Chiaravalle Normanna, dal 25 al 28 luglio tra storia e spettacolo

Chiaravalle Centrale riscopre le sue radici normanne. Dal 25 al 28 luglio la città delle Preserre catanzaresi ospiterà convegni, dibattiti, sfilate in costumi d'epoca, rappresentazioni, spettacoli, musica, degustazioni e speciali convenzioni con tutti i ristoranti locali per valorizzare le ricette della tradizione.

Un progetto dell'amministrazione comunale, voluto e coordinato dall'assessore Gianfranco Corrado, con la collaborazione della consigliera delegata alla Cultura, Pina Rizzo, la partecipazione attiva dello storico Ulderico Nisticò, nonché il coinvolgimento della Consulta comunale della Cultura e delle associazioni chiaravallesi.

Il momento “clou” sarà rappresentato dai cortei per le vie del centro storico che richiameranno alla memoria l'arrivo dei Normanni in Calabria. Un popolo che ha lasciato tracce profonde in tutto il Sud Italia e anche nella zona di Chiaravalle.

Di impronta normanna, del resto, sembra essere il toponimo stesso della città, anche se già prima dell'XI secolo le colline che costeggiano il fiume Ancinale risultavano fortemente antropizzate, suddivise in diversi, piccoli nuclei abitati, fuochi e contrade. Furono i popoli del Nord, forse, a riunificare l'intera area da un punto di vista amministrativo, creando la nuova entità comunale poi battezzata come Claravallis (oggi Chiaravalle Centrale)?

Non va, peraltro, dimenticata la vicina presenza di una diga (cosiddetta di Murorotto) edificata proprio dai Normanni sul fiume Beltrame tra i territori comunali di San Vito sullo Ionio e Petrizzi, di cui restano ancora oggi in piedi imponenti opere murarie.

L'argomento verrà trattato alla presenza del noto cultore di storia medievale Saverio Abenavoli Montebianco, autore, tra gli altri, del saggio storico dal titolo “I Normanni a Catanzaro, Roberto il Guiscardo, Duca di Puglia e di Calabria” per la collana “I Normanni nell’Italia Meridionale” edita da La Rondine Edizioni. 

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I Normanni, la storie e le imprese degli uomini venuti dal Nord nel nuovo libro di Saverio Abenavoli Montebianco

I Normanni furono certamente i più grandi e brillanti condottieri la cui discesa dal Nord d'Europa ebbe l’effetto di rimodulare il governo, la cultura e i costumi nel Mezzogiorno d'Italia a partire dal sec. XI. 

Per tracciare alcune tappe del loro itinerario in Italia, il prof. Saverio Abenavoli Montebianco, ai prestigiosi lavori attinenti alla sua disciplina medica, l’epatologia , apprezzati da tutta la comunità scientifica nazionale e internazionale,  negli ultimi anni  ha affiancato l’interesse storico, analizzando fonti e raccogliendo una ricca documentazione collegata alla propria discendenza da questo nobile popolo.

Ora, nel 2018, - alla vigilia del suo ottantesimo genetliaco - ha dato alle stampe per l’editrice "La Rondine" di Catanzaro, "La Prima Conquista Normanna della Puglia, Melfi capitale (I Principi Avenel Drengot e l'”Onore del Monte San Michele Arcangelo")".

Questo saggio si aggiunge ai precedenti : I Normanni in Calabria. Mileto capitale (2015) e "I Normanni: mille anni di memorie storiche e genealogiche della prima dinastia normanna nell'Italia meridionale (1030-1160) degli Avenel Drengot….."(2014).

Il volume  su La Prima conquista normanna della Puglia... si articola in otto capitoli corredati dalle appendici documentaria e iconografica e da una interessante rassegna  bibliografica.

Con stile snello e accurato l’Abenavoli inizia la narrazione partendo dal quesito : “Ma chi erano veramente questi normanni?”, dopo aver ricordato che le regioni del Mezzogiorno nel corso dei secoli, erano state dominate da bizantini, arabi e longobardi.

