Imprenditore contiguo alla 'ndrangheta: tutti i dettagli del sequestro da 215 milioni di euro

Sotto il coordinamento della Procura della Repubblica le Fiamme Gialle del locale Comando Provinciale, del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e del Servizio Centrale I.C.O. di Roma hanno eseguito, in Calabria e in Campania, un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria con il quale è stata disposta, nei confronti del noto imprenditore Alfonso Annunziata, l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro dell’intero patrimonio aziendale di 4 imprese e delle quote di 2 società di capitali, di 85 unità immobiliari, di 42 rapporti finanziari  personali e aziendali, nonché di denaro contante per quasi 700.000 euro, il tutto per un valore stimato pari a circa 215 milioni di euro. Tale provvedimento si fonda sulle risultanze acquisite a seguito dell’operazione "Bucefalo" condotta dalla Guardia di Finanza - nell’ambito del quale, nel mese di marzo dello scorso anno, Alfonso Annunziata era stato raggiunto da un’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal giudice delle indagini preliminari di Reggio Calabria. Proprio in relazione a tali vicende, si sta celebrando in questi giorni presso il Tribunale di Palmi il processo che lo vede imputato in quanto ritenuto, tra l'altro, partecipe alle attività illecite della cosca di 'ndrangheta Piromalli, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria. In particolare, come evidenziato nell'ordinanza, Annunziata "non è un imprenditore vittima, non è stato e non è costretto a favorire la cosca Piromalli. Al contrario, è un soggetto storicamente legato ai componenti di vertice della famiglia Piromalli, dal 95enne Don Peppino fino al 71enne Pino Piromalli (…) ed è, dunque, un soggetto intraneo che si presta da oltre venti anni, volontariamente e consapevolmente, al perseguimento degli scopi imprenditoriali ed economici della cosca, così creando e sviluppando, nel tempo, solide cointeressenze economiche, accompagnate da ingenti investimenti commerciali nel territorio di Gioia Tauro (un esempio per tutti la realizzazione del parco commerciale Annunziata). In definitiva, Annunziata è da ritenere partecipe della cosca Piromalli, rappresentandone (…) il «cuore imprenditoriale»". È emersa, quindi, l’esistenza, secondo gli inquirenti, di un indissolubile rapporto di cointeressenza economico-criminale tra Alfonso Annunziata e la cosca Piromalli che sarebbe nato sin dalla prima metà degli anni ’80, che si sarebbe definitivamente sviluppato tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 e che sarebbe proseguito ininterrottamente fino all’attualità. La risalenza nel tempo del rapporto di contiguità con la cosca Piromalli ha trovato riscontro in dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia nonché nella complessa e articolata attività investigativa svolta anche mediante intercettazioni telefoniche e ambientali. In tal senso significativa di tale stretto rapporto di contiguità è la conversazione, captata in modalità ambientale, in cui Annunziata, dialogando all’interno della propria autovettura con la moglie Domenica e passando davanti a un terreno in cui attualmente si trova una villa di proprietà della famiglia Piromalli nei pressi del cimitero di Goia Tauro, raccontava alla propria consorte di quando si era più volte recato a trovare "Peppe il vecchio" (ovvero il boss Giuseppe Piromalli) quando quest’ultimo - all’epoca latitante (già ricercato nel luglio 1979 e tratto in arresto nel 1984) - si trovava all'interno di una baracca a giocare a carte con altri amici. Annunziata pertanto, sarebbe stato un punto di riferimento fondamentale per le attività economiche del clan Piromalli, svolgendo anche il ruolo di "garante ambientale" per gli imprenditori interessati a operare presso l’omonimo centro commerciale che a lui si rivolgevano nella consapevolezza del suo collegamento con la cosca. Una volta delineato il profilo di pericolosità sociale qualificata dell'imprenditore, l’attività investigativa si è concentrata, poi, sulla ricostruzione del complesso dei beni di cui Alfonso Annunziata e il suo nucleo familiare sono risultati poter disporre, direttamente o indirettamente, nell’arco temporale intercorrente dal 1979 al 2013, accertando la netta sproporzione esistente tra i redditi dichiarati o le attività economiche svolte e la progressiva accumulazione patrimoniale personale e familiare dell’imprenditore. Sulla base di tale sproporzione e dell’ulteriore quadro probatorio raccolto dagli inquirenti, il patrimonio oggetto della  misura di prevenzione è stato, pertanto, ritenuto il frutto o il reimpiego dei proventi di attività illecite. A tal fine è stata estrapolata e acquisita copiosa documentazione - consistente in contratti di compravendita di beni immobili, di quote societarie, atti notarili, ecc. - necessaria a ricostruire ogni singola operazione economica effettuata dal medesimo nucleo familiare. Il materiale così acquisito è stato oggetto, quindi, di circonstanziati approfondimenti tesi a ricostruire, con dovizia di particolari, tutte le movimentazioni finanziarie eseguite da Annunziata e dai suoi familiari, che hanno determinato un arricchimento decisamente anomalo, se rapportato alla lecita capacità reddituale dichiarata dai soggetti investigati. Sotto il profilo della disponibilità dei beni, gli organi inquirenti non solo hanno individuato quegli asset patrimoniali di cui Alfonso Annunziata è risultato titolare o per i quali ha operato, in capo allo stesso, la presunzione legislativa di disponibilità; ma hanno altresì raccolto dati considerati oggettivi e concreti che hanno consentito di ritenere che l'imprenditore, al di là della formale intestazione dei beni, ne è risultato essere l’effettivo dominus. In esecuzione del Decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria è stato sequestrato ad Alfonso Annunziata e al suo nucleo familiare il seguente patrimonio:

intero patrimonio aziendale della ditta individuale Annunziata Alfonso con sede legale a Gioia Tauro, via Nazionale nr. 111 e unità locale a Vibo Valentia, S.S. 18 - località Spoletino (Partita Iva: 00163750805);

intero patrimonio aziendale della "Annunziata S.r.l.", con sede legale a Gioia Tauro, via Nazionale 111 s.n.c., e due unità locali a Gioia Tauro, rispettivamente, in via Strada Statale 111 s.n.c. (località Calcò) e via Nazionale 111 s.n.c. (Parco Commerciale Annunziata) (Partita Iva 01356300804);

26,67% delle quote societarie della "Geim Service S.r.l.", con sede legale a Gioia Tauro, via Napoli nr. 5 (Partita Iva 02194290801);

intero patrimonio aziendale della "Centro Più Annunziata di Annunziata Alfonso & S.N.C.", con sede legale a San Giuseppe Vesuviano, in provincia di Napoli, via Scopali Palazzo Annunziata (Partita Iva 02588241212);

6% delle quote societarie della "Sim  S.p.A.", con sede legale a Gioia Tauro, via Aspromonte nr. 8 (Partita Iva 02152090805);

intero patrimonio aziendale della "Annunziata Group S.r.l.", con sede legale a Gioia Tauro, via Nazionale 111 nr. 294, e due unità locali a Gioia Tauro, rispettivamente, aVibo Valentia, via Nazionale 18 s.n.c. e a Feroleto Antico, in provincia di Reggio Calabria, località Garrube s.n.c. (Partita Iva 02787710801);

85 beni immobili, tra ville, appartamenti, locali commerciali e terreni ubicati nelle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Napoli;

42 rapporti finanziari personali o aziendali;

denaro contante per un importo pari a quasi 700.000 euro.

Conclusivamente, personale del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e del Servizio Centrale I.C.O. di Roma hanno sottoposto a sequestro di prevenzione, nei confronti di Alfonso Annunziata e di 4 componenti del suo nucleo familiare, l’intero patrimonio aziendale di 4 imprese e le quote di 2 società di capitali, 85 unità immobiliari, 42 rapporti finanziari personali e aziendali nonché denaro contante per quasi 700.000 euro, il tutto per un valore stimato pari a circa 215 milioni di euro.

