Trump, la Russia e il Nuovo ordine mondiale

Con il solito tono professorale di chi non ne azzecca una, i giornalisti corrivi e gli osservatori distratti che non avevano capito nulla del fenomeno Trump, ci riprovano.

Dopo aver sbagliato tutte le previsioni formulate nel corso della campagna elettorale, chiunque, al loro posto, si sarebbe nascosto per sfuggire alla vergogna, ma loro no. Anzi, si ripresentano sulla ribalta, con la pretesa di voler spiegare agli altri ciò che non riescono a capire.

Così, continuando a produrre la loro partigiana e inconcludente informazione anti Trump, non si preoccupano di pronunciare idiozie sesquipedali. L’ultima perla è stata sciorinata pochi giorni addietro. A loro dire, il neo presidente non conosce la politica estera per poter sedere alla Casa Bianca.

Tralasciando il dato, non irrilevante, che neppure in passato (Obama in primis) i presidenti erano stati selezionati tra i ranghi della diplomazia. Tralasciando, pure, i danni prodotti in giro per il mondo dall’esperta coppia Obama – Hillary Clinton, viene da chiedersi come sia possibile che giornalisti e sedicenti osservatori non facciano uno sforzo, non per capire, ma quanto meno per cercare di trovare una spiegazione a ciò che potrebbe succedere a breve.

Non condividere, beninteso, semplicemente analizzare e capire.

Una delle tante colpe imputate a Trump è l’attenzione verso la Russia. Un’attenzione che, in fin dei conti, potrebbe essere frutto di calcolato pragmatismo.

Fin dalle prime uscite ufficiali, il neo inquilino della Casa Bianca ha confermato ciò che aveva ripetuto in campagna elettorale. Nella sua visione, gli Usa devono riacquistare in tutti gli ambiti la centralità perduta.

Per raggiungere l’obiettivo sa che deve mettere mano alla politica estera. Non è un caso che tra i primissimi provvedimenti figuri il ritiro dal Tpp, peraltro non ancora ratificato dal Congresso. Con una firma, Trump ha definitivamente affossato l’accordo di libero scambio transpacifico.

Nell’ambito della politica internazionale, l’America si muove su un terreno minato. Il lascito di Obama è disastroso (ne abbiamo parlato qui).

I problemi sul campo sono piuttosto complessi ed in alcuni casi rappresentano la conseguenza della caduta del muro di Berlino.

A partire dagli anni Novanta, gli Stati Uniti hanno, infatti, avviato la stagione dell’unilateralismo. La fine della storia vaticinata da Fukuyama ha assunto, però, una piega diversa. Così, l’idea di poter governare in solitudine il mondo si è scontrata con la realtà.

Viepiù che le sfide lanciate da più parti, nel corso degli anni si sono moltiplicate.

Soprattutto in Iraq e Afghanistan, gli Usa hanno misurato sulla loro pelle quanto sia difficile esercitare il ruolo di unica grande potenza. Ne è conseguito che, dopo le avventate gesta belliche volute da Bush, l’America si è scoperta restia a mettere gli scarponi sul terreno.

In un mondo in cui i conflitti tendono a dilatarsi, Trump sa di avere bisogno di “alleati” desiderosi e capaci di condividere il fardello delle responsabilità.

Nello scenario attuale, più che una strada possibile, la Russia rappresenta l’unica percorribile.

L’Europa dei mercati è, infatti, poco meno di un gigante riluttante, incapace di difendere se stessa, figurarsi gli altri. Reso pusillanime da settant’anni di benessere garantito dalle baionette americane, il Vecchio Continente non ha lo spessore politico per proporsi come attore globale.

In Estremo Oriente, l’ascesa economia della Cina ha gettato le premesse per un futuro attrito. In maniera discreta, Pechino ha iniziato a costruire le basi per trasformare l’attuale potere finanziario in supremazia geopolitica.  I cinesi hanno già trasformato l’Africa nel loro supermercato. In Australia sono diventati il secondo gruppo etnico più numeroso . Nel Pacifico, invece, hanno ampliato il loro orizzonte con la costruzione delle isole artificiali nel Mar Cinese meridionali.

Articolo pubblicato su: mirkotassone.it

In Medio Oriente, infine, Obama ha incendiato la polveriera sulla quale era seduto. Con l’intera area infiammata da guerre e conflitti latenti, la situazione rischia di finire fuori controllo. Per ricomporre i cocci, Trump ha bisogno di un alleato militarmente attrezzato che non teme si gettarsi nella mischia.

Nella strategia di The Donald, la Russia rappresenta giocoforza l’unico alleato possibile.

Dalla sua, Mosca ha la tradizione, la vocazione, la proiezione strategica e la capacità pratica di prendere parte alla costruzione del Nuovo ordine mondiale.

Per tenere in piedi la loro traballante supremazia, gli Usa hanno bisogno di una solida stampella. In tal senso, nel breve periodo, la Russia di Putin può aiutare Trump a pacificare il Medio Oriente. Nel lungo termine, invece, può coprire il vuoto politico rappresentato dall’Europa e tenere in ambasce la Cina, distraendola da eventuali tentazioni imperiali.

Nelle intenzioni di Trump, molto probabilmente Usa e Russia dovrebbero, candidarsi a rimettere in ordine il mondo. Lo scopo, neppure troppo celato, è impedire la nascita di ingovernabili linee di conflitto. Un accordo del genere rappresenterebbe la saldatura tra la talassocrazia americana e la tellurocrazia russa. Un accordo che potrebbe ridisegnare, non solo il mondo, ma anche la sua storia.

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