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O si fa la Calabria o si muore: ad Oliverio servono tre protettori

Il tempo è scaduto: manfrine a centrocampo e risse negli spogliatoi non sono più ammissibili. Un paragone calcistico che si attaglia alla perfezione allo stato dell'arte fotografato dalle infinite lotte interne al Partito Democratico in Calabria e che costituiscono una pesantissima zavorra per le speranze coltivate, con quel briciolo di incoscienza rimasta, da ogni singolo cittadino di questa terra. Come se non bastasse il fardello di ciò che è stato finora il percorso di questo primo scorcio di legislatura, invero assai poco battuto da Mario Oliverio e dalla maggioranza di centrosinistra che lo sostiene (almeno sulla carta), i mai sopiti scontri personali fra i big del PD hanno subito negli ultimi giorni un'ulteriore ritorno di fiamma che rischia di far implodere Palazzo Campanella e la nuova Cittadella. Un peggioramento dei rapporti umani e politici gravido di conseguenze deleterie, se non si ha la responsabilità di fermarsi un millimetro prima del baratro in cui precipiterebbe, questa volta senza possibilità alcuna di aprire il paracadute, il futuro della Calabria. Inutile girarci attorno: quella consegnata dalle urne apertesi alla fine dello scorso mese di novembre è una legislatura nata male, quasi con un destino negativo segnato dagli eventi anche antecedenti all'insediamento. L'interminabile baruffa attorno a quel paio di sezioni di Castrolibero dal cui risultato finale è spuntato Orlandino Greco è lo specchio fedele di quanto si sarebbe verificato nei mesi successivi. Incertezze, confusione, lentezze ingiustificabili, l'incapacità di arrivare alla sostanza dei problemi perché affaccendati nel regolare i conti tra caporali orfani di un Generale o anche solo di un Colonnello: un triste rosario da sgranare per i calabresi che avevano ritenuto di uscire dallo "scopellitismo" per affidarsi all'"uomo forte" di San Giovanni in Fiore. Immerso nel mare magnum della politica da prima che il Gianluca Callipo, suo competitor alle Primarie, venisse alla luce, era apparso ad una netta maggioranza di elettori come il personaggio capace di prendere in mano, con decisionismo e fermezza, il cavallo imbizzarrito dell'istituzione regionale. Nulla di più distante dalla prova dei fatti: prima la testardaggine, a dispetto delle emergenze che assediano la Calabria, nel voler attendere a tutti i costi l'approvazione del nuovo Statuto da parte del parlamentino calabrese, poi il parto, ricco di veleni sputati fuori dal misterioso caso "Lanzetta", della mini Giunta, con la cooptazione di Nino De Gaetano (già all'epoca al centro di un'inchiesta giudiziaria e successivamente arrestato nell'ambito della "Rimborsopoli" in salsa calabrese), anche in questo caso andando a sbattere contro l'evidenza del buonsenso. Inutile dire che l'uragano scatenato dalla magistratura reggina ha creato il caos, sebbene i fatti contestati fossero ascrivibili alla passata legislatura. Altra fermata, altro stop ad un cammino già assai accidentato. A quel punto, tra mille e più contrasti sull'asse Roma-Catanzaro, alimentati anche dal conflitto senza esclusione di colpi con il Commissario al Piano di rientro nella Sanità, Massimo Scura, davanti ad Oliverio non rimaneva altre vie d'uscita: per rimanere in sella ha azzerato, su input direttamente giunto dalla sede del Nazareno/Palazzo Chigi, quel poco che era stato concepito e ripartire con un Esecutivo nuovo di zecca, libero da ingombranti presenze politiche e zeppo di "esterni" d'area, del tutto a digiuno, tuttavia, delle insondabili alchimie che governano i Palazzi. Una novità fragorosa che, inevitabilmente, non ha fatto altro che esasperare la tensione fra i consiglieri, trattati da appestati e deprivati di ogni legittimazione. Tralasciando il cortocircuito che si è creato affiancando ad ogni assessore "tecnico" una struttura "politica" composta da staff afferenti ai detentori del consenso reale, l'inesorabile ostinazione dei fatti è approdata sulla sponda dello scontro aperto, esploso in tutta la sua potenza giovedì sera in occasione della riunione del Gruppo consiliare del Partito Democratico. Un autentico evento, stando alle parole di Mimmetto Battaglia che ha ricordato come questo non sia un genere di appuntamenti particolarmente frequente, per usare un eufemismo. Nessuno fra loro accetta di perseverare nella supina passività della ratifica notarile di atti e provvedimenti che hanno una genesi in luoghi distinti e distanti dall'Aula del Consiglio. La deriva, neanche a dirlo, ha messo in una posizione traballante Sebi Romeo, capogruppo del PD, rimasto l'ultimo dei mohicani a difesa del fortino eretto da Oliverio. Il pretoriano del presidente della Giunta, però, potrebbe presto pagare il ruolo di longa manus del capo dell'Esecutivo regionale perché ormai orfano della legittimazione necessaria per esercitare un incarico che deve necessariamente godere dell'adesione dei colleghi vicini di scranno. Quale che sia la soluzione, è impensabile insistere a scaricare sulle esigenze di una popolazione martoriata l'irresponsabile ed infinito balletto di botta e risposta che stanno facendo del PD un vero e proprio Vietnam. Se ne esce soltanto se i livelli sovraordinati, a partire dalla delegazione parlamentare calabrese del partito, si assumono l'onere di accompagnare ed avvolgere l'operato di Oliverio & Co. Scendendo nel dettaglio e, tanto per non lasciare spazio all'immaginazione, è bene completare il discorso facendo nomi e cognomi dei tre che, per motivi diversi tra loro, hanno l'obbligo di assolvere a questo compito: in rigoroso ordine alfabetico Brunello Censore, Ernesto Magorno e Marco Minniti. Il primo perché, recentemente avvicinatosi alla corrente renziana dopo aver sposato la causa della minoranza, può e deve fungere da elemento di raccordo tra le varie anime del PD; il secondo, in quanto segretario regionale, scrollandosi di dosso le timidezze che ne hanno fin qui contraddistinto il mandato,  prenda finalmente le redini fornendo una direzione precisa alla truppa; il terzo, per tutto quello che da decenni rappresenta negli equilibri interni al partito e per l'esperienza accumulata, metta a disposizione tutta la sua autorevolezza per rimarginare ferite antiche e nuove. E' in gioco il destino di tutti: o si fa la Calabria, qui ed ora, o si muore.

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