 

Sequestrati beni per 2,5 milioni di euro ad imprenditore considerato affiliato alla 'ndrangheta

La Direzione Distrettuale Antimafia ha ottenuto dalla Sezione Misure di Prevenzione del  Tribunale un ulteriore provvedimento di confisca preventiva di beni mobili ed immobili, per un valore di circa 2,5 milioni di euro, riconducibili al patrimonio di Domenico Frascà, 56enne di Roccella Jonica, in provincia di Reggio Calabria, e del suo nucleo familiare, già destinatario di analogo sequestro beni, per un valore di 12 milioni di euro, operato il 24 febbraio scorso. Nella mattinata odierna i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno dato esecuzione al provvedimento nei confronti di Frascà, ritenuto contiguo alla cosca Mazzaferro, operante in particolare nel Comune di Gioiosa Jonica. L’attività costituisce la prosecuzione dell’operazione "Crimine", nell’ambito della quale Frascà è stato indagato e successivamente condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi di reclusione, condanna confermata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria e rideterminata in due anni per la scelta del rito abbreviato in ordine al reato di illecita concorrenza sleale pluriaggravata, in quanto in concorso con altri soggetti avrebbe posto in essere atti di illecita concorrenza sleale volti al condizionamento dei lavori relativi all’esecuzione dell’appalto avente ad oggetto la realizzazione del tratto della S.S. 106 – Variante al centro abitato di Marina di Gioiosa Jonica, con le aggravanti di avere commesso il fatto per attività finanziata in tutto o in parte dallo Stato e di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis ed al fine di agevolare la associazione mafiosa denominata 'ndrangheta. Con l’operazione "Crimine", infatti, è stato ben delineato, sostengono gli inquirenti, il forte condizionamento esercitato dalle cosche Aquino e Mazzaferro nell’esecuzione dei lavori per la realizzazione del tratto della SS 106 - variante al centro abitato di Marina di Gioiosa Ionica mediante l’imposizione alla Gioiosa Scarl, aggiudicataria dell’appalto, di proprie imprese di riferimento. In particolare, secondo la ricostruzione dei titolari dell'indagine, nel corso dei lavori la ditta Tra-Edil Frascà S.r.l., riconducibile a Domenico Frascà, si affianca e sostituisce la ditta Ediltrichilo s.r.l. (impresa sospettata di essere vicina agli Aquino) all’indomani di due danneggiamenti alla ditta Gioiosa Scarl. Significativo risulta, asseriscono gli investigatori, il dato che tale sostituzione avviene in condizioni economiche svantaggiose, infatti  Frascà sarebbe riuscito ad "imporre" senza nessuno sforzo un prezzo del ferro superiore a quello praticato dall’impresa uscente, la Ediltrichilo, evidentemente, è il giudizio degli inquirenti, in un’ottica di riequilibrio dei guadagni delle due cosche di riferimento delle due ditte, non spiegandosi, è l'idea degli inquirenti, in alcun modo la scelta di sostituire una ditta con un’altra per pagare anche un prezzo più alto per lo stesso tipo di materiale. Eloquente dell’imposizione della ditta Tra-Edil Frascà S.r.l. è stato poi ritenuto il dato oggettivo per cui dal momento della stipula del contratto con la ditta Tra-Edil non si siano più verificati sul cantiere atti intimidatori. L’odierno provvedimento scaturisce dalle risultanze investigative patrimoniali del Reparto Operativo dei Carabinieri reggini, che a seguito dell’esecuzione del primo sequestro hanno svolto ulteriori approfondimenti sulle consistenze patrimoniali di Frascà, individuando: un’impresa operante nel settore edile, con sede a Roccella Jonica, e relativo patrimonio aziendale; due terreni nelle campagne del Comune di Roccella Jonica; ulteriori rapporti bancari riconducibili ai destinatari del provvedimento, per un valore economico complessivo che si aggira intorno ai 2,5 milioni di euro.