In particolare non va trascurato che anche in Calabria si era estesa la dominazione longobarda, che ebbe in Malvito un importante gastaldato.

Senza dimenticare che quei “Barbari geniali” - come scrisse il grande statista Winston Churchill per “la disciplina, la forza, le virtù marziali ed il loro amore per la meritocrazia” dominarono la scena europea, che fu illuminata dalle loro “ competenze giuridiche”, correlate al tecnicismo amministrativo e alla saggezza di dialogare con “ genti, popoli e civiltà di razze diverse e di lingue differenti”.

La ricognizione storica si incentra di seguito sui principi Drengot, che a partire da Capua ed Aversa con Riccardo I, facendo leva sui monaci benedettini e sulla Chiesa, si estesero in Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia, dove Palermo sarebbe divenuta la capitale del Regno Normanno, dopo l’accordo di Melfi stipulato il 23 agosto 1059 tra  papa Niccolò II  e i normanni Roberto d’Altavilla e Riccardo di Aversa.

E proprio l’ordine di San Benedetto, che aveva a Montecassino una delle sedi più prestigiose (ampliata tra il 1066 e il 1071) grazie ai Normanni - come minuziosamente illustra l’Abenavoli - si insediò sul Gargano nel monastero di Monte Sant’Angelo, divulgando la profonda venerazione al “ Principe delle Milizie celesti”, che vide attivi protagonisti i suoi antenati, da Rainulf I e Riccardo I  a Guglielmo II Hauteville, fino all'imperatore Federico II di Svevia, ricordando che quella devozione derivava dal celebre santuario di Mont St. Michel in Normandia. 

Sono questi solo alcuni preziosi dettagli, illustrati anche nell’Appendice documentaria.

Si tratta perciò di un elegante saggio che può certamente arricchire la conoscenza storica, specialmente delle nuove generazioni, in modo che non vada disperso il racconto di queste memorabili imprese.

 

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Federico II Svevia "Stupor mundi", il nuovo libro di Saverio Abenavoli Montebianco

Dopo aver illustrato mille anni di memorie storiche e genealogiche della grande dinastia che governò il Mezzogiorno d’Italia tra XII e XIII secolo nel volume I Normanni edito nel 2014, Saverio Abenavoli Montebianco, illustre medico e professore presso l'università "Magna Grecia" di Catanzaro, ora propone e ci regala un intrigante profilo su Federico II [1194-1250], l'imperatore definito "stupor mundi", continuando le rigorose e minute ricerche sugli antenati della propria famiglia, strettamente legata alla stirpe Normanno-Sveva.

Federico II, ascese al trono ancora bambino sotto il tutoraggio di Innocenzo III, e sebbene indicato da Salimbene de Adam nella sua Cronica “ homo pestifer et maledictus”, affascinò tuttavia il francescano parmigiano, che «non mancò di annotare le positive qualità».

Una figura che ha da sempre attirato l’attenzione non solo di storici, ricercatori, filosofi, studiosi, letterati scrittori, poeti, artisti, laici o religiosi, ma della stessa gente comune.

Si tratta di un volume articolato in due parti: la prima parte ripercorre in 18 capitoli le vicende del Mezzogiorno, fino al XII secolo dalla discesa e conquista del Mezzogiorno d'Italia da parte degli uomini del Nord, con una premessa cronologica, nella quale è riportata anche la cronotassi dei papi coevi, a cui fanno seguito le tappe essenziali che scandiscono il sogno immarcescibile di Federico II: far diventare l'Italia Meridionale "il Giardino dell'Impero", grazie anche all'impegno di tanti monaci benedettini, in  particolare cisterciensi , verginiani e florensi.

Ma, come l’Abenavoli ricorda nel terzo capitolo, Federico II fiorì dal matrimonio di Costanza d'Altavilla con Enrico VI di Svevia, celebrato nel gennaio del 1186 a Milano nella chiesa di Sant'Ambrogio: un evento fastoso, unico, impareggiabile, e di importanza universale.

