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“Scomparsi 4 milioni di euro per i giovani imprenditori, la Calabria va a rotoli”

"Mentre il rapporto Svimez 2016 certifica che siamo la regione più povera d’Italia, e attesta che in Calabria cresce il numero dei cittadini in condizione di assoluta indigenza, nella Cittadella si fa finta di niente e così nessuno batte ciglio per le notizie delle continue perdite di finanziamenti e persino di fronte al ‘caso’ davvero limite della scomparsa di un bando per 4 milioni di euro che due anni fa era destinato a giovani sotto i 40 anni per avviare nuove iniziative imprenditoriali”.

È quanto afferma in una nota il capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale, Alessandro Nicolò, aggiungendo: ”L’ultima rilevazione della Svimez lancia un vero e proprio allarme rosso per la Calabria: siamo il fanalino di coda d’Italia e d’Europa, con un Pil pro capite di appena 16.654 euro, per capirci, 21 mila euro in meno rispetto a quello del Trentino Alto Adige. E rischieremmo precipitare ancora più in basso, finendo classificati nel Terzo mondo, se non fosse per i nostri agricoltori che rappresentano con i loro risultati una luce, pur debole, nel buio pesto economico-sociale calabrese”.

Continua Nicolò: ”Nessuno si aspettava certo miracoli all’indomani dei dati inquietanti forniti dalla Svimez. Nessuno poteva pretendere che Oliverio rispondesse con soluzioni pronte e avesse già in tasca i rimedi più appropriati. Però non si è avvertito non diciamo un sussulto ma neppure un fremito che segnalasse un’assunzione straordinaria di responsabilità, né l’annuncio di uno slancio rinnovato”.

“Abbiamo ascoltato nei mesi scorsi un gran parlare – prosegue Nicolò –  un assordante, autocompiaciuto annuncio di una Calabria ‘2.0’, tutta cablata, con internet ad altissima velocità per professionisti ed imprese. Ed invece, come sempre, le reti sono ‘sgarrupate’ e basta un temporale di stagione perchè le aziende e tutte le attività produttive rimangano senza corrente elettrica, senza telefoni e quindi senza internet”.

Ancora Nicolò: “Ha dell’assurdo, poi, e suona particolarmente sconcertante alla luce dei dati Svimez, la notizia dell’incredibile ‘smarrimento’ del bando per 4 milioni di euro di fondi europei che la Regione aveva messo in campo per creare lavoro e che, come è stato efficacemente notato, è ‘scomparso dai radar’ misteriosamente. Erano 4 milioni destinato a giovani sotto i quaranta anni per finanziare nuove iniziative imprenditoriali ma, a quanto pare, invano i partecipanti al bando hanno bussato alla Fincalabra, la finanziaria regionale delegata alla gestione, e poi alla Cittadella per saperne qualcosa.”

“Infine, vogliamo chiarire, per prevenire il solito scaricabarile sulle eterne responsabilità della Giunta precedente, che a quanto se ne sa il bando in questione è uno degli ultimi atti della giunta Scopelliti prima delle elezioni di fine novembre 2014, ma è stato pubblicato sul Burc il 5 dicembre dello stesso anno, quindi nella presente legislatura e dopo l'elezione di Oliverio, quindi le risposte sono di esclusiva competenza della Giunta in carica”.

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La Calabria è la regione più “evitata” dagli imprenditori: i dati Svimez per Provincia

