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Rimborsopoli, Lanzetta mette il dito nella piaga di Oliverio

E' il momento della rivincita per Maria Carmela Lanzetta. Non ancora dissoltasi l'eco della sua rinuncia all'incarico affidatole da Mario Oliverio nella Giunta regionale che il presidente aveva varato alla fine di gennaio, l'ex ministro agli Affari regionali torna oggi alla ribalta grazie ad un'intervista rilasciata al Corriere della Sera. Quello stesso giornale che all'epoca aveva contribuito, con un'analoga conversazione, ad ingarbugliare ulteriormente la posizione, assai contraddittoria, della farmacista di Monasterace. Le riflessioni che ha destinato all'indirizzo di Oliverio, sommerso nella palude generata dall'inchiesta "Erga omnes", hanno il sapore amaro della vendetta. L'opportunità, d'altra parte, le è stata fornita su un piatto d'argento dallo stesso Governatore, il cui traccheggiare in questi mesi lo ha messo in una condizione di oggettiva debolezza. Il dietrofront della Lanzetta fu giustificato, a suo dire (ma con colpevole ritardo), dalla presenza in squadra di Nino De Gaetano, al centro di un'informativa di Polizia Giudiziaria per una brutta storia di voto di scambio politico-mafioso, e da venerdì agli arresti domiciliari con l'accusa di falso e peculato. Proprio l'insistenza con cui Oliverio difese a spada tratta il "suo" assessore ai Lavori Pubblici, Infrastrutture e Trasporti fu il pomo della discordia che mise in serio imbarazzo il Partito Democratico. "Ancora non si è capito perché Oliverio ha voluto nominare assessori già indagati, ben sapendo di rischiare la fine della sua Giunta", ha detto l'ex sindaco di Monasterace interloquendo con il cronista del Corriere. "Parlai - rivela  - prima con Renzi e poi con Delrio, il giorno dopo aver saputo della nomina di De Gaetano. Dissi che non sarei entrata nella Giunta e che avrei mantenuto la parola data di dimissioni da ministro. Non mi sono pentita. Ci furono anche critiche feroci e insulti. Non da parte di Oliverio, ma dai suoi compagni. Potrei rispondere con il detto di Gandhi: "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci", ha aggiunto per dare sostanza a quelle che continua a definire, oggi come a gennaio, "considerazioni politiche". Sebbene utilizzi un linguaggio volutamente ambiguo, traspare dalle sue parole l'idea che Oliverio farebbe bene a dimettersi dall'incarico. "Ha vissuto e operato 'Aspettando Godot'. Più o meno per le stesse motivazioni - ricorda con una punta di veleno - la Polverini si è dimessa. Oliverio dice che sono fatti avvenuti anni prima: decida secondo coscienza. Certo, resta il dubbio che l'ex componente del Governo Renzi voglia adesso insinuarsi nelle crepe aperte dall'operazione della Guardia di Finanza ed approfittarne per un nuovo sbarco in grande stile sulle sponde della vita pubblica: "Se me lo chiedessero sì. A certe condizioni mi piacerebbe tornare in politica", Lanzetta dixit.

