El Alamein, 23 ottobre 1942: quando gli eroi della Folgore diventarono leggenda

Capita spesso di sentire associare all’Italia una storia militare fatta solamente di sconfitte, disfatte e rapidi “giri di valzer”.

Eppure, oltre al “Franza o Spagna purché se magna” ci sono tante pagine che parlano di un Paese differente, disposto a battersi ed a farlo con onore.

Ricorre proprio oggi l'anniversario dell'inizio della battaglia di El – Alamein combattuta, durante la seconda guerra mondiale, in Africa del nord da italiani e tedeschi da una parte e britannici dall’altra. Al km 120 della litoranea Alessandria d'Egitto - Marsa Matruh si fronteggiarono due eserciti e due strateghi geniali: Rommel, a capo dell'Afrika Korps e Montgomery al comando dell'VIII Armata britannica.

La guerra nel deserto nell'Africa settentrionale durava ormai da due anni. Nel periodo 1940-42 gli italiani, successivamente affiancati dai tedeschi, si erano battuti con alterne fortune contro gli eserciti di sua maestà.

La prima battaglia di El-Alamein si combatté dall’ 1 al 27 luglio 1942. Il generale Rommel, divenuto tra le dune africane, la volpe del deserto, aveva tentato un'ardita manovra in profondità per scardinare lo schieramento nemico e far cadere il campo trincerato di El-Alamein.

I protratti combattimenti ebbero però l’effetto di logorare le forze dell’Asse. I britannici, dal canto loro, effettuarono massicci e fulminei attacchi tesi a sfondare lo schieramento italo-tedesco. I due schieramenti si rafforzarono febbrilmente sulle rispettive posizioni con lavori di trinceramento e la posa di estesi e profondi campi minati. L'attacco finale degli inglesi, passato alla storia con il nome di seconda battaglia di El Alamein, venne sferrato nei giorni compresi tra il 23 ottobre ed il 6 novembre 1942.

L'offensiva fulminea rappresentava l’elemento portante del piano d'attacco. Per essere certi del successo, i britannici misero in campo una forza d'urto straordinariamente numerosa. Alla vigilia della battaglia l’VIII Armata contava, infatti, 220 mila uomini, 1.351 carri, quasi mille pezzi d’artiglieria, 1.200 aerei.

A contrastare l’avanzata delle truppe di Montgomery, complessivamente si trovavano 108 mila soldati e 497 carri, 700 aerei, dei quali solo 330 da prima linea. L'evidente sproporzione delle forze in campo era aggravata dalla penuria di rifornimenti causata dall’azione implacabile della marina da guerra britannica capace di decimare i convogli marittimi diretti in Libia.

Sul fronte sud l'attacco inglese, venne prontamente fermato dalla violenta reazione della Folgore. I 4 mila “leoni”, come appellò i paracadutisti il premier inglese Winston Churchill, solitamente poco incline ai complimenti nei confronti degli italiani, non mollarono.

Nascosti nelle buche lasciate dai proiettili dell’artiglieria i parà si scagliavano contro i corazzati con le loro bottiglie incendiarie o con le mine magnetiche. Incapaci di sfondare al primo assalto le truppe britanniche furono costrette ad impegnarsi in una logorante serie di offensive. Ai ripetuti attacchi britannici, i paracadutisti risposero con incredibile determinazione ed energia, respingendo ogni tentativo di sfondamento ed infliggendo al nemico gravi perdite.

La tenace resistenza obbligò gli inglesi a sospendere ogni ulteriore iniziativa su quella parte di fronte. "La battaglia di El-Alamein si sarebbe decisa, di lì a qualche giorno, sugli altri versanti. Quando il 2 novembre, in seguito al generale ordine di ripiegamento, la Folgore abbandonò le posizioni, la sua linea di resistenza era ancora intatta. L’arma vincente dei paracadutisti era stata la superiorità tattica; il contrassalto, applicato sistematicamente contro gli attacchi di carri e fanterie che aveva annullato la potenza offensiva dei nemici".

Sui luoghi della battaglia sorgono oggi tre cimiteri, muta testimonianza della durezza dello scontro. Un prato verde veglia sui caduti del Commonwealth.

