Operazione “Lex Genuncia”. Prestavano denaro a tassi usurai: sequestrati beni per oltre 1.500.000 euro

È giunto alle fasi conclusive il processo relativo all’operazione “Lex Genucia”, svolta dai finanzieri del Gruppo di Lamezia Terme e coordinata dalla Procura della Repubblica alla sede, che nel 2012 portò alla sbarra dieci soggetti, tutti in stato d’arresto, accusati di aver vessato con prestiti usurari svariati imprenditori locali che versavano in forti difficoltà finanziarie. Al vaglio della Corte di Cassazione, infatti, sono giunte le posizioni giudiziarie di sei degli originari dieci imputati, poichè la situazione di altri tre rimane tuttora al vaglio della magistratura, mentre il restante indagato aveva nel frattempo già “patteggiato” la pena. Anche la Suprema Corte ha ora ritenuto esatte le conclusioni investigative dei finanzieri ed il conseguente impianto accusatorio della Procura lametina, ribadendo ancora una volta la penale responsabilità dei sei imputati, che avevano invano proposto ricorso rispetto alle condanne già subite in primo e secondo grado di giudizio. Non solo, la Corte di Cassazione, nel dichiararli definitivamente colpevoli di usura, ha pure disposto per due di essi la confisca altrettanto definitiva dei beni già sequestrati preventivamente dalla Guardia di Finanza, ciò in applicazione dell’art 12 sexies della legge 356/92. Quindi, il Gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia Terme ha dato esecuzione alle misure ablatorie citate ed ha sottoposto a confisca - oramai divenuta irrevocabile - beni per un complessivo valore superiore a 1.500.000 euro. Nello specifico, l’esecuzione del provvedimento ha interessato beni immobili, fra cui due ville ubicate sul territorio lametino, denaro per oltre 100.000 euro, beni mobili di pregio ed anche le quote societarie di una nota impresa, tuttora mantenuta operante, sotto la gestione dell’amministrazione giudiziaria. Tutti i beni sopra indicati sono stati tolti dalla materiale disponibilità dei condannati, per essere trasferiti al patrimonio dello Stato, che ora li destinerà a fini istituzionali e\o sociali.

Incandidabilità, l’Avvocatura chiede la correzione della sentenza della Cassazione: Niglia resta presidente della Provincia

“Il ministero dell’Interno ha sostanzialmente riproposto le nostre argomentazioni avvalorando le tesi contenute nel nostro ricorso e fermando qualsiasi iniziativa da parte della Prefettura”. L’avvocato Antonello Fuscà, difensore del presidente della Provincia di Vibo Valentia  Andrea Niglia, esulta dopo la notifica, avvenuta ieri, del ricorso dell’Avvocatura generale dello Stato (per conto del ministero dell’Interno) alla Cassazione con il quale viene richiesta la rettifica della sentenza sull’incandidabilità di Niglia e di altri ex amministratori di Briatico. Per l’Avvocatura, la Corte Suprema dovrà infatti correggere il dispositivo della sentenza adeguandolo alle motivazioni e dovrà individuare il giudice del rinvio dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto.

Ricorso di Niglia contro la sentenza di incandidabilità: "Non ho nulla da temere"

"Niente di ufficiale mi è stato ancora notificato dalla Corte Suprema di Cassazione. Sono stato comunque informato a riguardo dai miei legali, con i quali - considerati gli evidenti errori formali e sostanziali presenti nella sentenza - abbiamo prontamente avviato un’azione di sospensiva e revoca dell’atto. Per tali motivi sono estremamente sereno e attendo con fiducia la conclusione dell’iter giuridico". Queste le dichiarazioni del sindaco di Briatico e presidente della Provincia di Vibo Valentia, Andrea Niglia, in seguito alla notizia, diffusa da alcuni giornali online, sulla sentenza della Corte suprema di Cassazione che lo dichiara incandidabile, in accoglimento del ricorso presentato dal Ministero dell’Interno in merito ad una precedente sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva, invece, dichiarato la candidabilità del sindaco e di altri esponenti del Consiglio comunale di Briatico sciolto nel 2011. "Assise di cui non ero sindaco - sottolinea Andrea Niglia - e dalla quale mi ero dimesso, da semplice consigliere di minoranza, dopo appena sei mesi. È bene evidenziare inoltre - aggiunge Niglia - che non ho mai ricevuto nessun decreto di scioglimento e che il Tar del Lazio, nel confermare la caduta dell’Amministrazione guidata dal dottore Prestia, non ascriveva nulla al sottoscritto, specificando nel merito che nessun atto era da addebitare all’Amministrazione precedente guidata dalla giunta Niglia". Il presidente della Provincia di Vibo Valentia mette, quindi, in risalto che: «La Corte suprema di Cassazione nel verdetto scrive che ”in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata con rinvio” mentre nelle motivazioni successive afferma, in maniera del tutto discordante, che la sentenza impugnata viene cassata ma non più con rinvio, dichiarando 'incandidabili sindaco e amministratori'. Considerato pertanto tale macroscopico errore, che anche chi non è esperto in giurisprudenza può facilmente rilevare, non ho nulla da temere. E confortato, comunque, dall’autorevole parere di esperti in materia e dai miei stessi legali - conclude Andrea Niglia - ho già fatto notificare il ricorso al Procuratore generale della Cassazione e, per conoscenza, anche al Ministero dell’Interno, alla Corte di appello di Catanzaro e alla Prefettura di Vibo Valentia.