Sempre più giù in ogni classifica relativa a crescita economica, dinamicità, progresso. Sembra proprio notte fonda per la Calabria che, addirittura - secondo i dati illustrati nello studio “L’attrattività percepita di regioni e province del Mezzogiorno per gli investimenti produttivi” di Dario Musolino, pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della Svimez diretto da Riccardo Padovani ed edito da Il Mulino – viene percepita dagli industriali come territorio più arretrato di quanto non lo sia veramente. Lo studio – teso a verificare i motivi in base ai quali gli imprenditori scelgano le aree su cui investire – è stato effettuato su un campione di 225 imprese con sede in Italia, di diversi settori merceologici e almeno 20 addetti. La regione più “desiderabile” risulta essere la Lombardia (punteggio di 4,07 su 5), poi ci sono Emilia Romagna (3,92), Veneto (3,86) e Piemonte (3,58). Nel Mezzogiorno, relativamente bene Abruzzo (2,59) e Puglia (2,47). In fondo al tunnel c’è la Calabria (1,73), che fa peggio anche di Sicilia (1,99), Campania (1,98) e Sardegna (1,88). In particolare, nella nostra regione i valori oscillano fra l’1,74 di Reggio Calabria e l’1,72 di Vibo Valentia e Crotone. La Provincia preferita risulta essere quella di Milano (4,07). L’analisi non cambia passando da un settore all’altro, mentre è interessante notare che, secondo i formulari depositati, gli imprenditori meridionali attribuiscono al Mezzogiorno punteggi generalmente più alti rispetto ai loro omologhi settentrionali, forse perchè vivendo al Sud ne conoscono ogni dettaglio. Lo spunto su cui riflettere è offerto da un coefficiente che confronta “il divario percepito dagli imprenditori a livello soggettivo con quello reale certificato ad esempio dal livello del Pil pro-capite nelle varie regioni”. Il divario reale è di 2, quello percepito è di 2,34: questo significa che il Mezzogiorno viene ritenuto più arretrato di quello che è. I motivi della scarsa capacità di attrarre emergono dalle risposte degli imprenditori: sul banco degli imputati ci sono la carenza di infrastrutture (26,4%), la povertà del tessuto produttivo (21,3%) e la criminalità (13%). Sembra incidere meno l’inefficienza della Pubblica Amministrazione (3,5%). Il Sud viene inoltre inteso come una realtà omogenea e, infatti, nello studio viene rilevato che “l’esistenza di tanti, molteplici, Sud, differentemente attrattivi, non è contemplata. In altre parole, per le imprese del Paese gli svantaggi localizzativi nel Mezzogiorno non presentano differenziazioni, diverse gradazioni, territoriali”. “Questa macroregione – viene sottolineato - non è conosciuta a sufficienza nelle sue varie e diverse realtà territoriali”. Le soluzioni prospettate riguardano la messa in campo di azioni “nel trasporto ferroviario, nella portualità, nell’intermodalità e nelle piattaforme logistiche” per rendere l’area più accessibile, oltre che interventi in tema di legalità. Opportune sarebbero infine “strategie di comunicazione e promozione, a livello centrale e locale, che consentano di scardinare la cappa mediatica che oggi tende a mettere tutto il Sud sotto un unico cappello”.

La Calabria ha la peggiore pubblica amministrazione d'Italia, un rimedio ci sarebbe

Sappiamo dai giornali e tv etc che la Calabria è l’ultima anche per pubblica amministrazione. Rimedi? Smettere di arrampicarsi sugli specchi per cercare scuse, e per far credere, alla Oliverio maniera, che si sta iniziando un percorso eccetera… Ammettere che in Calabria regna un sistema di reciproche complicità: i malati tollerano la pochezza dei medici perché i medici poi tollerano l’inefficienza del malato quando, da sano, sta seduto in qualche ufficio; gli avvocati tollerano, anzi favoriscono le lentezze dei giudici, e i giudici sono amici degli avvocati… Ammettere che Regione, Province, Comuni e roba del genere sono accozzaglie di passacarte non tanto malvagi quanto incapaci. Essi sono stati assunti a caso, poi da precari e bidelli, a colpi di concorsi interni e olio per ungere… Perciò servirebbe un rimedio drastico di prepensionamento. Dite voi, ma la Fornero… Eh, in Calabria? Siamo maestri, nell’arte dell’imbroglio legale! Basta esercitare dei controlli seri, e vedete come i pigri e inetti si danno malati o domandano congedo… E subito sostituirli con ragazzi, e prima che anche i ragazzi piglino i vizi che hanno bevuto con il latte materno. Controlli? Certo: ma a patto che l’assessore non sia amico dei passacarte, e la sera prima non abbia cenato nello stesso “club service” o giurato nella stessa loggia massonica. Non loggia “deviata”, massonica, basta massonica! Infatti, amici miei, quis custodiet ipsos custodes? Se i custodi a loro volta vanno custoditi… Bisogna spezzare la rete delle amicizie e delle parentele di sangue e non: va scatenata una specie di guerra civile delle parole, e un giudice inetto non deve passare per eroe, e un professore ciuco per genio, e un pennaiuolo per grande scrittore. Si farà, tutto questo? Mai, tranne che la Calabria non venga affidata con pieni poteri a un commissario giapponese… o a qualcun altro che non nomino. 

