Bruno Vellone

Bruno Vellone

Ritorno a CZ, consiglio a Brognaturo: partecipato dalla gente ma disertato dai sindaci

Per tornare con la provincia di Catanzaro la ricetta è quella di creare un comitato pro Catanzaro con le forze politiche e sociali del Comprensorio delle Serre. Lo ha ribadito più volte, Alfredo Barillari consigliere di minoranza del Comune di Serra San Bruno in seno al movimento politico “Liberamente”. Idea subito raccolta dal sindaco di Brognaturo Cosmo Tassone, che dovrebbe consentire di giungere “alla petizione popolare ed al referendum”. Dicevamo idea raccolta dal sindaco di Brognaturo, da quello di Simbario Ovidio Romano e da quello di Guardavalle, Giuseppe Ussia, che nella provincia di Catanzaro c’è ma che comunque ha portato il suo contributo nella discussione indetta nel consiglio comunale aperto voluto dal sindaco Tassone che aveva invitato i tanti altri sindaci del Comprensorio delle Serre e del vibonese che però hanno disertato la seduta. E proprio contro alcuni di loro una dura reprimenda: «Stanno commettendo un grave errore – ha tuonato Cosmo Tassone - coloro i quali hanno lavorato contro questa riunione. Comunisti e Pd si dimostrano come sono. Era una occasione unica per discutere di quello che sta succedendo dopo le dichiarazioni del presidente della provincia Niglia. Questa riunione serve a discutere, non ha un valore giuridico deliberante ma serviva per verificare la possibilità di indire un referendum per decidere. Il mio compito è fare l'interesse della popolazione e all'epoca io non sono stato un fautore della provincia di Vibo Valentia. La situazione provinciale è drammatica e i difensori della patria difendono solo le loro poltrone. Sono per utilizzare tutti i mezzi per tornare con la provincia di Catanzaro utilizzando, tornando nel passato, anche mezzi di disubbidienza civile. Bisogna creare un movimento che sia al di là degli schieramenti politici nell'interesse della nostra zona che sta morendo». Secondo il consigliere comunale di minoranza di Serra San Bruno Alfredo Barillari «bisogna aprire una discussione con alla base i cittadini che possono comprendere il bilancio di anni e anni di provincia di Vibo Valentia. Non possiamo continuare a guardate ai tavoli tecnici che hanno poi portato a questa situazione, bisogna dare voce dal basso con gli strumenti di democrazia diretta. Noi dobbiamo pensare alla realtà quotidiana della nostra popolazione e passando con Catanzaro può avvenire. Se fossimo con Catanzaro andremmo ad utilizzare risorse e servizi garantiti. La nostra classe politica con la provincia vibonese non ha garantito i nostri diritti». Per il consigliere comunale di minoranza di Spadola Giuseppe Parise, avrebbe dovuto presenziare il sindaco Piromalli «perché così lo vuole il popolo e non il tavolo tecnico utilizzato come giustificazione per l'assenza. Spadola sta aderendo ad un ordine di scuderia. Noi ce la metteremo tutta per tornare con Catanzaro». Il consigliere comunale di minoranza di Fabrizia Totò Minniti ha duramente stigmatizzato l'amministrazione provinciale di Vibo Valentia che «sta facendo venire meno diritti e servizi, a questo bisogna rispondere con una mobilitazione dal basso per scuotere le coscienze degli amministratori. Un disavanzo come quello vibonese non lo può risolvere nessun tavolo tecnico. Ora bisogna coinvolgere la popolazione». La tappa successiva una raccolta firme ed un nuovo incontro con l’auspicio che sensibilizzata la classe politica possa trovare una comunione con le forze sociali e civiche del Comprensorio montano.