Questo splendido matrimonio fu decisamente avversato dalla politica del Papato, in quanto, l'unione del Regno di Sicilia con l'Impero, avrebbe finito per accerchiare anche fisicamente gli Stati Pontifici e relegare la presenza della Santa Sede ad un ruolo marginale ed insignificante.

Per gli Svevi, al contrario, ebbe il significato di cercare di mettere fine alle lotte tra l'Imperatore ed i ribelli delle città della Lega Lombarda ed altresì di bloccare le guerre che gli Imperatori ed i Re Europei conducevano da tempo contro il Regno Normanno di Sicilia per conquistare questo nuovo, importante, ricco e strategico Regno.

Dante Alighieri, perciò, nel III cantico del Paradiso indicò Federico II con la scintillante espressione: " Questa è la luce della gran Costanza, che dal secondo vento di Soave, generò il terzo e l'ultima possanza" .

Si passa quindi alla descrizione della nascita nella piazza di Jesi il 26 dicembre 1194 e all’ adolescenza del “Puer Apuliae” rimasto orfano di padre e madre in tenera età, in Sicilia e in Germania, ricostruite attentamente in base alle fonti e alla storiografia più accreditata e quindi alle tappe successive della vita che ebbero l’intento di realizzare  un progetto politico volto a realizzare non un avveniristico stato moderno, ma un efficace coordinamento dei poteri locali, mentre papa Gregorio IX lo sollecitava a intraprendere una nuova controversa crociata, (invisa al giovane re, che da bambino era stato accanto ai coetanei arabi a Palermo) sino a giungere dopo la conquista del Regno di Gerusalemme il 17 marzo 1229 alle Costituzioni Melfitane nel 1231, che rappresentano “ la prima ampia codificazione ufficiale  che gli Stati Europei abbiano conosciuto”, senza dimenticare il ruolo strategico della città di Capua, capitale del Principato della prima dinastia dei degli Avenel Drengot, Principi di Quarrel in Alençon, 

 Si elencano e vagliano, poi, i quattro matrimoni di Federico II: il primo nel 1209 quando quindicenne sposò Costanza d’Aragona, che partorì il primogenito Enrico (VII); il secondo, sollecitato da papa Onoro III  dopo la morte della prima moglie avvenuta nel 1222, con Isabella di Brienne, erede al trono di Gerusalemme nel 1225 la quale morì tre anni dopo dando alla luce ad Andria, Corrado; il terzo nel 1235 con Isabella, sorella del re Enrico III d’Inghilterra, da cui nacquero nel 1236 la figlia Isabella e nel 1238 Carlotto , in seguito indicato anche come Enrico.

Dopo il decesso della terza consorte per aborto spontaneo a Foggia nel 1245, nel 1248 Federico II sposò la sua vera amata: la donna “morganatica” e bellissima Bianca Lancia “con la quale – ricorda Abenavoli - il sovrano aveva avuto una lunga ed intensa relazione durante la quale erano nati i quattro figli prediletti”, Manfredi, Costanza, Violante e Selvaggia, il primo dei quali  già balio generale del Regno di Napoli avrebbe occupato la scena politica dopo la morte del padre.

L’ottavo capitolo è dedicato “al conclamato tradimento del figlio primogenito Enrico”, conosciuto come lo “sciancato” ribelle, che catturato per ordine del padre, mentre era trasferito da Nicastro a San Marco Argentano morì in un dirupo presso Martirano il 10 febbraio 1242, e quindi fu sepolto per volontà del padre nel Duomo di Cosenza in un sarcofago del IV sec.

Nei capitoli successivi vengono illustrati : il ricordo della vittoria di Cortenova con una manifestazione di solenne trionfo e con una scenografia “improntata allo stile cesareo romano” con la sfila di un carroccio simbolo della Lega Lombarda, catturato in battaglia e l’intrigante Gran Corte dei Sapienti, a partire dai valletti imperiali, tra i quali vi erano anche gli antenati dell’Abenavoli, minutamente censiti e illustrati, al seguito dell’imperatore abile nell’ “arte venandi cum avibus” e in viaggio in tutto il Mezzogiorno dove aveva innalzato tanti castelli, tema approfondito nel 13 capitolo: “La caccia e i castelli”, dei quali viene fornito un minuzioso elenco, al quale va aggiunto in Castrum Petrae Roseti di Roseto Capospulico  nello Jonio Calabrese, porta tra Apulia e Calabria.