 

Provincia di Vibo, Niglia dichiarato incandidabile dalla Corte di Cassazione. L’Ente nel caos

La difficilissima situazione in cui versa la Provincia di Vibo Valentia si complica ulteriormente per effetto di una sentenza della Corte di Cassazione che sostanzialmente mette fuori gioco il presidente Andrea Niglia. Al pessimo stato della viabilità vibonese, ai problemi dei dipendenti che aspettano gli stipendi, ad una condizione di sviluppo semipermanente, si aggiunge la molto più che vacillante posizione dei vertici politico-amministrativi. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del ministero dell’Interno, ha ribaltato la precedente sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva indicato come improcedibile la domanda del ministero volta a far dichiarare incandidabili  Andrea Niglia, Milena Grillo, Gennaro Melluso, Massimo Rocco La Gamba e Domenico Marzano, amministratori del disciolto consiglio comunale di Briatico. Il punto, secondo la Cassazione, è che “la misura interdittiva dell’incandidabilità degli amministratori pubblici di enti territoriali, il cui consiglio sia stato sciolto per l’esistenza di ingerenze della criminalità organizzata, opera dal momento in cui sia stata dichiarata con provvedimento definitivo e riguarda il primo turno, ad esso successivo, di ognuna delle tornate elettorali indicate dall’art. 143, comma 11, del d.lgs. n. 267 del 2000 e, quindi, tanto le elezioni regionali, quanto quelle provinciali, comunali e circoscrizionali”. “Si è ritenuto in realtà – sostiene la Corte – che il riferimento cumulativo, e non alternativo, ai turni elettorali elencati deve essere interpretato nel senso che l’incandidabilità si applica per ciascuno di essi che sia indetto dopo la sua definitiva dichiarazione. L’incandidabilità infatti non può operare prima che la sia dichiarazione giurisdizionale sia divenuta definitiva. E dunque deve ritenersi  che l’incandidabilità operi quando, come previsto dalla norma, sia dichiarata con provvedimento definitivo, valendo evidentemente per tutti i turni elettorali successivi che si svolgeranno nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, sebbene nella stessa regione si siano svolti uno o più turni elettorali (di identica o differente tipologia) successivamente allo scioglimento dell’ente ma prima che il provvedimento giurisdizionale dichiarativo dell’incandidabilità abbia assunto il carattere della definitività”. Di conseguenza, la Cassazione, cassando la sentenza impugnata, ha dichiarato Niglia e gli altri amministratori “incandidabili alle elezioni regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali, limitatamente al primo turno successivo allo scioglimento del Comune di Briatico”. In altre parole, ad avviso della Corte, Niglia non poteva candidarsi alla presidenza della Provincia di Vibo Valentia. Lo stesso presidente della Provincia ha comunque presentato un controricorso.

Avance sessuali a professoressa: condannato ex preside

E' stato condannato dalla Corte di Cassazione, che non ha modificato la pena a due anni di reclusione, Pietro Catanzaro, già preside di un istituto scolastico di Cropani, giudicato responsabile del reato di concussione. A cavallo fra il 2007 ed il 2008 aveva tormentato, con proposte di natura sessuale, una docente, Patrizia Aiello. A dare notizia della sentenza, che dunque assume il crisma della definitività, è stato il marito della donna, Giuseppe Candido, esponente de sindacato Gilda. La vittima ha così commentato il verdetto: "La giustizia esiste ancora".

'Ndrangheta, la condanna è definitiva: torna in carcere l'ex giudice Enzo Giglio

La sentenza è passata in giudicato, come sancito dal verdetto finale emesso undici giorni addietro dalla Corte di Cassazione, ed è per tale motivazione che Vincenzo  Giglio, già presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, è stato accompagnato di nuovo dietro le sbarre. I giudici della Corte d'Appello di Milano avevano condannato l'ex magistrato  a 4 anni di reclusione nell'ambito della vicenda processuale sorta dall'inchiesta che ha stretto il cerchio attorno alle attività criminali della cosca Valle-Lampada. Enzo Giglio era finito in manette quattro anni fa nel contesto di un'operazione che fece molto rumore in tutta Italia perché, oltre all'ex giudice, furono arrestati Franco Morelli, all'epoca dei fatti consigliere regionale calabrese del PdL, l'avvocato Vincenzo Minasi e numerosi esponenti organici ai Lampada. 

 

 

 

Vicenda Zoccali, annullato sequestro a carico dell'ex dg della Regione

I magistrati della seconda sezione della Corte di Cassazione hanno deliberato di annullare con rinvio il verdetto con il quale il Tribunale della libertà di Catanzaro aveva ribadito la decisione di sequestrare 850 mila euro a carico di Franco Zoccali, direttore generale della Presidenza della Giunta regionale all'epoca di Giuseppe Scopelliti.  Una sentenza che era stata emessa in relazione al reato di truffa contestatogli. Contestualmente è stata cassata, in questo caso in via definitiva, la richiesta, accordata dal Tribunale del Riesame, formulata dalla Procura della Repubblica circa l'addebito dei reati di abuso e falso. Ad inoltrare l'istanza alla Suprema Corte era stato l'avvocato Francesco Gambardella, che difende Zoccali. La Procura della Repubblica del capoluogo ha ipotizzato che l'ex direttore generale fosse stato nominato illegittimamente, in assenza delle competenze e delle caratteristiche  prescritte dalle norme in materia.  

 

Subscribe to this RSS feed