 

 

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'Ndrangheta. Sequestrate concessionaria di auto e disponibilità finanziarie di due coniugi

I militari della Guardia di Finanza hanno effettuato indagini economico/patrimoniali nei confronti di due coniugi e della società, una concessionaria di autoveicoli, formalmente amministrata dalla moglie, ma di fatto gestita dal marito, già destinatario di misura di prevenzione per essere stato riconosciuto organico alla cosca Labate. L’indagine svolta dalle Fiamme Gialle del Comando provinciale di Reggio Calabria ha permesso di dimostrare, a parere degli investigatori, che la società oggi sequestrata, costituita nel 2013, altro non era che la naturale continuazione di una precedente attività, già condotta dal soggetto destinatario della misura di prevenzione, il quale ha fittiziamente indicato la propria consorte quale amministratrice della società oggi operante, al fine di aggirare i vincoli della legge antimafia cui è sottoposto. Contestata quindi l’amministrazione esclusivamente cartolare della moglie per via dei limiti imposti al proprio coniuge dalla normativa antimafia, la società ed il relativo compendio sociale stimato in circa 300.000 euro, composto da un nutrito parco auto tra cui vetture di lusso quali una Jaguar e una Mercedes, su disposizione dell’autorità giudiziaria, unitamente alle disponibilità finanziarie dei coniugi, sono stati posti sotto sequestro dai Militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e messi a disposizione della stessa autorità giudiziaria.

'Ndrangheta. Operazione "Nettuno": sequestrato anche il centro commerciale "Due Mari"

Una importante operazione condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catanzaro, sia in territorio calabrese che nazionale, mediante l’impiego di circa 200 militari, diretta dalla Procura della Repubblica–Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, ha permesso, attraverso l’espletamento di un’intensa attività di Polizia Giudiziaria di natura economico-finanziaria sul conto di vari soggetti che avrebbero fatto riferimento alla cosca "Iannazzo", attiva sul territorio di Lamezia Terme, di sottoporre a sequestro un ingentissimo patrimonio composto da numerosi beni mobili, immobili, quote societarie, disponibilità finanziarie e da complessi aziendali riconducibili a diverse società. Le attività svolte dalle Fiamme Gialle catanzaresi, coordinate dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, sono state condotte mediante l’esecuzione di accertamenti bancari, attività tecniche e l’analisi delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia ed hanno consentito di giungere all’emissione, a seguito di specifica richiesta dell’Autorità Giudiziaria inquirente, da parte del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, del provvedimento di sequestro preventivo che ha interessato anche beni ubicati nelle province di Reggio Calabria, Cosenza e Vibo Valentia. In particolare, l’attività investigativa si è sviluppata attraverso accertamenti economico-patrimoniali finalizzati all’applicazione dell’articolo 12 sexies della legge 356/92, nei confronti di 65 persone fisiche e 44 persone giuridiche che hanno permesso di giungere al sequestro di beni mobili (automezzi, rapporti bancari, quote societarie), immobili (appezzamenti di terreni, appartamenti, fabbricati) e di complessi aziendali relativi ad attività commerciali in diversi settori economici (calzature, costruzioni, commercio, autoveicoli) nella disponibilità di personaggi sospettati di essere al vertice della cosca Iannazzo. Inoltre, mediante una complessa attività info-investigativa diretta a riscontrare gli elementi indiziari forniti da diversi collaboratori di giustizia, è stato possibile procedere al sequestro preventivo di ulteriori beni mobili ed immobili e di complessi aziendali relativi ad attività economiche operanti nella grande distribuzione alimentare dislocate in 4 province calabresi facenti capo ad uno degli imprenditori di maggior rilievo dell’intero territorio calabrese. Il valore complessivo dei beni sequestrati, tra cui figura il centro commerciale "Due Mari", stimabile in 500 milioni di euro, è costituito da rapporti bancari, 53 terreni, 27 autoveicoli/motocicli, 21 quote societarie e 24 complessi aziendali dei quali 17 operanti nella grande distribuzione alimentare. 