Si analizzano poi le innovazioni legislative, a partire dalle Costituzioni di Melfi, le iniziative culturali tra cui “La scuola poetica Siciliana” e “Lo Studio Generale di Napoli”, come pure l’eterno conflitto tra Stato e Chiesa, che avrebbe determinato la scomunica dell’imperatore svevo e il “tramonto” di Federico che rimarcò il monito “sic transit gloria mundi”.

La seconda parte del volume è dedicata al gran cancelliere Pier delle Vigne "anima gemella" di Federico II: un personaggio affascinante, descritto da Dante nella XIII canto dell’Inferno come colui che tenne entrambe le chiavi del cuore diFedereico per il compito e gli uffici ricoperti e soprattutto per le riforme introdotte.

Completano il saggio numerose immagini e una sintetica essenziale bibliografia.

Un volume che certamente varrebbe la pena  diffondere  nelle nostre scuole per una gradevole lettura di professori e studenti.

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Catanzaro, la città della seta

Nel corso dei secoli Catanzaro, città levantina, ha saputo intrecciare e coniugare diversi filoni di culture, soprattutto mediterranee, che oggi devono essere recuperati e valorizzati a partire dalla seta.

Per molti secoli – tra l’XI e il XVII – Catanzaro fu un importante centro della lavorazione della seta, rinomato in tutta Europa per la produzione dei velluti.

Introdotta tale manifattura da orientali prima del secolo XI ,  fu favorita dai Normanni nel “triangolo della seta”, che ricade tra San Floro, Borgia e Cortale.

A tale riguardo è utile punto di partenza il prezioso catalogo, L' arte della seta in Catanzaro: esposizione di tessuti antichi e moderni …, Catanzaro, 1898.

Del progresso nell’arte si ha la prova nello stupendo damasco stellato in oro che la città donò nel 1397 al re Ladislao in segno di gratitudine per l’esenzione di alcune tasse e nel fatto che nel 1470 artefici catanzaresi furono chiamati a Tours per insegnare l’arte ai Francesi. 

Famosa fu la fiera che si teneva a Santa Chiara, l’attuale Palazzo Municipale, per 15 giorni, alla quale accorrevano negozianti d’ogni parte.

L’industria richiamò numerosi ebrei, che ebbero il ghetto dietro l’odierno palazzo Fazzari. Catanzaro fu celebre in particolare per i velluti: era detta infatti la città delle tre V, con riferimento a questi tessuti, al vento che vi spira molto di frequente, e a San Vitaliano, patrono, come fu notato nel prezioso catalogo, L' arte della seta in Catanzaro: esposizione di tessuti antichi e moderni …, Catanzaro, 1898.

 A metà del XVII secolo la città, con una popolazione di circa 16 mila abitanti, aveva mille telai con 5 mila lavoratori; la peste del 1668 stremò talmente la città che la fiera non si tenne più e l’industria precipitò.

Ora è giunto finalmente il momento che ha avviato una larga gamma di iniziative rivolte, in particolare a disegnatori e progettisti tessili, studenti e insegnanti di materie tessili, storici e studiosi del tessuto, funzionari di musei e collezioni, restauratori e conservatori, persone interessate alla tessitura a mano, dalle tecniche più semplici a quelle più complesse, oltre alla possibilità di organizzare corsi personalizzati.

È una splendida occasione per rivitalizzare, anche sotto il profilo economico, Catanzaro e il suo distretto.

 

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L'abbazia italo-greca di san Filippo d'Argirò

Ben pochi ruderi ma imponenti rimangono ancora oggi dell’antica e gloriosa abbazia italo-greca di San Filippo d’Argirò sita in diocesi di Gerace tra Anoja e Cinquefrondi (RC) sul declivio di una collina a nord del torrente Sciarapotamo, a circa 350 m s.l.m. e a 3 km ad est del centro abitato di quest’ultimo paese.

