Dipendenti pubblici imboscati, un rimedio ci sarebbe

Sembra abbiano letto e metabolizzato “Il diritto alla pigrizia” di Paul Lafargue.  I dipendenti pubblici, oggetto di un lungo articolo pubblicato ieri da Marco Ruffolo su Repubblica, sembrano aver preso alla lettera il saggio scritto dal genero di Marx.

Conoscono e sfruttano tutte le pieghe che la legge gli offre pur di sfuggire ai loro doveri d’ufficio. Chiamarli fannulloni è riduttivo. Un fannullone per sua natura non fa nulla, si limita a poltrire. Loro, invece, faticano. Il loro lavoro preferito e cercare una scusa per non lavorare.

Nel variegato arcipelago italico degli imboscati figurano, ad esempio, i 400 “inidonei temporanei” di Palermo. Tra loro ci sono “autisti che non possono guidare, netturbini che non possono spazzare le strade, giardinieri che diventano improvvisamente portieri”.

La situazione non migliora risalendo la Penisola.

A Milano:  ” 4 dei 5 ispettori della società comunale Sogemi, che avrebbero dovuto controllare l’Ortomercato fra le tre di notte e le otto di mattina hanno rapidamente ottenuto l’inidoneità al lavoro notturno”.

I professionisti del sotterfugio non sono soli. A fargli compagnia ci sono i cultori della legge 104. La norma è nata per assicurare benefici ai lavoratori disabili, ai genitori, coniugi, parenti e affini entro il terzo grado di familiari con gravi disabilità.

Che il beneficio, in molti casi, sia diventato un privilegio lo certifica l’Inps. Secondo l’Ente, negli ultimi anni, il numero di chi ha fatto ricorso alla legge per disabilità propria o di un familiare è aumentato, rispettivamente, del 22,5 e del 34 per cento. Nel pubblico impiego i beneficiari della 104  e dei congedi straordinari sono 440 mila. Un dato balza subito agli occhi. Il 13,5 per cento di chi lavora per lo Stato usufruisce della legge. Nel settore privato la percentuale non supera il 3,3.

L’inchiesta svela, qualora ce ne fosse stato bisogno, l’esistenza di un esercito d’imboscati.  Un esercito che usa il pubblico impiego per strappare privilegi ammantati di diritti.

Va da sé che gli “imboscati” rappresentano un triplice danno. Per le casse dello Stato, per i cittadini e per i pubblici dipendenti onesti costretti a svolgere, anche, le mansioni dei furbetti.

Quanto il malcostume sia diffuso lo sanno tutti, a partire dalla politica che fa finta di non vedere. Banalmente si potrebbe dire che, per risolvere il problema, sarebbe sufficiente eliminare le cause che lo determinano. Le cause, in questo caso, sono da ricercare nei tanti certificati falsi rilasciati da medici compiacenti.

Per risolvere definitivamente il problema basterebbe, quindi, approvare una legge composta da un solo articolo.  “Il medico che, con dolo, attesti come autentici fatti o condizioni inesistenti o non rispondenti a verità è punito con la radiazione dal relativo albo professionale”.

ARTICOLO PUBBLICATO SU: mirkotassone.it

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L'esercito dei calabresi nell'Italia degli imboscati

Non poteva mancare la Calabria. Su Repubblica in edicola oggi, un’inchiesta firmata dal giornalista Marco Ruffolo, svela alcune delle più clamorose zone grigie presenti nel variegato arcipelago degli “imboscati”.

Un arcipelago popolato da migliaia di “fannulloni” che usano il pubblico impiego, non per servire la collettività, ma per strappare privilegi ammantati di diritti.

Nella “Italia degli imboscati”, la Calabria conquista il proscenio fin dalle prime battute. Nell’incipit al pezzo si legge, infatti: “Cosa dobbiamo pensare quando a Palermo 270 netturbini hanno potuto esibire un certificato medico che vieta loro di spazzare le strade; quando in Calabria oltre la metà del personale sanitario riesce a farsi trasferire dietro una scrivania e il 50 per cento dei dipendenti della protezione civile lavora al centralino; quando a Como gli operai assunti dal Comune diventano di colpo impiegati; quando a Pescara 50 infermieri e operatori socio-sanitari svolgono mansioni solo amministrative; quando a Firenze il 40 per cento dei vigili urbani passa più tempo in ufficio che in strada?”.

L’esercito dei calabresi che diserta gli uffici è talmente numeroso da meritare quasi un intero paragrafo.

“ E' soprattutto al Sud – scrive Ruffolo -  che l'esercito degli "inidonei" si infittisce in misura anomala. Nell'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, su 1.178 dipendenti, 652 (oltre la metà) lavorano a regime ridotto. Ottanta psicologi della sanità regionale - come più volte denunciato dal commissario straordinario Massimo Scura, invece di aiutare i pazienti, sono finiti negli uffici amministrativi. Tutto in Calabria sembra funzionare al contrario: più di cento medici lavorano nel reparto prevenzione, dove ne servirebbero meno della metà, e rimangono invece scoperti screening oncologici e assistenza domiciliare. Ma gli imboscati non sono solo nella sanità”.

Imboscati che, una volta trasformati i diritti in privilegi, hanno costituito, in Calabria come altrove, una vera e propria casta di nullafacenti. Una casta la cui esistenza rappresenta un schiaffo assestato in piena faccia a quanti vivono una vita di stenti, in attesa di un lavoro che, per loro, non arriva mai.

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