Arresto Antonino Pesce: i dettagli dell'operazione ed il video dell'arresto

Come già anticipato nel lancio di questa mattina, qui l'articolo, alle prime ore della mattinata odierna, gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria e del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato hanno catturato il latitante della ‘ndrangheta calabrese Antonino Pesce, nato a Cinquefrondi (RC) il 14 aprile 1992, ricercato dal 4 aprile del 2017, allorquando si sottrasse all’esecuzione del Decreto di Fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Recherche” ed alla successiva Ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 14.04.2017 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di elementi di vertice, affiliati e prestanomi della potente "cosca PESCE" di Rosarno (RC), ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento personale nei confronti del boss latitante Marcello Pesce, arrestato l’1 dicembre 2016 - aggravati dalla circostanza di aver agevolato un’organizzazione criminale aderente alla ‘ndrangheta - nonché di traffico e cessione di sostanze stupefacenti:

Il latitante Pesce Antonino, figlio del noto boss Pesce Vincenzo classe 1959, è stato scovato, sulla base di minuziose indagini, in un appartamento sito al primo piano del rione condominiale popolare “Oreste Marinelli” di Rosarno. Al momento dell’intervento da parte dei poliziotti, il ricercato non era armato e non ha apposto alcuna resistenza.

Ad Antonino Pesce viene contestato il ruolo di direzione e capo del ramo della "cosca PESCE" che si riconosce nella figura del padre Vincenzo, alias “U pacciu” (attualmente detenuto), con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere, degli obiettivi da perseguire, delle attività economiche da avviare ed attraverso cui riciclare il denaro e le altre utilità provento delle dette azioni delittuose.

Assieme al fratello Savino classe 1989, impartiva ordini e direttive alla cosca, facendo leva proprio sullo spessore criminale del padre, riconosciuto dagli altri esponenti di vertice della cosca quali Marcello ed Antonino( cl. '82) Pesce, con i quali trattava la ripartizione delle zone d’influenza e dei proventi del mercato del trasporto merci su gomma per conto terzi.

Infatti, Vincenzo Pesce è stato condannato, in via definitiva, a 16 anni di reclusione nell’ambito del processo "All Inside", quale esponente apicale dell’omonima cosca, nonché a cinque anni di reclusione, in primo grado, nell’ambito dell’operazione Reale 6 per il reato di scambio elettorale politico-mafioso.

L’indagine “Recherche” ha messo in evidenza l’attualità del potere criminale assunto dai fratelli Savino (attualmente detenuto) e Antonino cl. 1992, il cui carisma e potere intimidatorio induceva alcuni trasportatori della zona di Rosarno a cedere a soggetti di loro fiducia alcuni servizi di trasporto di merci su gomma (prodotti agrumicoli, kiwi ed altro), facendo prevalere il criterio dell’influenza sulla parte del territorio in cui avevano sede le aziende di settore, ricadenti sotto il loro controllo criminale già esercitato dal padre Vincenzo.

Complessivamente, l’indagine “Recherche” ha fatto luce sul monopolio della cosca PESCE nell’esercizio del trasporto delle merci su gomma nel territorio di Rosarno e zone limitrofe.

'Ndrangheta, operazione “Recherche”: arrestati i fiancheggiatori del boss Marcello Pesce

Fra gli arrestati nell’operazione “Recherche” vi sono diversi fiancheggiatori che avrebbero curato e gestito la latitanza di Marcello Pesce, fungendo da “vivandieri”, assicurandone i collegamenti con gli altri membri della cosca e, più in generale, con i familiari, procurando loro appuntamenti con soggetti terzi o riportando loro e per loro conto le “imbasciate”. Le condotte di aiuto dei fiancheggiatori si sarebbero concretizzate nella messa a disposizione di quanto necessario alla protrazione della latitanza di Pesce ed alla creazione di una rete di supporto e di tutela, effettuando delle staffette finalizzate ad evitare l’intervento delle forze dell’ordine o a coprire i vari spostamenti del latitante.

Le indagini hanno consentito di ricostruire nei minimi particolari i movimenti dei fiancheggiatori attraverso le immagini registrate dalle telecamere installate lungo i percorsi stradali che conducevano al covo del latitante a Rosarno, laddove Marcello Pesce è stato localizzato e arrestato l’1 dicembre 2016 in seguito ad un blitz curato in ogni dettaglio.

L’analisi degli spostamenti effettuati da Filippo Scordino e dagli altri fiancheggiatori, tratti in arresto nel corso della notte, avrebbe consentito agli investigatori di comprendere che egli avrebbe assunto un ruolo sempre più importante nella gestione della latitanza di Pesce, di cui avrebbe eseguito gli ordini.