Certosa di Serra San Bruno, intervista all'ex Priore Jacques Dupont

La visita del Papa Emerito Bendetto XVI alla Certosa di Serra San Bruno, avvenuta il 9 ottobre 2011, ha offerto alcuni spunti di riflessione sul significato della vita certosina, del silenzio e del ruolo del monaco che vigile come “un mozzo” scruta l’orizzonte e perciò il futuro. Da qui sono nate delle domande che abbiamo posto all’allora Padre Priore della Certosa Dom Jacques Dupont che ha accolto il Papa e che vive la vita certosina fatta di clausura, preghiera e silenzio, ormai da oltre quaranta anni, facendo lo stesso percorso dalla Chartreuse di Grenoble alla Certosa di Serra che oltre mille anni fa, fu quello di Bruno da Colonia. Padre Dupont ora è Procuratore Generale dell’Ordine dei certosini presso la Santa Sede ed è uno dei monaci più carismatici del pianeta.

La visita di Sua Santità Benedetto XVI alla Certosa di Serra San Bruno è stata un fondamentale atto di riconoscenza nei confronti della spiritualità certosina, lo stesso Santo Padre ha definito questo luogo come “Cittadella dello Spirito”. Dopo questa visita, nel cuore dei certosini possiamo dire che sia nata qualche consapevolezza in più?

«Benedetto XVI già prima della sua decisione di venire a visitare la nostra Certosa aveva più volte accennato alla spiritualità certosina e all’esperienza di San Bruno. La sua presenza e il pregare insieme, poi, ha offerto un’occasione unica di condivisione. Abbiamo avuto la conferma più autorevole di essere “nel cuore della Chiesa” pur svolgendo una vita ritirata e, in qualche modo, nascosta. La visita del Santo Padre, comunque, più che inorgoglirci ci ha fatto sentire il senso di una responsabilità che grava sulle nostre spalle, che è quella – riprendendo le parole del Pontefice – di far scorrere nelle vene della Chiesa “il sangue puro della contemplazione e dell’amore di Dio”. La consapevolezza che viene dalla visita del Papa è soprattutto quella di averci esortati e confermati nella nostra vocazione di preghiera, fatta sia di lode e adorazione  di Dio che di supplica e d’intercessione per l’umanità intera».

“La visita del Successore di Pietro in questa storica Certosa intende confermare non solo voi, che qui vivete, ma l’intero Ordine nella sua missione, quanto mai attuale e significativa nel mondo di oggi”. Queste le parole di riconoscenza pronunciate da Benedetto XVI nei confronti dell’Ordine Certosino nella celebrazione dei Vespri, come vive la Certosa il rapporto con la Chiesa Cattolica?

«Nella sua omelia in Certosa, il Papa ha fatto delle affermazioni di grande rilievo a questo riguardo. Dapprima, ha ricordato il “legame profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa”. C’è un legame molto particolare tra l’Ordine Certosino e il Pontefice, successore di Pietro, fin da quando, per obbedienza a Urbano II, Bruno abbandonò la solitudine del deserto di Chartreuse per mettersi al servizio della Chiesa. La visita di Giovanni Paolo II in questa Certosa e varie sue lettere al nostro ordine sono le più recenti espressioni di tale vincolo. Poi, Benedetto XVI ci ha lasciato delle parole forti, dicendo: “La Chiesa ha bisogno di voi e voi avete bisogno della Chiesa”. La nostra vocazione di contemplazione nella solitudine è fondamentale – direi, quasi indispensabile – perché la Chiesa possa adempiere la sua missione; ma d’altra parte, non potremo perseverare nel nostro modo particolare di vita se non fossimo sostenuti e riconosciuti dalla Chiesa, dal Papa e dai vescovi».

Fugitiva _elinquere et aeterna captare, (abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno) e nel contempo essere “ai margini”, cioè ponte di collegamento tra la realtà terrena e il cielo. Questo “il nucleo” della spiritualità certosina ricordato da Papa Ratzinger, come può la società civile cosi distratta da miti d’ogni genere comprendere l’essenza della vostra missione?