Caso Lanzetta: come ridurre in farsa la lotta alla ‘ndrangheta

Se una querelle politica si autoalimenta di continui botta e risposta senza che i nodi arrivino definitivamente al pettine, il rischio che essa si trasformi in una comica farsa condotta da figuranti è sempre dietro l’angolo. È questa la sensazione che si prova abbeverandosi al quotidiano stillicidio di dichiarazioni e repliche sprovviste di soluzione di continuità che vede fronteggiarsi, da un lato, Maria Carmela Lanzetta (ex ministro, ex sindaco di Monasterace e per poche ore appena assessore regionale della Calabria) e dall’altro il Partito Democratico (della cui Direzione nazionale è componente) nelle sue più diverse articolazioni. Dal presidente della Regione, Mario Oliverio, al segretario regionale Ernesto Magorno, ai cinque segretari provinciali. L’oggetto del contendere, come noto ai lettori, è costituito dal rifiuto opposto  dalla signora Lanzetta alla nomina ad assessore regionale con deleghe alla Cultura ed alle Pari Opportunità. Era il 25 gennaio quando Oliverio, arrampicandosi sugli specchi, assicurava che la decisione di far rientrare in Calabria l’allora ministro era stata di sua esclusiva competenza, così smentendo le tesi che circolavano in quelle ore secondo cui il nome della farmacista gli fosse stato imposto da Matteo Renzi. Numerosi retroscena, infatti, riportavano la volontà del presidente del Consiglio di sbarazzarsi della farmacista di Monasterace, il cui operato nell’Esecutivo dalle parti di Palazzo Chigi pare non sia stato particolarmente apprezzato. Contemporaneamente, la diretta interessata era intenta a rilasciare dichiarazioni dalle quali traspariva la delusione per il trattamento ricevuto a Roma, ma, era questa l’indicazione proveniente dalle sue parole, anche la consapevolezza  che le era stata offerta una via d’uscita più che onorevole traslocando a Catanzaro. Di lì a tre giorni è successo il finimondo: poche righe affidate all'Ansa in cui Lanzetta spiegava che, dopo essersi consultata con Graziano Delrio (di recente nominato ministro delle Infrastrutture, ma all’epoca dei fatti sottosegretario alla presidenza del Consiglio), aveva deciso di non accettare l’incarico offertole a causa della presenza in giunta di Nino De Gaetano, esponente del Pd reggino ed oggetto di informative di Polizia in relazione ad una presunta storia di appoggi elettorali da parte della cosca Tegano, per il tramite del defunto suocero Giuseppe Suraci. L’ipotesi degli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che tuttavia non hanno ritenuto opportuno indagare formalmente De Gaetano, si sarebbe concretizzata nel 2010 durante la campagna per il rinnovo dell’assemblea regionale di palazzo Campanella. Successivamente eletto nelle fila di Rifondazione comunista di cui era segretario regionale, transitò poi in corso d'opera tra i banchi del Pd. Le dichiarazioni a cascata che ancora in questi giorni stanno inondando le pagine dei giornali sono iniziate allora e non si sono più arrestate. A ben vedere è una di quelle tipiche situazioni in cui nessuno sembra potersi arrogare il diritto di piantarsi stabilmente dalla parte della ragione. La motivazione, secondo il parere di chi scrive, è molto semplice ed è rintracciabile nella palese inadeguatezza esibita dalla Lanzetta nel corso della sua attività politica. Una inconsistenza di cui, però, il Pd, si è fatto a lungo scudo, ergendola a paladina antimafia, salvo rinfacciarle, come dichiarato sabato scorso da Oliverio che:  “A me non è mai capitato di dovermi trovare nella condizione in cui è invece incorsa, probabilmente suo malgrado, la signora Lanzetta da sindaco di Monasterace; non ho mai dovuto giustificare affidamenti illegali di lavori a causa della presenza nelle mie giunte di parenti stretti di boss mafiosi, riconosciuti tali da sentenze di condanna emesse nelle aule di tribunali”. Parole che avrebbero avuto ben altra credibilità se solo non fossero state pronunciate da colui che, nell'immediatezza della nomina, rivendicava con orgoglio la paternità della scelta, affermando: “Particolare valore e significato assume la nomina di Maria Carmela Lanzetta”, a cui andava il suo plateale ringraziamento “per aver deciso di mettere a disposizione della giunta regionale la propria esperienza, competenza e responsabilità. La decisione di impegnarsi nella funzione di assessore regionale calabrese è la manifestazione di quanta volontà e passione possa animare il suo impegno nella nuova veste istituzionale”. Toni, come si vede, ben diversi, da quelli a cui il buon governatore, si è richiamato nella nota vergata quarantotto ore fa. Registri verbali che sono stati il tema dominante anche del comunicato approntato dal segretario regionale Magorno e, a stretto giro di posta, dai cinque segretari provinciali del partito. Una guerra che, col passare dei giorni, delle settimane e dei mesi non accenna a placarsi ed anzi, per una nemesi paradossale, si presta ad un costante innalzamento dello scontro. La furia della polemica, infatti non risparmia ormai pesantissime allusioni alla ‘ndrangheta: l’ex ministro in un’intervista rilasciata la settimana scorsa ha affermato che la sua estromissione dalla giunta regionale (dalla quale, tuttavia, è bene ricordare, si è autoesclusa senza che nessuno l’abbia messa alla porta come invece lascia intendere) sarebbe stata, a suo dire, un favore ai clan. Dal fronte opposto, la replica si è nutrita di allusioni a vicende connesse all’esperienza amministrativa espletata dalla Lanzetta quando era sindaco di Monasterace. In mezzo a questo caos di parole senza costrutto, è bene ricordare anche la controversa audizione in commissione parlamentare Antimafia di cui si è resa protagonista alla fine di febbraio la professionista calabrese. Con superficialità inusitata si era avventurata in una ricostruzione dei fatti relativi alla convocazione che è stata subito puntualmente e formalmente smentita dalla presidente dell’organismo, Rosi Bindi. Al centro della discussione vi era la questione su chi avesse proposto di compiere quel passaggio istituzionale: la Lanzetta aveva rivelato di essere stata convocata dalla Bindi che, al contrario, ha sostenuto (corroborando la sua versione con specifici dettagli documentali) che era stata la sua interlocutrice a chiedere di essere ascoltata. In particolare, l’ufficio di Presidenza aveva ritenuto utile audire la farmacista, oltre che sulla storia riguardante De Gaetano, sul merito di un’intervista concessa  al Corriere della Sera proprio nell’atto di chiudere la sua esperienza ministeriale. Nell’occasione aveva sostenuto che gli attentati subiti quando era sindaco di Monasterace non erano stati opera dei clan. Ad essere generosi, dunque, pare che sia l’avventatezza a far muovere ogni passo all’ex ministro ma, con altrettanta evidenza, è chiaro che se il Pd non avesse creato artificiosamente il “personaggio”, facendola addirittura assurgere ingiustificatamente al rango di esponente di governo (liberandosene appena possibile), la Calabria ne avrebbe tratto sicuro vantaggio.