Sempre attraverso la collocazione delle telecamere di sorveglianza altamente sofisticate, gli investigatori hanno individuato l’intero e composito gruppo di fiancheggiatori del super-latitante. Le autovetture in uso ai favoreggiatori sono state riprese dalle telecamere della Polizia di Stato mentre percorrevano la strada che conduceva all’abitazione all’interno della quale è stato localizzato e catturato il latitante.

Fra gli arrestati dell’Operazione “Recherche” figura anche Rocco Pesce, figlio di Marcello, componente del primo livello della filiera di comunicazione con il latitante. Proprio quest’ultimo, seguendo le direttive del padre, si sarebbe occupato del controllo e del coordinamento delle attività delittuose, teneva i rapporti con gli altri affiliati e con gli esponenti di vertice di altre cosche, gestiva alcune aziende agricole, un centro scommesse intestati a prestanome e un fiorente traffico di sostanze stupefacenti.

La meticolosità con cui sono state eseguite le indagini, attraverso molteplici intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e di videosorveglianza - congiuntamente alle tradizionali attività di riscontro sul territorio -, avrebbe consentito di far luce sulle condotte criminali poste in essere dal gruppo facente capo al boss Marcello Pesce e, più in generale, all’intera cosca, con particolare riferimento al monopolio forzoso del settore del trasporto merci su gomma di prodotti ortofrutticoli per conto terzi, alle intestazioni fittizie di beni ed al traffico degli stupefacenti.

Centrale in tutti questi ambiti era anche la figura di Filippo Scordino, considerato  luogotenente del boss e persona di estrema fiducia del figlio Rocco, che è risultato il principale gestore della “Agenzia di Rosarno”, ovvero l’agenzia di mediazione del trasporto merci su gomma attraverso la quale il settore era monopolizzato dallo stesso Pesce e gestito attraverso alcune società fittiziamente intestate a prestanomi.

Le indagini hanno portato alla luce alcuni disaccordi nella gestione del trasporto degli agrumi per conto di alcuni produttori di Rosarno, sorti tra le articolazioni della cosca Pesce facenti capo da un lato al boss Marcello e dall’altro a quella di Vincenzo Pesce detto “u pacciu” (già detenuto), i cui interessi erano curati dai figli Savino ed Antonino. Alla base delle frizioni, la rivendicazione dei figli di Vincenzo Pesce della gestione del trasporto, con mezzi propri o delle società ad essi riconducibili, degli agrumi prodotti nelle aree ricadenti sotto la loro influenza criminale.

 Beni per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro sono stati sequestrati dagli investigatori. Si tratta di otto società operanti nel settore agrumicolo e del trasposto merci per conto terzi, con i relativi patrimoni aziendali, beni mobili ed immobili, crediti, articoli risultanti dall’inventario, beni strumentali, denominazione aziendale, avviamento, conti correnti, nonché tutte le licenze e/o autorizzazioni all’esercizio dell’attività commerciale concesse dalle Autorità competenti. Sequestrati anche 44 trattori stradali, rimorchi e semirimorchi utilizzati dalla cosca per il trasporto di agrumi e kiwi da Rosarno al Centro e Nord Italia.

'Ndrangheta: vasta operazione della polizia, fermate 11 persone

E’ iniziata all’alba di oggi una vasta operazione della Polizia di Stato per l’esecuzione di undici provvedimenti di fermo di indiziato di delitto, emessi dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, nei confronti di elementi di vertice, affiliati e prestanome della cosca Pesce di Rosarno (RC).

I destinatari del provvedimento sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento personale nei confronti del boss latitante Marcello Pesce, arrestato dalla polizia l’1 dicembre 2016, nonché di traffico e cessione di sostanze stupefacenti.

L'operazione, denominata "Recherche", ha preso l'abbrivio in seguito alle indagini che hanno permesso agli uomini della Squadra mobile del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato di catturare il pericoloso latitante Marcello Pesce. Nel corso delle attività, gli investigatori hanno individuato una rete di persone che, per anni avrebbe favorito la latitanza di Pesce.

Grazie alle coperture, il boss rosarnese avrebbe potuto continuare a giocare un ruolo di primo piano nel panorama 'ndranghetistico della fascia tirrenica delle provincia di Reggio Calabria. Grazie alle indagini è stato, inoltre, possibile ricostruire l’operatività di gran parte del gruppo di soggetti a lui facenti capo e le numerose attività economiche riconducibili al sodalizio.

I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà alla Questura di Reggio Calabria alle ore 11.

 

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