«Nel mondo c’è bisogno di silenzio. Sempre più persone si rendono conto che il rumore e le chiacchiere senza fine non possono dare un senso alla vita, anzi creano una sorta di schiavitù dalla quale si deve allontanarsi. Perciò è importante ritagliarsi ogni giorno una pausa di silenzio per pensare, riflettere e pregare. Questo potrebbe sembrare difficile, ma quando uno sperimenta che da tal esercizio nasce una tranquillità e una pace interiore, in lui cresce l’attrattiva per un silenzio maggiore, ed esso diviene una fonte di vita e di gioia mai provata prima. Come ci ha ricordato il Papa, nel silenzio, s’impara a vivere di ciò che è essenziale, relativizzando ciò che non lo è. E cosa c’è di più essenziale se non la comunione con Dio e la comunione con gli altri?».

Nel libro intervista di Luigi Accattoli “Solo dinanzi all’Unico” ed. Rubbettino, Lei paragona l’opera di Dio a quella di un vasaio che “modella e trasforma in profondità”, in tutto questo qual è il ruolo del silenzio?

«Innanzitutto vorrei precisare che questa immagine non è mia, si trova nella Bibbia. Attraverso il profeta Geremia, Dio stesso dice: “Ecco l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani”. Dio vuole realizzare con noi delle meraviglie, vuole fare di ciascuno di noi un’opera d’arte. Ma, purtroppo, l’argilla non oppone nessuna resistenza alle mani del vasaio, noi siamo spesso refrattari; ci è difficile lasciarci plasmare, trasformare dal Signore. Ecco dove ci vuole il silenzio; non tanto l’assenza di parole quanto saper accogliere e accettare che un altro ci prenda per mano. Riconosciamo onestamente che non ci piace di dipendere da un altro, però qui si tratta di Dio che ci ama e che vuole la nostra vera felicità».

Tenerezza, misericordia e compassione, queste le doti più preziose del cuore Certosino, come aiuta la presenza di Dio a scoprire nel proprio il luogo dell’animo umano dove esse sono custodite e farne un bene comune?

«Tenerezza, misericordia e compassione, non sono che le caratteristiche più vive e proprie dell’amore di Dio. È cercando di stare vicino a questa fonte che in una certa misura se ne è contagiati, è sentendosi profondamente amati nonostante le proprie imperfezioni e la nostra pochezza che diventiamo capaci di amare a nostra volta. Soltanto chi ha fatto l’esperienza della misericordia di Dio, può far nascere nel proprio cuore la misericordia. Se San Bruno ha cantato la bontà di Dio e l’ha comunicato ai suoi compagni e amici, è perché aveva sperimentato le infinite ricchezze del cuore di Dio. Il certosino, nella preghiera, cerca di sentire la trepidazione del mondo e si fa vicino all’umanità con quella compassione di cui Gesù è il più grande maestro e testimone».

A Lei, Padre Dupont, divertono molto i paradossi, “Sia nella Bibbia, sia nei Detti dei Padri si trova tutto e il contrario di tutto” ha detto nel libro intervista. Il filosofo tedesco Ernst Bloch sosteneva che per essere buoni cristiani bisogna essere atei, come potremmo giustificare un paradosso simile?

«Non dimentichiamo che i primi cristiani furono condannati come atei, perché rifiutarono gli dei della città. Ancora oggi il cristiano deve essere ateo per essere fedele al Dio di Gesù Cristo. Si tratta di proclamare, ma soprattutto di manifestare nelle scelte concrete della vita, che niente e nessuno può essere divinizzato. Si devono rifiutare gli idoli di ogni genere. Se Dio solo è Dio, allora il denaro non è Dio, né il profitto, né le leggi dell’economia. Nessuna autorità è Dio, né alcun potere. Il sesso non è Dio, come nessun affetto, nessun legame, neanche quello nazionale. Tutto questo è buono e va rispettato, però non si deve mai assolutizzarlo, sacralizzarlo. Peraltro è così che Gesù ha vissuto. Ed è morto per aver testimoniato che né Cesare, né la legge, né il tempio, né il sabato erano Dio. Ha vissuto fino in fondo per amore del suo Padre, l’unico Dio».

Lei sostiene che compito del monaco che paragona al mozzo di un nave in attesa di una riva sconosciuta, è quello di scrutare i segni del mondo nuovo, un vigilante teso verso il futuro. Come si concilia la clausura con questa missione del monaco certosino?