 

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Oliverio attacca la Lanzetta: "Lei chiamata ad una coerenza antimafia"

“Ora basta. Finora il rispetto dovuto al ruolo istituzionale rivestito dalla signora Lanzetta nelle vesti di ministro della Repubblica, mi ha suggerito di evitare risposte a posizioni strumentali e provocatorie da lei assunte. Tuttavia c'è un limite a tutto. Mi auguro che la signora Lanzetta sia solo animata da sindrome di esaltazione del proprio ego e che, consapevolmente o meno, non si presti ad essere strumento di una interessata strategia destabilizzante”. Lo afferma il presidente della giunta regionale Mario Oliverio, che si chiede: “Che gioco fa la Lanzetta? Quali interessi politici o di altro genere intende difendere? E’ inspiegabile – aggiunge il governatore - che possa essere solo oggi divenuta improvvisamente detrattrice di Nino De Gaetano, quando, invece, fino al giorno della nomina della giunta ne ha sempre parlato, non solo a me, come un bravo e stimato dirigente politico. Immagino sappia la signora Lanzetta che la mafia si favorisce anche quando si sollevano polveroni e si gioca ad indebolire e fiaccare la credibilità di una Istituzione. Per quanto mi riguarda, nella mia lunga esperienza di amministratore non ho mai concesso nulla alle illegalità e men che meno alle rappresentanze mafiose. A me non è mai capitato di dovermi trovare nella condizione in cui è invece incorsa, probabilmente suo malgrado, la signora Lanzetta da sindaco di Monasterace; non ho mai dovuto giustificare affidamenti illegali di lavori a causa della presenza nelle mie giunte di parenti stretti di boss mafiosi, riconosciuti tali da sentenze di condanna emesse nelle aule di tribunali. Se ha elementi validi e non diffamatori, dunque, la Signora Lanzetta si rivolga alla magistratura piuttosto che continuare a parlare a sproposito in talk show televisivi compiacenti, magari col proposito di trovare spazio nei circuiti mediatici. La signora Lanzetta - sostiene Oliverio - avrebbe potuto già in commissione parlamentare antimafia esplicitare le sue accuse. Da quanto risulta non l’ha fatto. Anzi, ai commissari di Palazzo San Macuto ha dichiarato di non essere in possesso di alcun elemento. Sappia la signora Lanzetta che non può salire su nessun pulpito per impartire lezioni di antimafia, tantomeno al cospetto della mia persona, della mia storia e della mia esperienza politica ed amministrativa. Una storia limpida e trasparente, segnata da condotte coerenti e da impegno concreto nel contrasto alla criminalità ed al malaffare. Purtroppo, e me ne duole, è stata la signora Lanzetta ad essere richiamata ad una coerenza antimafia, come è noto, anche da autorevole stampa nazionale. Se si dovesse insistere, dunque, in questa campagna diffamatoria - conclude Oliverio - sarò costretto a valutare quali iniziative assumere a tutela della mia integrità morale e della funzione istituzionale che i cittadini calabresi con largo consenso hanno inteso affidarmi".

