Gennaro Cassiani, il cattolico meridionalista

Da subito fece parte del nascente Partito Popolare a fianco delle grandi figure di calabresi che meglio hanno incarnato il meridionalismo ed in particolare i tanti gravi mali della Calabria: Antonino Anile, Vito Giuseppe Galati, don Carlo De Cardona, don Luigi Nicoletti, don Caporale ed altri. Dal giornale cattolico, dal Nicoletti fondato e diretto, “Parola di Vita”, lanciò l’appello “Agli intellettuali cattolici” per tenerli desti contro la minaccia eversiva fascista. Così è stato l’incipit di Gennaro Cassiani, il cattolico meridionalista, nato a Spezzano Albanese nel 1903 e deceduto  nel luglio del 1978. Educato, per volontà del padre Ferdinando, valente avvocato, poeta e scrittore, nel Collegio di San Demetrio Corone, ritenuto simpaticamente “covo di vipere e fucina di diavoli”, già dagli anni liceali, sulla scia di Salvemini, di don Sturzo e di Giustino Fortunato aveva compreso che il Sud, con la sua gente, andava sempre più drammaticamente verso la miseria e la disgregazione col rischio di diventarne, come scrisse Giuseppe Crifò nel ricordarlo ad un mese dalla morte, “la polveriera d’Italia”. Per il suo impegno antifascista fu estromesso dal Corso di allievo sottoufficiale perché le sue non erano “idee compatibili con l’interesse nazionale”. Organizzò, pertanto, il giovane movimento dei laureati cattolici e, alla maniera del Gobetti, nel citato appello, scrisse che è “necessario prepararsi, affilando le proprie energie nella luce sanguigna dell’ora che volge”. I fascisti e la loro censura intuirono  subito il pericolo che poteva venirne da quel foglio cosentino e così decretarono il don Nicoletti confinato a Galatina e il Cassiani diffidato e schedato dall’Ufficio politico della polizia. Più avanti, nel 1944, eletto membro della direzione nazionale della Democrazia Cristiana,  e nel dicembre dello stesso anno sottosegretario ai Lavori Pubblici nel secondo governo Bonomi. Ha inizio da qui, una lunga attività politica e governativa che lo vede protagonista alla Costituente  e ministro delle Poste e della Marina mercantile. Intenso e profondo è stato il suo attaccamento alla terra calabra: legame che si materializzò con l’attività parlamentare finalizzata al miglioramento delle condizioni economiche e sociali e pertanto relatore più volte di proposte di leggi ed autore di disegni di leggi pro Calabria. È stato lui, Gennaro Cassiani, e ne andava fiero, l’artefice della legge speciale per la Calabria voluta anche dal quel grande statista cattolico che fu De Gasperi e, per meglio confezionare le provvidenze destinate alla sua gente, partecipò a tutte le sedute della Commissione speciale per il Mezzogiorno presieduta da don Sturzo. Scriveva il Crifò che “se è vero che l’arretratezza economica meridionale, gli irrisolti problemi del Sud, l’impoverimento  del Mezzogiorno, hanno radici storiche antiche, è anche vero che non tutto veniva espletato dal governo, dalle classi imprenditoriali e dal sindacato stesso in relazione alle loro responsabilità e spettanze, affinché alle enunciazioni e alle teorizzazioni corrispondessero realtà concrete e fatti risolutivi di alcuni principali  nodi strutturali.” E non solo, era anche vero che “con la creazione della Cassa per gli investimenti del Mezzogiorno non tutti i problemi erano sul punto di essere risolti”. Erano gli anni degli errori, madornali errori della politica d’intervento nelle aree depresse del Sud: assistenzialismo, ramificazioni e dispersioni, sovvenzioni a pioggia. A questi errori ed interrogativi cominciò a rispondere il movimento dei nuovi soggetti del cambiamento ed artefici della redenzione della gente del Sud, i protagonisti della Questione meridionale” e tra questi non è stato da meno Gennaro Cassiani. I nuovi uomini del cambiamento hanno incarnato l’esigenza di disegnare con maggiore chiarezza e trasparenza un diverso legame e punto d’incontro tra le tante e diverse criticità del Sud, l’opportunità inderogabile delle soluzioni effettive e mirate alla programmazione del territorio che deve realizzarsi con una stretta ed intelligente compartecipazione tra gli interventi regionali e quelli speciali della Cassa del Mezzogiorno. Come è possibile la realizzazione di tanto? Cassiani l’aveva intuito se è vero che parlava di “forme di controllo” da parte dei lavoratori attraverso la gestione dei contratti di lavoro assieme alla gestione sociale e democratica di una politica occupazionale. Ed oltretutto ciò veniva facile comprenderlo al Cassiani, perché tanto gli derivava dal padre Ferdinando “conoscitore dell’animo umano in tutte le sue pieghe più riposte, in quanto sempre presente a soffrire o a gioire le esperienze sociali, crede nell’efficacia dell’esempio” come ce lo ricorda Francesco Fusca. E non solo, ancora il Fusca rammenta che gli interessi dei Cassiani, padre e figlio, “si spostano sempre più da un’area circoscritta e limitata a una più vasta ed eterogenea. Succede così che il problema albanese stabilisce un rapporto diretto con la questione meridionale e con quella nazionale”. A maggior conoscenza ed approfondimento, del nostro uomo politico resta, tra gli altri scritti, la pubblicazione “Le pietre ‘dalle due Italie alla ricostruzione nazionale’ ” edita a Roma nel 1977 dalla Casa Studi Meridionali.