«Si può richiamare la poesia “L’infinito” di Leopardi, quando dopo aver accennato alla siepe che delimita il suo sguardo dice “Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo, ove per poco / il cor non si spaura”. Perché nello stare nella solitudine, lontano fisicamente dal mondo, il monaco riesce ad attraversare con maggiore lucidità la realtà non facendosi distrarre dalle fatiche quotidiane dell’esistenza. Certo anche i monaci hanno la loro tribolazione, come ogni vita, ma il silenzio, la solitudine, la preghiera e la vita comunitaria dovrebbero aiutarli a mantenere uno sguardo distaccato dalle cose secondarie, dovrebbero permettere loro di mantenere fisso lo sguardo sull’orizzonte ultimo della realtà, sulla meta finale quando saremo una cosa sola con Dio. Il Papa nel concludere la sua omelia così ci ha esortato: “La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una Certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele. Rimanendo saldamente uniti a Cristo, come tralci alla Vite, anche voi, Fratelli Certosini, siete associati al suo mistero di salvezza, come la Vergine Maria, che presso la Croce stabat, unita al Figlio nella stessa oblazione d’amore. Così, come Maria e insieme con lei, anche voi siete inseriti profondamente nel mistero della Chiesa, sacramento di unione degli uomini con Dio e tra di loro”. Così ci piacerebbe vivere ogni giorno della nostra esistenza, saldamente uniti a Cristo».

 

 

 

Fabrizia, imprenditore crea un itinerario tra cultura e gastronomia e arrivano i turisti

Terra di lavoro quella di Fabrizia ma anche di scoperta di un ambiente culturale e gastronomico montano che lascia senza parole. A pensarci un imprenditore del luogo che ha deciso di creare un itinerario tra storia, cultura, ambiente e gastronomia che ha destato molta curiosità tra turisti e scolaresche. “La rosa delle delizie” non è soltanto un bar, rosticceria, pizzeria ma il vero fulcro pulsante di una complessa attività di promozione e riscoperta del territorio montano delle Serre vibonesi attraverso itinerari mirati e visite guidate nel bel mezzo dei quali c’è un pranzo con menù turistico che si propone di far scoprire i prodotti tipici locali. L’itinerario ideale parte alle 9:30 da Mongiana dov’è possibile ammirare il Parco di Villa Vittoria appartenente all’Arma dei carabinieri ambientali che consiste in un giardino botanico che si estende su 400 ettari; una vera e propria oasi naturalistica che nel corso degli anni è diventata modello di educazione ambientale, meta di studiosi proveniente da tutte le università italiane. Qui è possibile ammirare piante officinali, flora e fauna di vario genere. Si lascia la natura incontaminata per immergersi nella storia.