 

 

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E' in Calabria la Pubblica Amministrazione peggiore d'Italia

Sulla scorta dei dati emersi dalla ricerca denominata "Measuring Institutional Quality in Italy", è la Calabria la regione in cui la Pubblica Amministrazione esibisce i risultati peggiori. L'indagine, coordinata da Annamaria Nifo e Gaetano Vecchione, è stata pubblicata sulla "Rivista Economica del Mezzogiorno", Iil trimestrale della Svimez edito da Il Mulino. Lo studio esamina le prestazioni delle Regioni e delle Province italiane nel periodo compreso fra il 2004 ed il 2012 tenendo conto dei parametri previsti dall'Iqi (Institutional Quality Index). La Regione del Sud che offre la performance migliore è l'Abruzzo, in dodicesima posizione. Fanalino di coda la Calabria. "Per ridurre il divario Nord/Sud - sottolinea la Svimez - in questo ambito servono interventi di riforma della Pubblica amministrazione più forti per il Sud, per colmare i divari nei diritti di cittadinanza. Il processo di supporto può avere impulso anche dai fondi Ue 2014/2020".

Senza progresso la Calabria del nulla

 Il Sud è abituato da sempre al meglio che niente, perciò anche l’annunzio di uno 0,1% di progresso ci pare un superenalotto. Il Sud pare addirittura vada un tantino meno peggio del Nord: formalocchiu! Il Sud, cioè Molise Puglia Campania Basilicata Sicilia: la Calabria, detta anche la Magna Grecia, spicca come sempre nella sua storia: non progredisce nemmeno lo 0,000001. Come mai? Beh, non è difficile capirlo. Per progredire, anzi per campare, ci vogliono, per esempio, agricoltura pastorizia industria artigianato navigazione trasporti servizi turismo… Bisogna lavorare e produrre, consumare i prodotti, scambiarli e venderli ad altri; insomma, fare quelle cose che si chiamano l’economia. Ebbene, o eredi di Pitagora, in Calabria non c’è nulla di tutto questo. Lo strombazzato turismo è un breve caos di due settimane balneari, assenti assoluti altri modi di turismo: religioso, culturale eccetera.  Industria, artigianato? Agricoltura? Guardatevi intorno e ditemi cosa c’è. C’era una volta l’assistenzialismo indiretto: ospedali scuole uffici poste… Non ci sono più, e comunque non si assume da vent’anni. L’assistenzialismo diretto? Restano giusto le pensioni. La Calabria riceve ogni anno un mare di soldi e non li sa spendere; più esattamente, non li sa manco rubare: troppo faticoso. Opinione pubblica, partiti politici, ecclesiastici, giornalisti eccetera, che ne dicono? Non dicono nulla, perché la mamma li avvertì fin da fanciulli: “La parola migliore è quella che non esce di bocca”. E la cultura ufficiale? S’ingrassa con libri e film antimafia segue cena. A cena, bene inteso, niente carne rossa o soppressata: i nostri calabri intellettuali sono infatti sempre politicamente corretti, e credono non solo allo Stato e alla Magistratura, ma anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Magari, una fettina di salame a casa… Ci vorrebbe un commissario giapponese armato di katana e con pieni poteri.

