 giugno, a Chiaravalle Centrale su iniziativa della Consulta della Cultura e dell'amministrazione comunale. Appuntamento alle ore 18.30 nella sala convegni di Palazzo Staglianò.

Dopo il saluto del vicesindaco e assessore alla Cultura, Pina Rizzo, introdurrà i lavori Teresa Tino, segretaria della Consulta. Interverranno le due giovani autrici, Loredana Turco e Silvana Franco, che leggeranno alcuni brani del libro con tanto di accompagnamento musicale.

“Legendabria, leggende di Calabria” è un libro per tutti, grandi e piccoli, ma vuole essere anche una originale guida turistica del nostro territorio.

La presentazione di Vito Teti e Chiara Raimondo e i disegni originali impreziosiscono ulteriormente l'opera.

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Alarico, mito e leggenda del re dei Visigoti

Quando mi si rompe l’auto, vado dal meccanico, e lascio fare a lui senza intervenire; idem, se sto male, col medico. Perciò, lasciate fare agli storici. Chi sono gli storici? Non sono quelli che leggono le fonti, ma quelli che le sanno leggere: non è lo stesso, credetemi.

 Sulla morte di Alarico, le fonti sono due: un cenno di Isidoro di Siviglia, autore morto nel 636, il quale dice solo che il re morì in Italia; ma il suo è un punto di vista iberico, e studia i Goti in Spagna; e un brano di Jordanes, all’incirca contemporaneo, il quale narra che Alarico, saccheggiata nel 410 Roma e altre città, raggiunse lo Stretto per passare in Africa, ma una tempesta lo indusse a tornare indietro, e morì presso Cosenza.

 Nessuno dei due autori ci tramanda il millantato peso di venticinque (25!) tonnellate d’oro, di cui a Cosenza del 2016 tutti sono sicurissimi come se l’avessero personalmente pesato; né che in tanta ricchezza fosse compreso, nel 410, un candelabro ebraico preso nel 70; né tanto meno che tutto il bottino fosse sepolto assieme al re.

 Anzi, e mi stupisco (oggi sono educato!) che nessun megastorico se ne sia accorto, è già eccezionale che Alarico sia stato sepolto con rito barbarico e con degli oggetti: i Goti erano, infatti, da molto tempo cristiani, sia pure ariani. Nulla di tanto anomalo che il re abbia ricevuto un trattamento secondo antiche tradizioni germaniche; e che la salma sia stata fornita di corredo funebre: ma non certo con l’immane tesoro, che logica vuole sia stato portato in Spagna da Ataulfo e Galla Placidia. Lì avrà seguito le complicate vicende dei molti e conflittuali Regni visigotici; e in gran parte finito in mano araba dopo il 711; eccetera in secoli di guerre e ogni altra immaginabile vicissitudine.

 Perciò, levatevi dalla testa che l’eventuale ritrovamento del sepolcro di Alarico apra la strada alla riesumazione di tutto quel denaro e sua utilizzazione a vantaggio di Cosenza e della Calabria; non c’è, a parte che sarebbe dello Stato, e finirebbe in un museo, come è giusto che sia.

 Idem per bufale come le ricerche di Himmler. Nel 1938, l’esponente nazionalsocialista, tornando da una vacanza in Sicilia, pare si sia fermato qualche ora a Cosenza per curiosità: tutto qui, e non era certo nelle condizioni di effettuare qualsiasi operazione se non chiedere notizie a qualcuno, senza ottenerne; e rimase con la poesia del Platen, in italiano tradotta dal Carducci.

 E allora, che interesse suscita, Alarico? Tanto, a dire il vero.

1.       È uno dei molti invasori di Cosenza che pagarono con la morte: Alessandro Molosso, Sesto Pompeo, Ibrahim, Cola Tosto, Geniliatz… Se non sapete chi furono, scrivetemi una bella lettera ufficiale e ve lo rivelo. Ma guardate che fascinoso mito, se lo sappiamo raccontare!

2.       È una figura storica di grande rilievo in sé, e circondato da figure non meno interessanti: Stilicone, e i suddetti Ataulfo e Galla. Se non sapete chi furono, scrivetemi una bella lettera ufficiale e ve lo rivelo.

3.       Studiare il periodo è interessante per un’epoca poco nota della storia calabrese: i sette prosperi e lenti secoli della III regio romana, Lucania et Bruttiorum, di cui Cosenza fu una città notevole, e tappa importante di una strada consolare.

Che fare, per lavorare sul serio?

a.       Ricognizione della toponomastica;

b.      Recupero di eventuali leggende popolari credibili;

c.       Assaggi archeologici rigorosamente scientifici.

Quanto alla “statua”, è decisamente umoristica: Alarico faceva il re, non l’equilibrista circense.