Nate nel 1771 sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone, ma entrate a regime dieci anni dopo, le ferriere di Mongiana furono prevalentemente adibite alla produzione bellica e attive nel campo dell’ingegneria civile. Dai loro altiforni, infatti, uscirono i ponti sospesi di ferro sui fiumi Garigliano e Cadore (i primi nella Penisola, 1825-28), così come pure le rotaie della prima tratta ferroviaria italiana Napoli-Portici (1839). Con la restaurazione, dopo il Congresso di Vienna del 1815, per il polo siderurgico di Mongiana si avviò un periodo di crisi dalla quale si risollevò temporaneamente poco prima dell’Unità d’Italia. Il nuovo governo unitario decise il declino delle Reali Ferriere Borboniche che furono inizialmente vittima di carenze di finanziamenti e di un calo di produzione sempre più marcato, e successivamente della definitiva disfatta attraverso la vendita al pubblico incanto. L’asta pubblica si tenne a Catanzaro il 25 maggio 1874 e l’offerta più alta - un milione di lire - fu di Achille Fazzari. L’attenzione per l’area borbonica è oggetto non soltanto di una visita passiva ma, attraverso dispositivi tecnologici, il visitatore può interagire aprendosi alla conoscenza in una logica di coinvolgimento emotivo. L’obiettivo è raccontare, attraverso un virtual book, cosa c’è dietro a quei ruderi, la loro storia, la popolazione, il lavoro degli operai, la loro vita e il legame col territori. Il tutto con una grande attenzione verso il fascino del passato. Nuovi spazi multimediali, tablet, pannelli interattivi 3D, filmati, ricostruzioni virtuali, itinerari didattici per le scuole, ricostruzioni olografiche e tutto quello che la tecnologia avanzata offre, fanno di questo polo museale un centro di avanguardia per lo studio della storia borbonica, del decennio francese e della archeologia industriale. Alle 12,30 c’è la visita a Fabrizia e al suo borgo antico sorto dalla trasmigrazione delle genti di Castelvetere (odierna Caulonia) e di Roccella Ionica. Raggiunse l’autonomia comunale nel 1591. Il principe Fabrizio Carafa, da cui prende il nome, scelse questo luogo per la sua bellezza e vi fece erigere la sua dimora estiva. Il castello, esistente ancor oggi, rappresentò il fulcro di tutte le attività del feudo per lungo tempo. Secondo il “catasto onciario” o “catasto Carolino” (1746) la località annoverava un’elevata quantità d’artigiani e mestieranti vari tra cui: fabbri, sarti, mastri d'ascia, muratori, casari, custode di neve, chianchieri, massari e braccianti. Sugli argini della fiumara “Allaro” sorgevano numerosi mulini per la macina e diverse fornaci per la realizzazione di manufatti in argilla. All’inizio del Ottocento, il trasferimento del casato a Napoli coincise, insieme al rovinoso terremoto del 1783, con un lento ma inesorabile declino dei possedimenti del principato. A causa del devastante terremoto, l’intero territorio accusò un forte regresso economico, dal quale si riprese solo con l’avvento del dominio Francese; la ripresa ebbe come forte traino la presenza sul territorio delle Reali Ferriere, costruite durante il dominio borbonico e potenziate dai francesi. Qui in una montagna attrezzata perso il Passo dell’Abate caratterizzata da una natura incontaminate e suggestiva e da panorami lussureggianti incastonati in un mistico silenzio, è previsto il pranzo a base di prodotti tipici locali: carne grigliata, funghi autoctoni, salumi e formaggi faranno la felicità di ogni tipo di palato.

Alle 15 è prevista la partenza per Serra San Bruno e la visita al complesso della Certosa e del museo. È il primo monastero certosino d’Italia, il secondo di tutto l’Ordine, e sorge in un pittoresco bosco alla periferia di Serra San Bruno. Si tratta di un vasto complesso fondato tra il 1090 ed il 1101 da Brunone di Colonia, fondatore dell’Ordine dei certosini e della Grande Chartreuse vicino a Grenoble. La chiesa conventuale, originariamente di stile gotico, verso la fine del ‘500 fu rimaneggiata, su probabile progetto del Palladio. Tra i secoli XVI-XVIII subì successivi restauri, fin quando il terremoto del 1783 la distrusse. Verso la fine dell’ottocento fu riedificata, conservando dell’originario complesso, i resti della quattrocentesca cinta muraria, ruderi della grandiosa facciata rinascimentale della chiesa, gran parte dell’ordine inferiore del secentesco chiostro, la secentesca fontana barocca e il vecchio cimitero dei certosini. La Certosa di Serra San Bruno, oltre a caratterizzare la vita religiosa, sociale e culturale delle serre, fin dai primi tempi dalla sua fondazione, occupò un posto importante nell’ambito del settore dell’artigianato. Santa Maria del Bosco prende il nome dalla chiesa di S. Maria, che si erge al centro di giganteschi abeti bianchi, dove San Bruno, fondatore dell’ordine certosino, faceva penitenza e fu sepolto. Il bosco, negli anni ’50 è stato sottoposto ad una efficace opera di miglioramento e ricostituzione seguita da una oculata gestione tecnica ed amministrativa, che lo rendono oggi uno dei boschi meglio conservati delle Serre calabresi. Situato all’interno delle mura del monastero, il Museo della Certosa è la porta attraverso la quale la gente comune penetra all’interno del mondo certosino. Nel suo interno vi si trovano tutte le informazioni sulla Certosa nonché sulle tappe della formazione dell’Ordine dei certosini. Di particolare suggestione è la possibilità per il visitatore di conoscere lo svolgimento della vita nel monastero e la partecipazione al mistero della loro scelta di vita. Nelle numerose sale è possibile ammirare le varie ambientazioni che descrivono le attività a cui i monaci si dedicano quotidianamente. Interessante è la ricostruzione  dell’ambiente della cella tipica di un monaco certosino, con al suo interno il “cubicolo”, con alcune suppellettili di uso quotidiano. Altre sale mostrano alcuni laboratori dove i monaci realizzano dei manufatti. L’ultima sala del Museo, invece, è dedicata, oltre alla documentazione delle Certose nel mondo, e alla biblioteca. Alle 17:50 e prevista la ripartenza ed il rientro in sede con la consapevolezza di aver assaporato un luogo incantevole, il Comprensorio montano delle Serre, ricco di arte, storia, cultura e spiritualità.