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Rapporto Svimez: sviluppo del Mezzogiorno passa dal porto di Gioia Tauro

Prorogare  nel  Mezzogiorno  anche  per  il  2016  con  la  stessa  intensità  e  la  stessa  durata l’esonero  dal  pagamento  dei  contributi  INPS  a  carico  del  datore  di  lavoro  per  i  nuovi  assunti  a tempo  indeterminato;  introdurre  misure  di  contrasto  alla  povertà  nelle  famiglie  a  rischio; definire  una  nuova  politica  industriale  per  il  rilancio  del  Mezzogiorno;  utilizzare  l’energia geotermica  del  sottosuolo  per  riscaldare  e  raffreddare  40mila  edifici  di  Napoli  e  provincia  e creare  15mila  posti  di  lavoro;  creare  una  Zona  Economica  Speciale  nel  porto  di  Gioia  Tauro. Sono  solo  alcune  delle  proposte  di  rilancio  del  Sud  avanzate  dalla  SVIMEZ  nel  Rapporto  2015 sull’economia del Mezzogiorno presentato oggi a Roma alla Camera dei Deputati. Cosa  fare  per  il  Sud  -  Secondo  la  SVIMEZ  serve  prioritariamente  una  politica  attiva  di  sviluppo centrata  sul  Mezzogiorno  nell’ambito  di  una  “logica  di  sistema”  e  di  un'azione  strutturale  di  mediolungo  periodo,  che  sappia  coordinare  politiche  aggiuntive  di  coesione  con  rinnovate  azioni  di politica  ordinaria.  “Lo  sforzo  è  quello,  sostiene  la  SVIMEZ,  di  concentrarsi  su  una  positiva,  forte  e necessaria  discontinuità”,  facendo  tesoro  di  quella  straordinaria  esperienza  degli  anni  ’50-’70,  che seppe  modificare  la  struttura  sociale  ed  economica  del  Paese.  Necessaria  quindi  la  ripresa  del processo  di  industrializzazione  del  Sud  quale  elemento  catalizzatore  della  crescita  e  il  ripristino del  ruolo  degli  investimenti  pubblici. Per  affrontare  la  crisi  di  competitività  del  Sud  e  dell’intero  Paese,  la  SVIMEZ  propone  di  investire in  alcune  aree  -  i  cosiddetti  drivers  dello  sviluppo  -  che  potrebbero  fare  del  Sud  un'opportunità  in una  nuova  prospettiva  mediterranea:  logistica,  energie  rinnovabili,  rigenerazione  urbana  e ambientale, agroalimentare e agroindustria, industria culturale, ricerca e innovazione.  Mercato  del  lavoro:  1)  Prorogare  nel  Mezzogiorno  anche  per  il  2016  con  la  stessa  intensità (fino  a  8mila  euro  l’anno)  e  con  la  stessa  durata  (36  mesi)  l’esonero  dal  pagamento  dei contributi  INPS  a  carico  del  datore  di  lavoro  istituita  con  la  Legge  di  Stabilità  per  il  2015  per le  nuove  assunzioni  “a  tutele  crescenti”;  2)  Maggiore  impegno  finanziario  e  al  Sud  a  sostegno del  personale  dei  centri  per  l’impiego;  3)  Più  attenzione  per  il  Mezzogiorno  nella  rinnovata strategia  integrata  di  politiche  attive  del  lavoro  anche  attraverso  l’ANPAL  (Agenzia Nazionale  per  le  politiche  attive  del  lavoro).   Anche  alla  luce  dei  positivi  dati  dei  primi  mesi  del  2015  sull'occupazione,  la  proposta  SVIMEZ  è  di rendere  operativo  anche  per  il  2016  una  decontribuzione  più  "forte"  al  Sud,  per  le  nuove  assunzioni: “non  vi  è  nessuna  obiezione  ragionevole,  si  legge  nel  Rapporto,  a  che  questo  sia  riservato  al Mezzogiorno,  visto  che  in  quest'area  si  è  concentrata  la  perdita  di  occupazione  nella  crisi  e  tanto  più visto  che,  anche  l'anno  scorso,  la  misura  è  stata  finanziata  con  risorse  destinate  agli  investimenti  nel Mezzogiorno (3,5 miliardi di PAC)”. Povertà:  necessarie  misure  specifiche  di  contrasto  -  Il  rischio  di  povertà  è  significativamente  più alto  al  Sud  soprattutto  per  le  famiglie  con  minori,  e  per  quelle  giovani,  con  o  senza  figli.  Più  esposte al  rischio  anche  le  famiglie  con  un  solo  percettore  di  reddito.  Tristemente,  “non  basta  avere  un lavoro  per  uscire  dal  rischio  povertà”. Negli  ultimi  tempi  il  dibattito  italiano  si  è  concentrato  su  due  ipotesi  di  introduzione  del  reddito minimo:  il  Reddito  di  inclusione  sociale  (REIS),  che  prevede  l’erogazione  di  un  sussidio  di  400 euro  mensili,  e  il  Credito  familiare  (CF)-Reddito  di  cittadinanza  (RC),  che  prevede  per  le  famiglie  a rischio  povertà  un  sussidio  massimo  di  780  euro.   In  base  a  elaborazioni  e  stime  SVIMEZ  il  90%  delle  famiglie  poverissime,  con  un  reddito inferiore  al  60%  della  linea  di  rischio  della  povertà,  avrebbero  diritto  a  un  sussidio:  per  le famiglie  in  povertà  estrema  secondo  il  REIS  si  prevede  un’erogazione  di  8.700  euro  annui  in media,  con  il  CF  il  trasferimento  medio  salirebbe  a  14.900  euro.  Se  le  misure  fossero  state introdotte  nel  2013,  con  4  milioni  e  400mila  poveri  assoluti,  si  sarebbe  registrato  un  livello massimo  di  spesa  di  8,4  miliardi  per  il  REIS  e  di  16,4  miliardi  di  euro  per  il  CF-RC.  