Un castello svevo perpetua la memoria dei soldati tedeschi, un bianco Sacrario custodisce i resti dei combattenti italiani.

Poco distante sorge, invece, la torre di Quota 33, costruita a proprie spese da Paolo Caccia Dominioni, che ad El-Alamein, dopo aver combattuto, decise di trascorrere molti dei suoi anni alla ricerca delle povere ossa di quanti, sotto tutte le bandiere, intrisero con il loro sangue le arse sabbie del deserto.

  • Published in Cultura

Germania: profugo siriano uccide una donna con un machete

Ancora sangue e paura in Germania, dove un siriano di 21 anni ha ucciso con un machete una donna. L'aggressione è avvenuta in una strada di Reutlingen, città situata nel Baden-Württemberg, nel sud della Germania. Secondo la stampa tedesca, l'uomo, un richiedente asilo, avrebbe ferito altre due persone che si trovavano nei pressi di una rivendita di kebab. L'aggressore, già noto alle forze dell'ordine per altri episodi di violenza, è stato arrestato dalla polizia.

 

 

Strage di Monaco: 10 morti e 16 feriti, l'attentatore un 18enne di origini iraniane

E' di dieci morti, compreso l'attentatore e sedici feriti il bilancio della strage compiuta ieri pomeriggio a Monaco di Baviera, in Germania. Tra le vittime ci sarebbe anche una ragazza di 15 anni, mentre tra i feriti ci sarebbero  alcuni bambini. Ad aprire il fuoco all'impazzata contro inermi cittadini, è stato un 18enne di origini iraniane. Secondo alcuni organi d'informazione tedeschi, l'assassino viveva con i genitori nella periferia della città di Maxvorstadt. La polizia sta cercando di capire se l'attentatore abbia agito da solo o facesse parte di una rete di terroristi. Intanto, per oggi, la Baviera ha proclamato una giornata di lutto nazionale in memoria delle vittime.

 

Monaco: spari in un centro commerciale, diversi morti e numerosi feriti

Diversi morti e numerosi feriti, in un centro commerciale di Monaco di Baviera, in Germania dove, uno o più uomini hanno aperto il fuoco sulla folla. Secondo le prime indiscrezioni, gli autori della strage sarebbero stati almeno tre. In un video diffuso via Twitter, si vede un uomo uscire da un McDonald che, con una pistola, spara all'impazzata sui passanti. Un testimone avrebbe visto almeno uno dei terroristi allontarsi dal luogo dell'attentato servendosi di un treno della linea metropolitana.

Germania: urla "Allah è grande" e si scaglia con un'ascia contro i passeggeri di un treno

Quattro persone sono state ferite, ieri sera, in Germana, da un 17enne afgano mentre si trovavano a bordo di un treno diretto nella cittadina di Wurzburg. Secondo quanto riferito dal ministero dell'Interno bavarese, l'immigrato si sarebbe scagliato contro i passeggeri con un'accetta, urlando "Allah akbar", Dio è grande. Tre dei feriti verserebbero in gravi condizioni, mentre il quarto avrebbe riportato ferite leggere. L'assalitore è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dalla polizia.

Dal terremoto di Reggio e Messina alla Rivoluzione d’Ottobre, la lunga storia dell’incrociatore Aurora

Ci sono simboli che sfidano il tempo, a tal punto da sopravvivere a ciò che li ha resi celebri. Un caso particolare è quello dell’incrociatore Aurora, la nave da cui partì il primo colpo di cannone che diede l’abbrivo alla Rivoluzione d’Ottobre.

Si tratta di un’unità da guerra dal destino particolare, l’unica a fregiarsi del vessillo di Sant’Andrea, prima e dopo quello dei soviet. In questi giorni è ritornata alla ribalta, poiché dopo un restauro, durato due anni, è ritornata al suo posto a San Pietroburgo, dove continuerà ad essere esposta come museo.

La storia dell’incrociatore è legata agli eventi più tragici del Novecento. Un segno particolare lo ha lasciato anche in Italia, dove partecipò attivamente ai soccorsi a Reggio e Messina, dopo il devastante terremoto del 1908.