 Si può creare un mito, sopra Alarico? Farci un film? Ma sì: un mito si crea su tutto. Vi faccio un esempione: il romanzo storico britannico del XIX secolo s’è inventato di sana pianta un carattere inglese per Riccardo Plantageneto Cuor di leone, il quale era un normanno di lingua francese e scriveva belle poesie in provenzale, e, come tutti gli eredi di Guglielmo, disprezzava qualunque cosa sapesse di anglosassone. Ma oggi tutto il mondo pensa fosse inglese come la regina Vittoria; la quale, del resto, era tedesca con una remota antenata scozzese.

 Si può inventare, eccome. Provate a chiedermelo, con foglio protocollato e indicazione del compenso.

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Folletti di Calabria, il "Fajettu"

Che la Calabria sia la terra del mito e della leggenda oltre che della storia questo è risaputo. Esistono così tanti miti tramandati da generazioni in generazioni da poter riempire pagine e pagine di libri. Alcuni sono davvero singolari. Tra le tante leggende che hanno popolato i racconti fatti dai calabresi davanti al focolare, quella più incredibile riguarda il “Fajettu”, ovvero un simpatico e burlone omino che abitava le nostre montagne e che durante le notti di pioggia s’introduceva furtivamente nelle stalle, dove si dilettava a intrecciare le chiome ai muli e ai cavalli. Si dice però che l'esserino non facesse solo questo, che viveva in nutrite comunità difficili da vedere perché attive esclusivamente durante le ore notturne. Uomini e “fajetti” vivevano, quindi, in un mondo separato da una sottile barriera diacronica. Una barriera che delimitava non solo il giorno dalla notte ma il mondo della realtà da quello della fantasia. A parlarci di loro sono sempre stati i carbonari ed pastori. Si tratta di due categorie di uomini abituati a vivere all’aria aperta ed a lavorare nelle ore notturne. Alcuni, raccontavano addirittura di averli incontrati e di aver chiacchierato con loro durante le fredde notti d’inverno. Altri narravano di aver trascorso serate davanti alla luce di un focolare rurale ad arrostire castagne, bere vino e raccontarsi gli uni i mondi e le abitudini degli altri; con l’impegno, naturalmente da parte di entrambi, di non rivelare ciò di cui erano venuti a conoscenza. Mentre noi comuni mortali li immaginiamo come esserini vestiti variopinti e col cappello a punta, sono stati, invece, descritti come goffe creature dal colore della pelle olivastra, per alcuni paragonabili ad umani di piccole dimensioni, per altri ad un gatto, ad uno scoiattolo o addirittura ad un grosso gufo. Quello che invece sembra certo è che questi curiosi esserini amavano le burle. Nei motteti aspromontati rappresentavano una figura molto importante. Una leggenda narra di un “Fajettu” che in segno di gratitudine rivela al pastore un importante segreto. Gli svelava, infatti, il punto esatto (nel tratto un tempo conosciuto come la Via dell’argento, precisamente tra Samo e Ferruzzano) dove giace sotterrato un forziere colmo di monete d’oro. La leggenda vuole che in una fredda notte di febbraio – l’Aspromonte sonnecchiasse adagiato sopra una fitta coltre di neve  quando, un folletto di ritorno da una fattoria, dove aveva perpetrato le sue burle a danno di alcuni animali domestici, venne assalito da un branco di lupi. Ridotto in fin di vita riuscì a salvarsi arrampicandosi sopra un albero. Ma sarebbe morto comunque, forse assiderato o per le ferite riportate, se non fosse stato che un pastore, avvertendo la presenza dei lupi, temendo che stessero per assalire il gregge, li cacciò via a fucilate. Fu dopo quel trambusto che il folletto si lasciò cadere dall’albero e che il pastore si accorse di lui. Il povero mandriano, benché non avesse idea di cosa si trattasse, portò il folletto dentro il suo capanno per sottoporlo alle relative cure. Ci mise una decina di giorni  il folletto per riprendersi; ed altrettanti per arrivare ad essere nelle condizioni di lasciare lo spiazzo. Ma prima di farlo volle riparare il disturbo causato al pastore. E lo fece in maniera brillante, e cioè rivelandogli il luogo dove era seppellito un forziere contenente una cospicua somma in monete d’oro. Forziere che, in seguito, fu realmente recuperato dal pastore, e che nell’arco di poco tempo fece di lui uno degli uomini più ricchi dell’entroterra aspromontano. Benché abbiamo la quasi certezza che si tratti di una fiaba, ci piace lasciare uno spiraglio aperto all’altra realtà, quella che fino ad oggi ci ha visto accostati a un mondo che sin dai tempi d’Omero, e forse anche prima, ha costellato di fascino e magia le nostre misere esistenze.

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