Le  regioni più  povere,  Campania  e  Sicilia,  avrebbero  ricevuto  3,7  miliardi  del  REIS  e  7,7  miliardi  del  CF. "In  Italia,  si  legge  nel  Rapporto,  le  preoccupazioni  relative  al  costo  delle  misure  anti-povertà  hanno sinora  prevalso  su  ogni  altra  considerazione  relativa  all’eguaglianza.  D’altra  parte  è  anche  vero  che la  relazione  positiva  fra  equità  e  crescita  risulta  verificata.  Il  compito  del  decisore  pubblico dovrebbe  di  scegliere  o  di  mediare  tra  le  proposte  in  campo,  nella  consapevolezza  però  che  una misura universalistica di sostegno al reddito non è più rinviabile". Una  politica  industriale  per  il  rilancio  del  Mezzogiorno:  1)  corsie  preferenziali  per  le  imprese meridionali  per  accedere  al  Fondo  Italiano  di  Investimenti,  al  Fondo  Strategico  Italiano  e  al credito  all'export;  2)  rafforzamento  dei  fondi  di  private  equity  specifici  per  il  Sud;  3)  ripristino delle  agevolazioni  fiscali  per  i  contratti  di  rete;  4)  rafforzamento  dei  cluster  tecnologici  al  Sud; 5)  prolungamento  ed  estensione  del  Piano  per  il  Sud  2013-2016  dell’ICE;  6)  Bad  Bank  e fiscalità  di  vantaggio Secondo  la  SVIMEZ  occorre  una  politica  industriale  nazionale  articolata  a  livello  territoriale  e una  politica  regionale  specifica  per  il  Sud,  perché  nell’area  al  Sud  le  imprese  sono prevalentemente  piccole,  meno  innovative,  meno  propense  all’export,  e  accedono  poco  a  quasi  tutti i  principali  interventi  della  politica  industriale  nazionale.  Andrebbero  quindi  previste  corsie preferenziali  per  le  imprese  meridionali  nell’accedere  per  esempio  al  Fondo      l’istituzione  di  una Bad-Bank,  che  possa  rilevare  le  partite  in  sofferenza,  enormemente  cresciute  con  la  crisi,  al  fine di  ridare  elasticità  ai  bilanci  bancari  e  porre  le  banche  in  condizione  di  riprendere  a  finanziare  il sistema  produttivo. Per  favorire  l’attrazione  di  investimenti  esterni  all’area,  nazionali  ed  esteri,  occorrerebbe  poter contare  su  forme  di  fiscalità  di  vantaggio  per  compensare  gli  svantaggi  competitivi  che penalizzano  il  Sud  soprattutto  nei  confronti  dei  paesi  nuovi  entranti  nell’Ue  dell’Est  europeo,  e  in particolare  di  quelli  non  dell’Area  Euro;  paesi  avvantaggiati  da  un  più  basso  costo  del  lavoro,  e  che possono utilizzare liberamente i maggiori margini di libertà delle leve fiscale e monetaria. Energie  rinnovabili:  il  progetto  di  una  Napoli  geotermica  e  carbon  free  –  In  Italia  la  geotermia vanta  due  primati:  la  fonte  geotermica  è  presente  in  quantità  superiore  a  tutti  i  paesi  europei,  eccetto l’Islanda;  le  tecnologie  nazionali  del  settore  sono  all’avanguardia  nel  mondo.  Nel  Sud,  oltre  che  in Toscana  e  nel  Lazio,  sono  presenti  le  aree  italiane  con  la  maggiore  quantità  e  disponibilità  di  risorse geotermiche,  soprattutto  in  Campania  (Ischia,  Campi  Flegrei,  Vesuvio)  e  in  Sicilia.  In  misura minore  l’energia  geotermica  è  presente  anche  in  Puglia  e  Sardegna.   Secondo la banca dati nazionale geotermica CNR-ENI la Regione Campania conta 98 pozzi geotermici e 56 sorgenti, di cui rispettivamente 69 e 32 nell’area metropolitana di Napoli. Secondo la SVIMEZ immaginando la disponibilità della risorsa geotermica in media a 200 metri di profondità, si potrebbero sostituire le caldaie tradizionali con pompe di calore geotermiche per il riscaldamento e raffreddamento di tutti gli edifici, sia residenziali che produttivi, pubblici o privati, per l’intero territorio di Napoli e provincia, pari a oltre 40mila abitazioni, in quattro anni. Ipotizzando interventi su un fabbricato di 10 unità abitative, il risparmio sarebbe di circa 6600 euro all’anno per fabbricato (660 euro l’anno per famiglia), con un impatto annuo sul Pil napoletano dell’1,4%. Ipotizzando di avviare all’investimento, come primo intervento, il 25% del patrimonio residenziale della città di Napoli (10.188 edifici) la stima dell’investimento sarebbe di circa 510 milioni di euro l’anno, più 100 di manutenzione. I posti di lavoro creati potrebbero essere circa 15mila nei quattro anni. La riqualificazione dei fabbricati comporterebbe anche un aumento del valore immobiliare degli stessi. Sarebbe auspicabile, sostiene la SVIMEZ, l’intervento del Governo centrale, d’intesa con la Regione Campania, che dovrebbe riguardare sia la semplificazione procedurale/autorizzativa per la realizzazione dei pozzi, che il sostegno finanziario agli investimenti. Sarebbe necessario un censimento del territorio su zone molto circoscritte della città di Napoli e occorrerebbero specifici strumenti di incentivazione attualmente non presenti sottoforma di contributi diretti all’investimento.