 

 

 

Intervista esclusiva all'ex Ministro Lanzetta

E’ un fiume in piena l’ex Ministro Maria Carmela Lanzetta nell’intervista rilasciata in esclusiva al Redattore. Non usa giri di parole o mezzi termini, si esprime con la schiettezza tipica dei calabresi che non hanno padroni né “padrini”. Ma non è un attacco a testa bassa o un rancoroso atto d’accusa. Si tratta, al contrario, di un’analisi tanto lucida quanto diretta.


Dottoressa Lanzetta, in meno di 48 ore si è ritrovata catapultata dal Ministero di via della Stamperia a Roma, al suo lavoro di farmacista a Monasterace, passando per un Assessorato regionale svanito ancor prima di nascere. I malevoli dicono sia stata sacrificata per favorire il rimpasto di Governo. Ci può spiegare cos’è successo?

Nessun “sacrificio”. Avevo preso un impegno con Renzi. La decisione di non entrare in Giunta è solo mia.


La presenza di De Gaetano nella Giunta regionale "confliggerebbe" a tal punto con la lotta alla ‘ndrangheta da imporle un passo indietro?

“Confligge” nella misura in cui la lotta alla ‘ndrangheta non è fatta solo di azioni di polizia e magistratura, ma anche di scelte personali e quotidiane, dalle più piccole alle più grandi. Troppo facile delegare solo allo Stato la lotta alla mafia. Lo Stato siamo noi. Altrimenti si rischia, come fanno in tanti, di sottovalutare la “questione” soprattutto quando è in ballo una poltrona del potere con tutti i vantaggi conseguenti. 


Com’è potuto accadere che nel proporle l’assessorato non l’abbiano informata su chi fossero gli altri componenti della giunta?

Avevamo tutti la massima fiducia in Oliverio. L’ho accompagnato nella campagna elettorale dopo aver vinto le primarie, e mai potevamo pensare che un ex consigliere, non più candidato alle elezioni regionali, tra l’altro citato nelle informative della guardia di finanza, dei carabinieri e della polizia, potesse poi essere ripescato per fare l’assessore. Ecco perché la maggioranza della società civile calabrese si chiede se dietro questa nomina si nasconda qualcosa che per adesso non riusciamo a decifrare.


Dopo aver osservato un breve silenzio, ha rilasciato una dichiarazione nella quale ha citato Pasolini: "la mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza". Cosa significa? Dopo l’implicito sostegno espresso nel noto comunicato di Palazzo Chigi si è sentita abbandonata?

La “solitudine” è uno stato d’animo che avvolge chi non si è mai piegato al potere e/o chi ha portato e  porta avanti istanze e idee che spesso confliggono con la scelta di comodo dei soliti gattopardi. Premesso che il sostegno di Palazzo Chigi non è mai venuto meno, nemmeno un istante, se la “solitudine” la vivi in senso positivo, ti consente quella “indipendenza provocatoria” che ti  dà la forza di  continuare per  portare avanti le tue idee. 


Nella replica al suo intervento, i segretari provinciali del Pd calabrese hanno affermato che “la composizione della sua giunta comunale non le consente assolutamente di dare lezioni di moralità a chicchessia”. Un’affermazione mutuata da un articolo pubblicato dal settimanale “Panorama” l’anno scorso dal titolo: “I misteri del ministro Lanzetta”. Non le fa specie che i suoi compagni di partito usino gli stessi argomenti dei vostri avversari politici?

I segretari provinciali si sono costituiti  in  “branco” politico  per replicare al mio scritto. Dico “branco” perché ai tre  non  dimissionari, si sono uniti i due mancanti di Cosenza e Crotone mai citati. L’hanno fatto, tra l’altro, con frasi dal tono intimidatorio che la dice lunga sulla loro debolezza umana e politica, che tentano di occultare  attraverso la conservazione –contro le regole dello Statuto - delle poltrone di segretario, probabilmente per determinare il presente dei circoli e quant’altro  con fini elettorali, senza la reazione degli iscritti, a parte,  poche eccezioni. A questo proposito, citando Martin Luther King, dico che  non mi fanno  paura le mancate  dimissioni dei tre segretari provinciali, ma il silenzio degli iscritti al PD. Sarebbe questo il rinnovamento auspicato? A che serve uno Statuto non rispettato e non  fatto rispettare? 