Nonostante fosse in linea da meno di un lustro, quando giunse nelle acque dello Stretto, l’Aurora vantava uno stato di servizio di tutto rispetto. Progettata dall’ingegnere Ratnik, responsabile dei cantieri navali di San Pietroburgo, era stata impostata nel 1897. Varata l’11 maggio 1900, dopo l’allestimento, era entrata in servizio nel 1903. Lunga 127 metri e larga 17, poteva raggiungere la velocità di circa 20 nodi con un equipaggio formato da 550 marinai agli ordini di 20 ufficiali. Il nome gli era stato dato in onore dell’omonima fregata che, durante la guerra di Crimea (1853 – 1856), aveva difeso con successo la città di Petropavlov. Dopo il varo, era andata a far parte della potente flotta del Baltico. Dalle gelide acque del nord Europa, fu spedita sui tiepidi marosi del Pacifico, dove presa parte attiva al conflitto russo-giapponese (1904-1905). Partecipò anche alla battaglia di Tsushina (27-28 maggio 1905), nel corso della quale la marina nipponica fece strage del naviglio zarista.

L’Aurora fu tra le poche navi a scampare alla falcidia provocata dai siluri del Sol Levante. Colpita da una corazzata e pesantemente danneggiata riuscì a tenersi a galla fino a raggiungere, avventurosamente, il porto di Manila, nelle Filippine. Riparata e riportata in Russia, a partire dal 1907 fu adibita a nave scuola per i cadetti.

In tale veste, il 28 dicembre 1908, si trovava in Sicilia, quando il flagello del terremoto si abbatté su Reggio e Messina. Fu tra le prime unità a portare soccorso alle popolazione delle sue martoriate città. La mattina del 29 dicembre, raggiunse la rada di Augusta dove, secondo i piani emanati dall’Alto Comando di Pietroburgo, avrebbe dovuto incontrare la squadra navale del suo Paese impegnata in un’esercitazione nel Mediterraneo. Trovò ad attenderlo il solo incrociatore Bogatyr, mentre al suo fianco la corazzata Slava, salpate le ancore, si apprestava a partire alla volta di Messina. La sera precedente, ricevuto un cablo contenente la richiesta di portare aiuti immediati, l’ammiraglio Livtinov aveva dato ordine alla corazzata Cesarevic e all’incrociatore Makarov di muovere alla volta della città dello Stretto.

Nelle stesse ore in cui l’Aurora dava fondo alle ancore ad Augusta, le due navi erano già entrate nel porto di Messina ed avevano iniziato a sbarcare uomini e mezzi.

Erano state precedute di poche ore dalle cannoniere Gilijak e Koreek, anch’esse della flotta russa, provenienti da Palermo; il giorno successivo le avrebbero raggiunte la corazzata Slava, due giorni dopo il Bogatyr, mentre l’Aurora si sarebbe diretto su Reggio.

La Cesarevic e il Makarov rimasero stabilmente in porto; la Slava, il Bogatyr e l’Aurora iniziarono a far la spola tra Reggio, Messina e Napoli divenuta retrovia della catastrofe e centro di raccolta dei feriti recuperati dai marinai russi nelle città dello Stretto.

Terminata la missione nel Mediterraneo, a partire dal 1910, iniziò una lunga crociera negli oceani, Pacifico, Atlantico ed Indiano, partecipando, tra l’altro, nel 1911, ai festeggiamenti per l’incoronazione del re del Siam, l’attuale Thailandia. Dopo essere ritornata nella sua base, nel corso della prima guerra mondiale venne impiegata sul Baltico a difesa della città di Riga. Nel 1916 venne fatta rientrare a San Pietroburgo per essere sottoposta a manutenzione straordinaria. Qui, il 25 ottobre del 1917, entrò nella storia facendo partire dal castello di prua il primo colpo di cannone che diede l’avvio alla Rivoluzione d’Ottobre.

Nel 1918, durante la guerra civile, l’incrociatore venne trasferito a Kronstadt e posto in riserva. Le sue bocche da fuoco, una volta smontate vennero, spedite ad Astrakhan dove armarono la batteria della flottiglia rossa del Volga e del Caspio.

