L'età post ideologica e la dittatura del pensiero unico

L’ età post ideologica è un imbroglio. La pretesa fine dei grandi sistemi ideali che hanno caratterizzato il Novecento, è una colossale bufala.

Con la caduta del muro di Berlino, non sono finite le ideologie, solo una di esse: quella comunista.

A rimanere in piedi ed a prendere il sopravvento è stata, quindi, l’ideologia liberale, in assoluto la più vecchia. Come un novello Dorian Gray, il liberalismo è riuscito a cambiare volto ed a mascherare tutti i suoi anni.

A partire dagli anni Novanta, il modello liberale ha rotto gli argini. Si è prepotentemente insinuato nella vita delle persone ed ha plasmato l’epoca in cui viviamo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Stipendi da fame, contrazione dello stato sociale e polarizzazione della ricchezza, sono solo alcune delle conseguenze prodotte da politiche economiche partorite da un’ideologia che pretende di far ordinare il mondo ad una mano invisibile. Una mano, talmente invisibile, che nessuno ne percepisce la presenza.

Ad arginare l’ascesa delle politiche liberali e liberiste, in questi anni, non c’è stato nessuno. Una situazione paradossale, ma non casuale.

La retorica post-ideologica e la spersonalizzazione dell’ideologia al potere, hanno creato, infatti, l’idea che all’attuale sistema non ci siano alternative.

Complice l’imponente apparato propagandistico di cui dispone, il potere è riuscito a perpetuare se stesso.

La subdola tirannia del pensiero unico è stata, ulteriormente, rafforzata con  lo smantellamento delle sovrastrutture e la creazione di una società liquida. Il mondo dominato dal relativismo e dall’assenza di valori condivisi è stato, infatti, funzionale alla nascita dell’homo oeconomicus, ovvero il migliore alleato dell’oligarchia dominate.

Passando per la post ideologia si è arrivati, quindi, alla post politica. La nostra epoca è  segnata, infatti, dall’idea che i partiti politici debbano essere dei semplici contenitori la cui funzione non è realizzare  programmi, ma conquistare e mantenere il potere.  Di post in post, si è arrivati, infine, alla post verità, con l’ovvio corollario che ciò che conta non è la verità, ma solo la sua percezione. L’importante, beninteso, è che sia espressa in un post, ovvero nel modo più sicuro per mortificare l’intelligenza delle persone.

Articolo pubblicato su: mirkotassone.it

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Germania: 26 anni fa crollava il muro di Berlino

Sono trascorsi 26 anni dal crollo del Muro di Berlino. Un intervallo relativamente breve, ma, in un tempo dominato dalla velocità e dal ritmo vorticoso dell’informazione, sufficiente a far svanire se non il ricordo, la temperie del momento. Quello che divideva in due la capitale tedesca era molto di più di una barriera. Era il segno tangibile della distanza tra due mondi, tra due realtà contrapposte, tra due concezioni del mondo e della storia. Una striscia di cemento che segnava il confine tra le speranze e le ansia di un mondo migliore. Per i comunisti dell’Occidente dall’altra parte c’era il paradiso socialista, il sogno dell’eguaglianza e di un differente assetto dei rapporti socioeconomici. Chi viveva ad Est, vedeva nell’Occidente il trionfo della libertà e dell’opulenza. La storia del Muro è ormai nota. Venne costruito a partire nel 1961, con il fine di fermare l’emorragia che dal 1949 aveva portato oltre 2 milioni di tedeschi orientali nella parte occidentale. L’esodo, in realtà, creava apprensione anche ai vertici della Repubblica Federale Tedesca. Il progressivo spopolamento, infatti, avrebbe potuto indurre i russi a ripopolare la Germania Est con cittadini provenienti dalle regioni appartenenti allo sterminato territorio Sovietico. Un esperimento, in quegli anni, messo in atto ed ampiamente collaudato in paesi lentamente russificati. Un timore non del tutto infondato, come testimoniato ad esempio dall’enclave di Kaliningrad, l’antica capitale prussiana conosciuta con il nome di Konisberg, oggi territorio russo, quasi interamente abitato da russi ed a dispetto della continuità territoriale appartenente amministrativamente a Mosca. Le continue fughe rendevano la situazione insostenibile anche ad Est, in ragione dell’età media (25 anni) e della professione (tecnici ed operai specializzati) di chi scappava. La costruzione del Muro ebbe inizio all’1,05 del 13 agosto 1961. Pochi mesi prima, il 15 giugno nel corso di una conferenza stampa, il leader della Germania di Pankov, Walter Ulbricht, aveva smentito seccamente le voci sul progetto della costruzione di un muro: “Ho sentito anch'io questi pettegolezzi, sono falsi. Nessuno ha intenzione di farlo”. “Il muro di protezione contro i fascisti”, come venne sbrigativamente battezzato dalla propaganda comunista, si estese ben presto su una fascia di 155 Km. A presidio furono schierati centinai di uomini, tra questi i famigerati Vopos, gli appartenenti alla polizia popolare, che non esiteranno ad aprire il fuoco contro gli aspiranti fuggiaschi. Uno stillicidio lento, al termine del quale si conteranno 245 vittime, l'ultima delle quali Chris Gueffroy, il 6 febbraio del 1989. A dare l’ultima spallata al Muro, fu ufficialmente l’ambigua dichiarazione rilasciata al giornalista italiano, Riccardo Ehrmann, da Günther Schabowski, leader della Sed (il partito comunista) di Berlino Est, che, nel pomeriggio del 9 novembre 1989, annuncò che da quel momento il Muro veniva aperto per permettere "viaggi personali all'estero". Erano le sette di sera, poco dopo ebbe inizio una festa spontanea alla porta di Brandeburgo e nella Kurfürstendamm di Berlino Ovest. Il Muro veniva fatto a pezzi. Cominciava un'altra storia, l’aquila tedesca ritornava a volteggiare nel cuore d’Europa.





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