Posto che la questione morale, in Calabria, sembra riguardare anche il Pd, come si pone rispetto all’atteggiamento schizofrenico di un partito che, da una parte, la elegge ad eroina antimafia e dall’altra le dice che non può dare lezioni di moralità?

La “questione morale” l’aveva posta Enrico Berlinguer, ma, a quanto pare, senza grandi risultati, visto che la corruzione in Italia dilaga ogni giorno. A una parte del PD può essere applicato il concetto sociologico di “familismo amorale” di Edward Banfield. Pur ritenuto assolutamente  insufficiente nelle descrizioni e molto debole nell'analisi per quanto riguarda il Mezzogiorno, ritengo che una delle conclusioni a cui è pervenuto Banfield, secondo cui “ nessuno perseguirà l'interesse comune, salvo quando ne trarrà un vantaggio proprio”, non sia molto lontana della realtà politica di molti piddini e non solo.


Secondo lei, a distanza di quasi tre mesi dalle elezioni regionali la circostanza che la Giunta sia, ancora, monca e lo sarà fino al cambiamento dello Statuto, non rischia di rivelarsi una falsa partenza  per il presidente Oliverio?

Purtroppo è così.


Chi saranno i nemici e gli avversari del presidente Oliverio?

Lo stesso Oliverio.


Il Ministro per gli Affari regionali, normalmente non ha grande visibilità, tuttavia, alcuni suoi predecessori, come Fitto e Delrio hanno svolto un ruolo particolarmente apprezzato nei rapporti tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali. Com’è stato fare il ministro in una fase in cui oltre al pasticcio sulle Province si sta procedendo alla riforma del titolo V della Costituzione che mira a contenere le competenze delle Regioni, riaccentrando la titolarità di molte politiche?

Fitto ha fatto soprattutto politica, essendo anche parlamentare. Delrio ha fatto una legge di cui si parlava da anni. Criticare dopo è sempre facile. Io ho avuto l’onore e l’onere di gestire l’applicazione di questa legge e posso dire che da qui a qualche anno sarà concluso l’iter, a cominciare dalle le linee guida in materia di personale circa il riordino delle Province e delle Città metropolitane, pubblicate il 29 gennaio 2015 con firma mia e della ministra Madia. Le Regioni, dopo 40 anni dalla loro nascita, vanno ripensate dal punto di vista del loro ruolo. Lo Stato deve riappropriarsi di molte politiche, perché devono essere presentate con intenti unitari. Tra l’altro è necessario anche costituire le macroregioni in modo da ottimizzare  molti dei loro servizi. Ed è per questo che, pochi giorni prima delle mie dimissioni, ho costituito una commissione guidata dalla professoressa Lida Viganoni, geografa di fama ed ex rettore dell'Orientale di Napoli, affinché venga valutata la possibilità di un nuovo profilo per le Regioni italiane. La Commissione ha due mesi di tempo per formulare una base tecnica di discussione che consenta alle varie scuole di pensiero di confrontarsi su una piattaforma comune. Poi sarà la politica a decidere il da farsi. Il lavoro della Commissione si innesta su un dibattito già aperto proprio dai presidenti delle Regioni. Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ha rilanciato la sua idea di una riforma radicale con Regioni che andrebbero riportate alla "semplice" pianificazione del territorio senza compiti di gestione”. Tesi meno radicali ma non meno "pesanti" sono sostenute dal presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, e soprattutto da quello del Piemonte, Sergio Chiamparino, che è anche presidente della Conferenza delle Regioni. Sia Chiamparino che Zingaretti sembrano concordare sull'analisi poiché sostengono che le Regioni cosi come sono non funzionano più e rischiano di vivere non per produrre servizi, ma solo per spalare la montagna di debiti che sta per seppellirle”. 


Una volta completata la riforma del Titolo V, ci sarà ancora la necessità di mantenere il dicastero di cui è stata ministro?

Penso che non ci sarà più la necessità di mantenere  il Ministero per gli affari Regionali soprattutto dopo l’attuazione del Senato delle Regioni. 


Anche la sua recente audizione davanti alla Commissione antimafia è stata seguita da alcune polemiche, possiamo chiederle com’è andata?

Non voglio essere polemica e dirò che la mia convocazione è frutto di un equivoco nato con l’on. Bindi, la quale si è ritenuta soddisfatta per le conclusioni. Niente di più perché la seduta è stata secretata per mia volontà.

 

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