Nel 1924 venne schierata nuovamente sul Baltico dove funse da nave scuola. In occasione del decennale della rivoluzione fu insignita dell’Ordine della Bandiera Rossa.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale, la colse nella rada di Oraniembaum. Venne, quindi, impiegata a difesa di Leningrado come batteria antiaerea mentre, nel 1941, le sue batterie furono smontate per ordine di Georgij Zukov e furono mandate al fronte insieme ai cannoni della flotta del Baltico per contrastare l’avanzata delle truppe tedesche. Montati su un treno speciale, i cannoni del vecchio incrociatore furono schierati a difesa di Pietroburgo, la città teatro delle sua antiche gesta, ribattezzata nel frattempo Leningrado. L’unità venne gravemente danneggiata dal fuoco dell’artiglieria tedesca, il 30 settembre 1944.

Recuperata nel 1944, al termine del conflitto venne sottoposta ad un lungo e complicato restaurato. Ritornata in linea come nave scuola, nel 1956 venne trasformata in museo galleggiante e collocata sulla Neva, nel punto esatto da cui sparò il famoso colpo di cannone.

Decorata con l’Ordine della Rivoluzione d’Ottobre nel 1968, continuò a far sventolare la bandiera rossa fino al luglio 1992.

Da allora, sul suo pennone garrisce al vento il vessillo navale di Sant’Andrea, lo stesso che oltre cento anni fa, videro fremere i superstiti di Reggio e Messina.  

  • Published in Cultura

"Il cioccolato Kinder è potenzialmente cancerogeno", la denuncia di un'associazione tedesca

Le barette di ciccolato Kinder Ferrero sarebbero potenzialmente cancerogene. A sostenerlo Foodwatch, un'associazione tedesca specializzata nei test sugli alimenti. Gli attivisti del sodalizio hanno fatto effettuare una serie di esami su numerosi snack per bambini. Dall'esito delle verifiche, secondo quanto sostiene Foodwatch, sarebbe emerso che le  barrette Kinder conterrebbero un livello pericoloso di oli minerali a base di idrocarburi saturi (Moah). Tali sostanze, considerate dannose per la salute dall'Agenzia europea per gli alimenti, sarebbero potenzialmente cancerogene ed in grado di provocare delle gravi mutazioni genetiche e per tale motivo l'associazione ne ha chiesto il ritiro dal mercato. Di parere differente, invece, l'Associazione tedesca dei produttori di cibo confezionato che, attraverso una nota, ha precisato che la concentrazione di oli minerali aromatici nelle barrette Kinder è nella norma, pertanto non esiste alcun pericolo per la salute dei consumatori.

Diserbante cancerogeno in 14 birre tedesche vendute anche in Italia. Le marche

Sono 14 i marchi di birra tedesca che, secondo un'indagine condotta dall'Istituto per l'ambiente di Monaco, conterrebbero tracce di diserbante glifosato. Secondo i risultati delle analisi i livelli del prodotto oscillano fra 0,46 e 29,74 microgrammi per litro, nei casi più estremi quasi 300 volte superiori a 0,1 microgrammi, ovvero il limite consentito dalla legge per l'acqua potabile. Tuttavia, per la birra non esiste nessun limite, nonostante, l'organismo internazionale Iarc (International Agency for Research on Cancer), abbia classificato l 'erbicida come "probabile cancerogeno per l'uomo". Le birre nelle quali e`stata riscontrata la presenza di glifosato sono prodotte dai marchi: Beck's, Paulaner, Warsteiner, Krombacher, Oettinger, Bitburger, Veltins, Hasseroeder, Radeberger, Erdinger, Augustiner, Franziskaner, K”nig Pilsener e Jever. In ogni caso, non e` univoco il giudizio degli esperti sulla pericolosità dell'erbicida per la salute dell'uomo. L'organismo internazionale Iarc (International Agency for Research on Cancer) lo ha classificato come «probabile cancerogeno per l'uomo» nel marzo 2015. Sophia Guttenberger, dell'istituto di Monaco che ha compiuto la ricerca, ha detto che si tratta di "una sostanza, che potrebbe essere cancerogena". Per l'Istituto federale per la valutazione del rischio (Bfr), i residui di glifosato nella birra sono, invece, "dal punto di vista scientifico plausibil"», dal momento che l'erbicida è autorizzato come diserbante. "Un adulto dovrebbe bere intorno ai mille litri di birra al giorno per assumere una quantità di glifosato preoccupante per la salute". 

Subscribe to this RSS feed