La gran parte degli studiosi la ritiene fondata da Ruggero II durante gli anni del suo governo (1128-1154), probabilmente nel 1130, sotto il pontificato di Innocenzo II. Non conosciamo di certo quando il monastero di San Filippo venne abbandonato dalla comunità italo-greca, anche se poi venne utilizzato da altri ordini religiosi, come attesta P. Giovanni Fiore da Cropani nella sua opera Della Calabria illustrata – scritta prima del suo decesso avvenuto nel 1683 – nella quale testualmente si legge: «oggidì dei Minori Osservanti». Le fabbriche, invece, furono abbandonate definitivamente nel 1774, e già logorate dal tempo, vennero poi completamente distrutte dal terremoto del 1783.

Per fortuna il ricco patrimonio archivistico e librario del cenobio, ricordato da Atanasio Calceopulo nel Liber Visitationis, non andò completamente disperso. Nei rendiconti della sua visita al monastero nel 1457 egli scriveva infatti che al San Filippo si conservava una cassea cum privilegiis monasteri.

Nella platea del 1507, compilata a distanza di cinquant’anni dalla visita del Calceopulo –  conservata nell’archivio vescovile di Locri-Gerace –, vengono ricordati innumerevoli libri e privilegi latini e greci; fonti in parte utilizzate da Ottaviano Pasqua nella compilazione della sua

I documenti del San Basilio durante il decennio francese, vennero trasferiti a Parigi, per essere poi parzialmente restituiti all’Archivio Vaticano dopo il congresso di Vienna, dove costituiscono attualmente l’intero corpus del Fondo Basiliani.

La platea ms. conservata presso l’archivio della diocesi di Locri-Gerace, sulla quale è riportato il titolo “Platea dell’Abbadia di S. Filippo d’Argirò” è stata ora pubblicata nel l’ultimo numero della prestigiosa rivista “Bollettino dell’Abbazia di Grottaferrata “ a12(2015), pp. 237-290, a cura di chi scrive.

In essa si legge l’inventario dei beni mobili, stabili e dei censi dell’abbazia del 1507 compilato da don Francesco de Domenico, cancelliere della curia episcopale geracese, con gli aggiornamenti del 1565 e del 1697.

Nella platea dell’archivio diocesano di Gerace il monastero di San Filippo d’Argirò appare molto vitale e fiorente dal punto di vista economico, ma anche nella sua struttura, solida e rinnovata (intavolato di novo), e possiede una ricchissima suppellettile, della quale viene fornita una minuziosa ed accurata descrizione.

Tra i beni e mobili il monastero possedeva infatti numerose tele, drappi pregiati in lino e seta, tovaglie, calici. Tra gli affreschi sulle mura anche uno che raffigura lo stesso San Filippo. Nella chiesa vi era inoltre un fonte battesimale in marmo. Nel campanile si trovava una grande campana.

Dettagliato è anche l’elenco di piccoli oggetti di uso quotidiano, per i quali la platea si rivela molto interessante dal punto di vista glottologico e dialettale.

Il complesso monastico, pur lontano dal centro abitato di Gerace, non appare completamente isolato. Era infatti tutto circondato da una serie di piccoli edifici, come alcune case ed altre chiese o luoghi di culto, tra cui anche l’antica chiesa di San Filippo, probabilmente la precedente chiesa del monastero preesistente al monastero ricostruito poco distante per intervento di Ruggero il Granconte.

Poco lontano si trovavano le due grandi grancie del monastero, Santa Maria de Pristarona quella della Mantinea, sita proprio nel Borghetto di Gerace,  che possedeva o antichi libri ecclesiastici in greco e numerosi privilegi e contratti in greco e latino.

Questa  grancia si trovava attaccata alle mura di cinta della cortina della terra di Gerace, nei pressi di una delle porte d’accesso. Vi era ancora una saletta ed una casina con il forno, il cellaro dove si conservava il vino, una stalla ed il granaio, tutti circondati da alberi di mele, melograni e fichi. Insomma una piccola corte monastica gestita secondo modelli di un’economia di base autarchica, a carattere agricolo, sul modello del sistema curtense feudale.