Stima degli interventi: 2,4 miliardi di euro

Logistica: rigenerare le aree retroportuali sul modello olandese e con cassaintegrati del settore edile; una ZES per Gioia Tauro – Nel mercato della logistica italiana si registra una forte presenza estera per effetto della scarsa competitività strutturale del comparto italiano. Una leva strategica per la ripresa dello sviluppo nel Mezzogiorno potrebbe venire dalle rigenerazione delle aree retro portuali sul modello olandese, attraverso tre tipologie di intervento: bonifica dei suoli, utilizzo di cassaintegrati del settore edile per gli interventi di recupero delle zone, trasformazione delle aree dismesse in retroporti fornitori di servizi logistici in stretto contatto con il rinnovato tessuto economico e imprenditoriale adiacente. I porti oggetto degli interventi potrebbero essere secondo la SVIMEZ quelli di Napoli, Torre Annunziata, Salerno, Gioia Tauro, Messina, Catania, Taranto e Termoli. Secondo stime SVIMEZ il totale dell’intervento di bonifica nelle aree indicate si può valutare tra 1,4 e 2,9 miliardi di euro, a fronte di un valore potenziale di vendita a prezzi di mercato di 3,2 miliardi. Oltre al vantaggio nel rilancio del settore delle costruzioni, si tratterebbe di un’operazione immobiliare positiva. Una particolare opportunità di sviluppo potrebbe venire inoltre dall’introduzione di una Zona Economica Speciale, ZES, per il porto di Gioia Tauro. Dal 2013 è depositata in Parlamento la proposta di istituzione della ZES calabrese. Per arrivare a un esito positivo dell’iter, occorrerebbe una gestione unitaria per superare gli ostacoli posti dai legittimi interessi di parte.

