Il Consiglio di Stato boccia le nozze gay

“La diversità uomo-donna è la connotazione ontologica del matrimonio, per cui in Italia le nozze tra persone dello stesso sesso non sono previste e, se avvenute all' estero, le trascrizioni nei registri comunali devono essere considerate illegittime”. Queste le motivazioni alla base della sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del Tar annullando il registro istituito dal Comune di Roma per la trascrizione delle nozze gay celebrate all’estero. I giudici di palazzo Spada hanno indicato “la diversità di sesso dei nubendi quale prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio […] in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell'istituto, oltre che all'ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna”. In altri termini, secondo i giudici del Consiglio di Stato, il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso è “sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento»”. L'atto, quindi, non è da ritenersi “nullo, bensì “inesistente”, dal momento che manca “di un elemento essenziale della sua stessa giuridica esistenza”. Pertanto, “il matrimonio omosessuale deve intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate proprio in quanto privo dell'indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell'atto di matrimonio”. La sentenza ha, inoltre, riconosciuto, la legittimità della decisione del prefetto di Roma di annullare le trascrizioni delle unioni omosessuali all'estero disposte dal sindaco Ignazio Marino. Il Tar aveva negato al prefetto questo potere, “reputando la relativa potestà riservata in via esclusiva al giudice ordinario”. Il Consiglio di Stato nel ribaltare la decisione ha evidenziato che il “potere di annullamento gerarchico d'ufficio da parte del prefetto degli atti illegittimi adottati dal sindaco, nella qualità di ufficiale di governo, senza il quale, peraltro, il loro scopo evidente, agevolmente identificabile nell'attribuzione al prefetto di tutti i poteri idonei ad assicurare la corretta gestione della funzione in questione, resterebbe vanificato. […] se si negasse al prefetto la potestà in questione – prosegue la sentenza- la sua posizione di sovraordinazione rispetto al sindaco (allorchè agisce come ufficiale di governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire l'osservanza delle direttive impartite dal ministro dell'interno ai sindaci e, in definitiva, ad impedire disfunzioni o irregolarità nell'amministrazione dei registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine”.

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