Nella descrizione dei confini dei possedimenti, il testo si rivela molto interessante per la presenza di numerosi agiotoponimi, che darebbero adito alla presenza di luoghi di culto nel territorio dell’entro- terra geracese. Ma ancor più importante è l’ideale linea di confine dei beni che coincide con le principali vie di comunicazione del territorio, aspro ed impervio, che nella maggior parte dei casi si limitano ad essere piccoli sentieri, le creste delle montagne ed in particolar modo le fiumare. Non mancano tuttavia vie di collegamento tra Gerace ed i piccoli centri abitati circostanti.

In questo vasto territorio, costituito da immensi pascoli, era consuetudine locale che vi si potesse da parte dei cittadini esercitare l’uso civico del pascolo, dell’erbatico, della semina, della raccolta dei frutti e del glandatico, previa autorizzazione dell’abbate e pagamento della relativa gabella.

 La platea dell’abbazia di San Filippo d’Argirò costituisce, perciò un prezioso tassello per la storia della Locride in cui coesistevano modelli multietnici e interculturali propri di popolazioni provenienti sia da Oriente che da Occidente, diverse per tradizioni, per aspetti sociali ed economici, per lingue e liturgie: connotazioni tutte che rendevano la Calabria, ed ancor oggi per molti versi la rendono particolare e certamente non omologabile, alle stesse province dell’Italia meridionale continentale e insulare.

 

 

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Le Serre patrimonio dell'umanità

È certamente una lodevole iniziativa,  il neonato progetto della Fondazione culturale per lo sviluppo delle aree interne dello Jonio, da Soverato alle Preserre e Serre Calabre.

Il boom delle adesioni testimonia la grande attenzione e l'amore che gli abitanti di quelle zone - e non solo - hanno per la loro terra di paradiso, spesso trascurata da istituzioni locali e nazionali.

Occorre, però, - mio avviso - stabilire tappe e mete ben precise sulla base di adeguate risorse per evitare rimpianti e delusioni, consapevoli del solito dissennato ritornello della classe politica, che al cambio di gestione, canta sempre : "ecce nova facio omnia" ( rinnoverò tutto, iniziando daccapo), concludendo ben poco.

Nella fattispecie, per esempio, quattro anni or sono si pensò ad un consorzio di comuni, capofila la cittadina "normanna " Torre di Ruggiero, dopo un convegno svolto nell'affascinante Agriturismo " Torello" . 

Proprio a Chiaravalle Centrale nell' ottobre 2013 fu allestita nella Biblioteca del Convento dei Frati francescani la Mostra " Ex reconditis relucet Claravallis " curata dal sottoscritto e da Ulderico Nistico, da sempre tenace e saggio sostenitore della cultura.

In essa risplendevano copie di documenti prestigiosi, come la bolla di Lucio III del 1184 con la quale si concedeva all' archidiocesi di Santa Severina la possibilità di recitare il Credo, senza l' utroque, cioè nella versione bizantina, la Carta geografica del Mezzogiorno redatta da Idrisi nel Libro del re Ruggero del 1154, e una lettera autografa di S. Francesco di Paola. 

L'iniziativa era stata concepita dall'assessore regionale alla Cultura Mario Caligiuri, che l'aveva correlata alla Mostra " Lux in arcana" allestita a Roma nel 2012 nei Musei Capitolini a cura dell'Archivio Segreto Vaticano.

È pleonastico dirlo: a Chiaravalle non solo non si andò avanti, ma alcune ricompense dovute finirono - con buona pace ! - nel....limbo dei "carmina non dant panem".

C' è da augurarsi davvero che il neo nato progetto possa adoperarsi per ottenere fondi europei, facendo magari stipulare gemellaggi con città europee legate, come quelle delle Serre ai Normanni o a sedi di Certose.

E che Dio ci aiuti, per dirla con "suor Angela" Elena Sofia Ricci.

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