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Il Mezzogiorno in mezzo al guado

Dai tempi più remoti il meridionalismo oscilla pericolosamente tra i due estremi dell’esaltazione e dell’abiezione. Tranquilli, non ce l’ho solo con i gruppuscoli odierni, ma con anche con il sommo Platone che celebrava Crotone e Locri oltre il loro merito, e con tutti i poeti e viaggiatori di passaggio che hanno creato il mito della bellezza e prosperità della terra; e con tutti quelli che invece hanno pianto e piangono le miserie del Sud assai più che miserie non fossero. Il Sud è, tutto sommato, una storia e una realtà media. Veloci esempi: non ha grandissimi poeti e letterari, però ha sommi filosofi; ha una sola grandissima città, però una popolazione disseminata in moltissimi piccoli centri vivaci; accolse ondate immigratorie, però non fu mai spopolato, e la sua emigrazione è recentissima rispetto ad altri; non conobbe istituzioni rappresentative neanche nobiliari, ma i suoi paesi e le città ebbero da sempre istituzioni comunali; non fu mai ricchissimo neanche ai tempi della mitica Magna Grecia, però mai patì la fame; non vanta molte glorie militari, però potrei elencarvi un buon numero di condottieri e guerrieri… Insomma, una storia media.

Vedete, gentili lettori, la grande storia, che è storia di gloria e di sangue e mai di pace, avviene quando in una terra ci sono grandi ricchezze e grandi povertà, cosa mai accaduta tra gli Abruzzi e lo Stretto, terra media. La più grave carenza del Meridione è la politica, intendo dire non le astratte ideologie, di cui anzi abbonda, ma il senso del reale, del possibile, della scansione temporale dei procedimenti sociali. A questa dovremmo porre riparo, se vogliano fare qualcosa per il Sud.

Secondo me: Bisogna porre fine agli entusiasmi infantili e immotivati sul passato, che soddisfano le corde vocali degli strilli al Re e i palati delle cene, ma non producono nulla di concreto; a parte che non si fondano sul vero. La storia è meglio lasciarla agli storici, i quali sanno distinguere un documento da una patacca. Devono essere ugualmente vietati i piagnistei più o meno patriottardi. Lo stesso per gli entusiasmi immotivati e infantili per il futuro, magari da affidare a sogni d’indipendenza. Mi diverte pensare ai 666 gruppuscoli che dovessero indicare il futuro re, se già manco ci si mette d’accordo per celebrare una data assieme! Serve mobilitare le energie intellettuali non nei vaghi sogni di gloria, ma nello studio della natura delle cose e della possibile utilizzazione. Esempio, se parliamo di turismo, studiare il turismo del Sud e non “Rimini, Ibiza, Acapulco”: se no facciamo come nella mia città, che costruirono un acquario mai visitato da nessuno, e alla prima pioggia saltarono le macchine e, caso unico nella storia, i pesci morirono affogati: ma l’intento era fare concorrenza a Genova! Ergo, basta chiacchiere e superbia piccolo borghese fondata sul nulla.

Le parole dividono, i fatti uniscono. Bisogna dunque individuare qualche azione concreta, che obblighi i governi italiani e le loro diramazioni locali, e l’Europa, a considerare il Meridione come una realtà capace di esercitare pressione politica, elettorale, economica. Faccio questi discorsi da anni su riviste e in convegni: l’ultima volta, l’anno scorso a Gioia del Colle, e tutti giurano che faranno così. Ma, per dirla con i nostri cugini spagnoli, plumas y palabras el viento las lleva.

Ora qualcuno risponderà ingiurie generiche e bidet di Caserta: tutti gli altri, muti!

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