 

 

'Ndrangheta: in corso un sequestro di beni per mezzo miliardo di euro

Alle 11.30 del 21 marzo 2016, presso la caserma "Soveria Mannelli" sede del Comando provinciale, della Guardia di Finanza il Procuratore facente funzioni della Procura della Repubblica di Catanzaro, Giovanni Bombardieri - illustrerà in conferenza stampa gli esiti di una importante operazione di servizio in materia di criminalità organizzata a cura del Nucleo di Polizia Tributaria di Catanzaro, che sta portando al sequestro di beni per un valore stimato di 500 milioni di euro nei confronti di una cosca operante in provincia. Nel mirino degli investigatori gli interessi perseguiti dalla cosca Iannazzo, operativa nell'area di Lamezia Terme. Il provvedimento in corso di esecuzione da parte delle Fiamme Gialle comprende appartamenti, appezzamenti di terreno, attività commerciali, automezzi, fabbricati, conti correnti bancari, fabbricati, quote societari. I sigilli sono stati apposti pure al centro commerciale Due Mari", a Maida, appartenente all'imprenditore Franco Perri.

 

 

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Imprenditore legato alla ‘ndrangheta nel Vibonese: sequestrati 2 atelier di abiti da sposa

Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale della Guardia di Finanza - sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria - hanno proceduto alla confisca nei confronti di un imprenditore del vibonese, Ettore Tassi, di 2 imprese - operanti nel settore del confezionamento di abiti da sposa - con sede a Vibo Valentia, di rapporti finanziari nonché di innumerevoli beni immobili, tra cui una villa con piscina sita in Ricadi, il tutto per un valore stimato pari a quasi 6 milioni di euro. Tale provvedimento, emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, rappresenta l’epilogo dell’articolata e capillare attività investigativa svolta dal Nucleo di Polizia Tributaria - G.I.C.O. di Reggio Calabria, che ha permesso di accertare un’ingiustificata discordanza tra il reddito dichiarato (pari in diverse annualità, addirittura, a zero) e il patrimonio a disposizione, direttamente o indirettamente, dell’imprenditore che, secondo gli inquirenti, sarebbe contraddistinto da pericolosità sociale qualificata in quanto riconosciuto appartenente alla cosca di ‘ndrangheta Molè di Gioia Tauro con radicate ramificazioni operative in varie Regioni italiane. A tal fine è stata estrapolata e acquisita copiosa documentazione - ufficiale e non - quale contratti di compravendita di beni immobili, di quote societarie, atti notarili, scritture private ecc., necessari a ricostruire ogni singola operazione economica effettuata dall’imprenditore e dal proprio nucleo familiare. Il materiale così acquisito è stato oggetto, quindi, di circostanziati approfondimenti tesi a ricostruire, con dovizia di particolari, tutte le movimentazioni finanziarie eseguite da Tassi e dai propri familiari, le quali, nel corso dell’ultimo trentennio, hanno determinato un arricchimento decisamente anomalo, se rapportato alla lecita capacità reddituale dichiarata dai soggetti investigati. Tassi era stato già sottoposto alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per anni due e, da ultimo, condannato - con sentenza passata in giudicato della Corte di Appello di Reggio Calabria in data 18.12.2006 - alla pena detentiva di 4 anni e 6 mesi di reclusione per i delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, rapina tentata, furto e detenzione illegale di armi. In particolare, l’attività investigativa svolta dal Nucleo PT/G.I.C.O. ha consentito di confiscare la totalità delle quote sociali e del patrimonio aziendale di due noti atelier di abiti da sposa i quali, sebbene formalmente intestati alle figlie di Tassi, erano nella disponibilità di fatto di quest’ultimo. Infatti, detti atelier erano stati costituiti dalle figlie dell’imprenditore in rapida successione tra il 2011 ed il 2012, nonostante l’assenza da parte di queste ultime della necessaria capacità finanziaria per far fronte all’avvio di tali iniziative imprenditoriali. Nello specifico - in esecuzione dei pertinenti decreti emessi dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria - sono stati confiscati i seguenti beni:

• intero patrimonio aziendale della ditta individuale “Le Spose di Chiara” di Tassi Chiara, con sede nel Comune di Vibo Valentia;

• totalità delle quote sociali e del patrimonio aziendale (comprensivo di conti correnti e mobili registrati) di “Le spose di Chiara s.r.l.”, con sede legale nel Comune di Ionadi e unità locale nel Comune di Vibo Valentia; 

• numerosi fabbricati e terreni siti nel Comune di Ricadi, tra cui una lussuosa villa sita in località Fortino Santa Maria;

• 2 depositi a risparmio nominativi.

Conclusivamente il Comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha proceduto alla confisca di 2 imprese, di vari immobili, tra cui una villa di pregio, nonché di depositi a risparmio, il tutto per un valore complessivo stimato pari a quasi 6 milioni di euro.

Operazione “Turpe lucrum”, sequestrati beni per circa 11 milioni ad un presunto usuraio

La Guardia di Finanza ha appena eseguito una complessa ordinanza di sequestro di numerosi beni appartenenti a ad un presunto usuraio. Il provvedimento, adottato ex art. 12 sexies della legge 356/92, è stato emesso dall’ufficio Gip del Tribunale di Lamezia Terme, su conforme richiesta della Procura della Repubblica alla sede, articolata sulla base delle informative del Gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia Terme. La misura patrimoniale è stata attuata nei confronti di un imprenditore lametino, la cui notevole e rapida ascesa economica e finanziaria ha insospettito le “Fiamme gialle”, poichè l’elevato tenore di vita mantenuto e le importanti e recenti acquisizioni immobiliari effettuate dallo stesso non trovavano riscontro adeguato nella redditività lecita dichiarata negli ultimi 15 anni. Il provvedimento cautelare reale appena eseguito costituisce un ulteriore sviluppo - attuato questa volta sul piano patrimoniale dalla Guardia di Finanza - delle indagini di Polizia giudiziaria che avevano già portato alla notifica, nei confronti del medesimo imprenditore, di un avviso di garanzia e di conclusione delle indagini preliminari, a vario titolo, per usura e altri illeciti connessi. In particolare, erano stati acquisiti elementi probatori sulla base dei quali la Procura della Repubblica di Lamezia Terme ha ravvisato, nei confronti dell’indagato, la sussistenza delle ipotesi di reato di usura ed esercizio abusivo del credito a danno di tre vittime, le quali, a fronte di prestiti in denaro erogati dall’indagato, avrebbero corrisposto a quest’ultimo interessi variabili dal 51,58% al 93,31% annuo. Concluse le attività investigative finalizzate ad accertare le condotte illecite dell’indagato, i finanzieri hanno concentrato l’attenzione verso il notevole patrimonio sospetto, accumulato in breve tempo dall’imprenditore, per verificare se lo stesso rappresentasse il normale frutto dei redditi derivanti dalle attività aziendali svolte ovvero il provento derivante da attività illecite. In proposito, gli accertamenti patrimoniali e reddituali delle Fiamme gialle, coordinate dalla Procura della Repubblica di Lamezia Terme, sono riusciti a dimostrare che i beni, per i quali l’Autorità giudiziaria ha ora disposto il sequestro, sono di valore sproporzionato ed ingiustificato rispetto ai redditi leciti dichiarati dall’imprenditore. Le indagini, durate circa un anno, sono peraltro risultate particolarmente complesse, in quanto hanno riguardato, oltre alla posizione dell’indagato, anche quella del suo nucleo familiare, della sua famiglia d’origine, di altri soggetti collegati e di 13 aziende avviate dall’indagato sotto forma di società di persone, società di capitali e ditte individuali. Nel corso delle indagini, le Fiamme gialle lametine hanno quindi approfondito decine di migliaia di movimentazioni finanziarie effettuate su oltre 100 conti correnti e depositi bancari ed hanno dovuto rapportare i flussi economici registrati in un periodo temporale di circa 15 anni con le dichiarazioni reddituali non solo dell’indagato, ma anche delle aziende e delle persone fisiche comunque collegate allo stesso imprenditore, nonchè con la documentazione contabile delle società a lui riconducibili o partecipate di diritto o di fatto. Inoltre, nel contesto, i finanzieri hanno dovuto ricostruire compiutamente una fitta rete di atti relativi a compravendite e trasferimenti di proprietà di terreni, fabbricati e quote societarie. Nel corso delle investigazioni, è stata anche segnalata l’intestazione fittizia di alcuni beni riconducibili all’indagato ad un “prestanome”, il quale si è conseguentemente visto recapitare un avviso di garanzia per la violazione dell’art. 12 quinquies della legge 356/92, per intestazione fittizia di beni dalle indagini, infatti, è emerso che questo soggetto - apparentemente “terzo” - ha avviato un’attività commerciale - sopportandone le ingenti spese - in un periodo in cui il medesimo non poteva avere affatto disponibilità finanziarie tali da poter compiere gli investimenti accertati e che le necessarie provviste, di fatto, erano state fornite dall’indagato principale. Anche i beni fittiziamente intestati al prestanome sono ovviamente rientrati tra quelli per i quali è stato disposto ed eseguito il sequestro. Le indagini dei finanzieri hanno comunque consentito di fornire alla magistratura adeguati elementi di prova per disporre il sequestro dei patrimoni rivelatisi di origine illecita o ingiustificati nel loro possesso, il cui valore si attesta in circa 11 milioni di euro. La misura ablatoria reale ha riguardato, nello specifico:

1. quattro lussuose ville ubicate a Lamezia Terme e dintorni;

2. un complesso alberghiero;

3. due gioiellerie;

4. un ristorante;

5. sette ulteriori notevoli fabbricati (fra appartamenti e magazzini);

6. tredici grossi appezzamenti di terreno, quasi tutti edificabili;

7. tredici aziende, con tutto il loro patrimonio, di altrettante

società operanti, fra l’altro, nel settore immobiliare e

dell’edilizia;

8. autovetture, anche di lusso;

9. disponibilità finanziarie.

L’operazione odierna rientra in un più vasto dispositivo di contrasto alla criminalità economico-finanziaria, coordinato dal Comando provinciale della Guardia di Finanza di Catanzaro, attraverso il quale si tende, oltre che ad accertare i vari gravi reati commessi, soprattutto a privare gli autori dei crimini di ogni provento illecito indebitamente conseguito, molte volte, a prezzo di gravi delitti, nonchè a ripristinare il corretto andamento della concorrenza, dei mercati e dell’accesso al credito.

Inchiesta "Strada del mare": i dettagli del sequestro dei beni a carico degli indagati

Dalla fase progettuale a quella dell’esecuzione dei lavori, per finire con la contabilizzazione e la liquidazione degli stati di avanzamento lavori. Investono tutte le fasi della famigerata vicenda della "Strada del mare" le irregolarità alla base del sequestro richiesto dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia e disposto dal giudice delle indagini preliminari a conclusione di quello che può essere considerato l’epilogo degli accertamenti che, negli ultimi anni, sono stati disposti dall’Ufficio Giudiziario sulla gestione dell’Ente Provincia. I finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Vibo Valentia e del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria di Reggio Calabria hanno eseguito sequestri preventivi di beni in esecuzione di un decreto del giudice delle indagini preliminari che dispone l’esecuzione di misure ablative di natura patrimoniale fino a concorrenza di circa 5 milioni di euro (immobili, quote societarie, rapporti finanziari) nei confronti di 5 soggetti indagati (2 imprenditori del vibonese e tre ex funzionari dell’Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia). Allo stato, sono stati sottoposti a sequestro: 24 fabbricati di cui uno ubicato in Roma e due in Milano; 47 terreni tutti ubicati nella provincia di Vibo Valentia; quote societarie in 11 società riconducibili agli indagati; una ditta individuale; quattro autovetture; ventidue saldi attivi esistenti su conti correnti ed altri sui rapporti finanziari. La vicenda della "Strada del mare" ha riguardato l’esame delle procedure di affidamento e di esecuzione dei lavori connessi all’appalto per la costruzione dell’asse viario di collegamento rapido tra le località di Rosarno e Pizzo. Le indagini hanno accertato, secondo gli investigatori, numerose irregolarità che partirebbero dalla gestione della progettazione per arrivare all’approvazione, da parte della Direzione lavori e del Responsabile del Procedimento, di ben 11 Stati di Avanzamento che avrebbero consentito il pagamento, a favore dell’impresa aggiudicataria, di importi nettamente superiori rispetto a quelli