Stima degli interventi sui retroporti: 1,4- 2,9 miliardi di euro

Industria culturale: risorse nazionali ed europee per creare 240mila posti di lavoro – Nel 2014 l’industria culturale “in senso stretto” ha occupato in Italia 260mila persone, di cui 216mila al Centro-Nord, e solo 44mila nel Mezzogiorno. Nello stesso anno il settore “in senso allargato” ha contato 1 milione 600mila posti di lavoro, di cui 1 milione e 350mila nel Centro-Nord, circa 283mila  al  Sud.  Un  settore,  questo,  secondo  la  SVIMEZ,  ampiamente  sottodimensionato  e sottoutilizzato  sia  in  termini  di  valorizzazione  del  patrimonio  di  beni  culturali  meridionali  che  di disponibilità  di  capitale  umano  qualificato. Secondo  la  SVIMEZ,  un  adeguamento  e  un  rafforzamento  delle  politiche  di  valorizzazione dell’industria  culturale  finanziate  con  risorse  nazionali  e  Fondi  strutturali  potrebbero  colmare  il  gap del  Sud  in  questo  campo  entro  la  fine  del  ciclo  di  programmazione  2014-2020,  arrivando  a raggiungere  una  quota  di  occupati  simile  a  quella  del  Centro-Nord.  In  questo  modo  si  creerebbero almeno  40mila  nuovi  posti  di  lavoro,  di  cui  15mila  laureati,  nel  settore  in  senso  stretto,  e 200mila  nuovi  posti  di  lavoro,  di  cui  circa  90mila  laureati,  nel  settore  allargato.

I calabresi si "rimbocchino le maniche". Ma per fare cosa?