info: cell. 320.8188846 email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

Successo per "Ciaramaca" di Serafino Maiolo: attori gli alunni di Fabrizia

Diceva Flaubert che l’autore di un libro dev’esse come Dio nell’universo: invisibile e onnipresente. E’ il caso dello scrittore di origini fabriziesi Serafino Maiolo e del suo romanzo “Ciaramaca” edito da Gastoldi nel 1949 e della sua trasposizione cinematografica ad opera degli alunni dell’Istituto Comprensivo di di Fabrizia. E’ la storia di Gianni Aloi detto Ciaramaca che dopo alcuni problemi con la giustizia è costretto a lasciare moglie e figli per partire per l’America. Al suo ritorno ritrova un paese profondamente mutato ma, lui, non crede nei mutamenti. Molti gli avvenimenti di cui saranno protagonisti i familiari di Ciaramaca e lui stesso in prima persona, in un vortice di colpi di scena che lasciano amaramente sbigottito il lettore/spettatore. Ciaramaca è forse il romanzo nel quale si sente, più che negli altri scritti di Serafino Maiolo, l’influenza del Verismo. E proprio questo romanzo è stato scelto dagli alunni 5 A e 5 B di Fabrizia per una trasposizione cinematografica per la regia dell’insegnante Carmela Pisano. Ad aprire la manifestazione durante la quale è stato proiettato il film e alla quale hanno preso parte molte autorità tra cui il sindaco, Francesco Fazio, il dirigente scolastico Prof. Daniele, il sindaco di Mongiana Bruno Iorfida, è stata l’insegnante Carmen Aloi che ha curato il progetto “Cineforum” dal punto di vista amministrativo.  «Questo progetto – ha detto Carmen Aloi – vuole essere un percorso di rivalutazione delle nostre origini. I bambini si sono calati in un contesto passato con grande naturalezza riuscendo pienamente a ripercorrere l'opera ed attualizzarla con i personaggi di ieri e di oggi». Carmela Pisano dal canto suo ha sottolineato come «il progetto cineforum nasce dall'esigenza di avvicinare i nostri alunni al cinema attraverso la lettura, commento, attribuzione delle parti ed infine il vero e proprio set del film. Alle spalle di ogni film ed anche in questo c'è un popolo di tecnici e di competenze a cui va il mio ringraziamento». Gli alunni, vestiti in costumi d’epoca, hanno saputo interpretare nel migliore dei modi la storia di Ciaramaca che è un insieme di storie fabriziesi,  storie intrecciate di alcuni personaggi che scoprono l’amore  e l’amicizia in tutte le loro sfumature, anche le più nere e violente.  Con le location sparse in tutto il paese e dentro case patrizie che ancora oggi conservano il loro fascino dei tempi migliori, la manifestazione nella quale è stato proiettato il film di fatto ha fornito l’occasione per celebrare  una festa di fine anno scolastico che non poteva concludersi in modo migliore.

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