corrispondenti al valore dei lavori effettivamente realizzati: le somme dei singoli S.A.L. sarebbero state, infatti, artatamente "gonfiate" concordando le percentuali da applicare di volta in volta e inserendo indebitamente, a giudizio degli inquirenti, lavori non previsti nel progetto iniziale, sul falso, sostengono i titolari dell'indagine, presupposto che fossero necessari per l’esecuzione a regola d’arte. Nel corso delle indagini sarebbero emersi anche casi di pagamenti effettuati dalla Provincia di Vibo Valentia utilizzando risorse finanziarie destinate ad altri fini, stornando fondi da un capitolo di Bilancio all’altro. Truffa aggravata ai danni di ente pubblico e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici i reati contestati. L'indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia rappresenta l’ultimo dei filoni investigativi avviati a seguito dell’indagine denominata "Odor lucri" che, nel 2012, aveva portato all’accertamento di un peculato di circa un milione e 300mila euro che sarebbe stato commesso da un dipendente della Provincia attraverso l’emissione di falsi mandati di pagamento a favore di persone compiacenti, al fermo di due responsabili ed al sequestro di beni per un importo equivalente alla somma di cui si sarebbe indebitamente appropriato il dipendente provinciale. Le evidenze investigative emerse all’epoca, avevano determinato l’Autorità Giudiziaria ad ampliare il contesto dell’attività di indagine finalizzandola alla complessiva verifica del corretto uso e destinazione delle risorse pubbliche gestite dall’Ente Provincia, dando origine, quindi, ad un ampio contesto investigativo su molteplici aspetti gestionali. In questo quadro si inseriscono anche: l’indagine sulla "Tangenziale est" conclusa con la denuncia di dieci tra funzionari e dipendenti dell’Ente, imprenditori e professionisti per i reati di truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e disastro colposo, con il sequestro di un tratto di strada di oltre due chilometri e mezzo e la segnalazione alla Corte dei Conti di un’ipotesi di danno erariale per circa sette milioni e mezzo di euro; l’indagine denominata "Bis in idem" che avrebbe consentito di disvelare,  una truffa di oltre 30 milioni di euro legata all’illecita gestione di fondi destinati a sostegno delle crisi aziendali ed occupazionali ed ha portato all’esecuzione nove arresti e 4 misure interdittive a carico di imprenditori e funzionari pubblici per reati di falso e truffa, al sequestro di beni su tutto il territorio nazionale; l’indagine sull’ irregolare affidamento di appalti per fornitura di servizi ad una ditta riconducibile ad un ex consigliere della Provincia di Vibo valentia, con la denuncia per abuso di ufficio di cinque tra funzionari e dipendenti dell’Ente e imprenditori; l’indagine sulle presunte irregolarità nell’assegnazione dei fondi a favore dei Gruppi consiliari della Provincia, che ha portato alla denuncia di 37 soggetti tra rappresentanti dell’Ente, Dirigenti di settore e revisori dei conti per ipotesi di reato che vanno dal peculato all’ abuso d’ufficio e al falso ideologico in atto pubblico.

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