La vera sorpresa è la sorpresa. I tanti, troppi, osservatori rimasti sbigottiti davanti ai dati emersi dal rapporto Svimez sullo stato della Meridione in generale e della Calabria in particolare, forse hanno vissuto su un altro pianeta. Cosa ci si poteva aspettare dai dati se non la fotografia di una realtà sempre più precaria e miserabile? La sorpresa manifestata, poi, da taluni protagonisti della vita politica rappresenta l’indicatore di quanto i partiti  siano ormai alieni rispetto alla società che pretendono di rappresentare. Per conoscere gli affanni delle famiglie calabresi, non serviva, certo il rapporto Svimez. Sarebbe stato sufficiente stare in mezzo alla gente, frequentare le piazza vuote dei paesi e le stazioni ferroviarie affollate, per constatare l’esodo in atto. Bastava sostare davanti ad un supermercato per vedere i sacchetti semivuoti con i quali i clienti ritornato a casa dopo aver comprato il minimo indispensabile. Sarebbe stato sufficiente fare la fila in un ufficio postale ed ascoltare i discorsi degli anziani, ormai, costretti a spartire le magre pensioni con i figli disoccupati. Bastava leggere sui volti di giovani e meno giovani la rassegnazione di chi ha rinunciato a cercare un lavoro che sa di non trovare. Ma loro, i marziani della politica, avevano bisogno dei dati compulsati dallo Svimez per conoscere le condizioni in cui versa la Calabria. Che dire poi, di un Presidente del Consiglio che, di fronte agli indicatori che inchiodano il Mezzogiorno al suo atavico sottosviluppo, non ha saputo dire altro che bisogna smetterla con il “piagnisteo” e che è necessario “rimboccarsi le maniche”. Gli slogan, però, possono creare suggestioni ma non risolvono i problemi. In molti hanno aspettato con ansia la direzione nazionale del Partito democratico, svoltasi venerdì scorso, per conoscere quali sarebbero state le proposte destinata a far invertire la rotta. Ma come se il Sud non avesse aspettato abbastanza, si è deciso di rinviare tutto a settembre, magari nella speranza che per quella data il rapporto Svimez sia già finito nell’orwelliano “buco della memoria”. Nel corso della direzione del partito di cui è segretario, Renzi avrebbe potuto illustrare almeno la sua idea di Sud, avrebbe potuto spiegare meglio il significato di quel “bisogna rimboccarsi le maniche” ripetuto, alla vigilia, come un mantra.  “Rimboccarsi le maniche”, ma per fare cosa? Prendiamo ad esempio la Calabria. Nel corso della Prima repubblica i partiti che componevano l’arco costituzionale si sono prodigati nell’arte della clientela che ha trasformato gli artigiani in uscieri, i commercianti in bidelli, i piccoli imprenditori in portantini. In cambio di consensi a buon mercato, è stato distrutto, per sempre, quel poco di tessuto economico che la Calabria ancora deteneva. Così, mentre, nelle regioni più dinamiche del paese lo Stato ha investito in infrastrutture con le quali sono state create le condizioni per una duratura crescita della produzione, in Calabria le risorse sono state dilapidate per generare stipendifici. Il risultato è che, oggi, la quota di prodotti esportati dalla Calabria è tre volte inferiore a quella della Basilicata, che ha un terzo degli abitanti. Come se non bastasse, la percentuale di valore aggiunto prodotto dall’industria non va oltre il 7,6%. Dati che non lasciano alcun dubbio, da un punto di vista produttivo la Calabria è un deserto. Ridotte al minimo le possibilità di sistemazione nel pubblico impiego e senza un tessuto economico capace di generare ricchezza ed occupazione, il dilemma che i giovani hanno davanti è semplice “che fare?”. “Rimboccarsi le maniche”, ma per fare cosa? La soluzione meno fantasiosa, quella a più a buon mercato, vuole che la Calabria possa vivere di turismo. Ma andiamo a spiegare ad un turista che per arrivare da Roma a Reggio Calabria in treno, si impiega più tempo che per andare in aereo ad Ibiza o nelle isole dell’Egeo. Che l’alta velocità in Italia esiste, ma non va oltre Salerno. Sì certo, in Calabria si può arrivare anche in aereo, peccato che chi esce, ad esempio, dall’aeroporto di Lamezia Terme non sa più dove andare. La rete di trasporto pubblico calabrese è, infatti, soltanto un buco nero, l’ennesimo carrozzone, in cui far sparire risorse. Cercare un autobus, una fermata, o una palina con gli orari e le destinazioni delle corse non è difficile, è inutile.  Un’altra soluzione che viene proposta con una certa regolarità, è lo sviluppo del settore agroalimentare, peccato che in molte realtà calabresi non esistono neppure le strade sulle quali far viaggiare le merci. In un conteso del genere, la politica deve riappropriarsi del proprio ruolo. Se ne è capace deve costruire un progetto, immaginare un futuro e lavorare per realizzarlo. Si tratta di un sfida ardua che non può essere vinta con gli slogan, tantomeno con le ricette già viste. Non servono, infatti, interventi a pioggia che, tanto, finirebbero nelle tasche dei soliti “prenditori”. Quel che occorre, in via prioritaria, è un piano di infrastrutturazione generale ed un intervento finalizzato a portare su livelli europei i tassi d’interesse praticati dalle banche che operano in Calabria. Infine, sarebbe, forse, il caso d’iniziare ad immaginare l’istituzione di un’area regionale dotata di una fiscalità di vantaggio, in maniera tale da attrarre gli investimenti necessari per creare le condizioni generali affinché i calabresi possano, finalmente, avere una ragione per “rimboccarsi le maniche”.

  • Published in Diorama
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