Ordigni esplodono in casa e in edificio in costruzione, indagano i carabinieri

Oppido Mamertina - Duplice esplosione nella notte a cavallo tra martedì e mercoledì scorsi, nella frazione Messignadi del comune di Oppido Mamertina (Rc).

Le deflagrazioni hanno coinvolto l’abitazione ed un edificio in costruzione di proprietà di una persona del posto.

A subire i danni maggiori è stata proprio la struttura  in corso di realizzazione che ha riportato ingenti danni strutturali.

Meno significative, invece,  le conseguenze dell’esplosione avvenuta presso l’abitazione.

Fortunatamente in entrambi i casi non si sono registrati feriti.

 Sull’accaduto indagano i Carabinieri di Palmi.

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Trovato con nove ghiri, 73enne denunciato

Un 73enne di Molochio (Rc) è stato denunciato in stato di libertà, perché trovato in possesso di nove ghiri.

In particolare, durante un servizio di controllo effettuato in località “Salice” di Oppido Mamertina, i carabinieri della locale Stazione hanno rinvenuto i piccoli roditori congelati in una legnaia di proprietà del pensionato.

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Sequestrati beni per oltre 5 milioni di euro a esponente di spicco della cosca 'ndranghetista “Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo”

I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno eseguito un provvedimento di sequestro emesso dalla Sezione specializzata Misure di Prevenzione del tribunale ordinario di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, nei confronti di Domenico SCARFONE, esponente apicale del clan ‘ndranghetista MAZZAGATTI-POLIMENI-BONARRIGO, locale di Oppido Mamertina (RC), recentemente condannato dalla Corte d’Assise di Palmi e detenuto dal novembre 2013.

In particolare, le indagini patrimoniali eseguite dai Finanzieri della Compagnia di Velletri hanno tratto origine dal provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla D.D.A. di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione «ERINNI», condotta nel 2013 dai Carabinieri di Reggio Calabria, per reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidi, intestazioni fittizie di beni e investimento di denaro di provenienza illecita nel mercato immobiliare romano. Infatti, la cosca, cui il sessantenne calabrese apparteneva almeno dal 1989, ha investito, ed espanso i propri interessi in altre regioni, specialmente nel Lazio, proprio grazie alla “dinamicità imprenditoriale” del prevenuto e al fatto che lo stesso si fosse stabilito nel comune di Genzano di Roma da qualche decennio. In particolare è ai Castelli Romani, alle porte di Roma, che quest’ultimo riciclava prevalentemente le ingenti disponibilità frutto delle diverse attività criminali, provvedendo, grazie alla contiguità con avvocati e soggetti gravitanti nel modo delle aste giudiziarie e delle procedure fallimentari a trarre vantaggi dai pubblici incanti e ad assicurarsi beni che poi, con la collaborazione di una fitta rete di persone compiacenti, venivano intestati a terzi per occultarne la reale disponibilità.

Di particolare rilievo nella complessiva gestione del patrimonio illecitamente accumulato è la figura della ex moglie dello SCARFONE che, nonostante l’intervenuta separazione, ha continuato, come ammesso dallo stesso, a «tenere la cassa», tanto che anche la consorte è stata attinta dal provvedimento di custodia cautelare in carcere del 2013. Considerati i plurimi elementi emersi sul conto del soggetto, sono stati eseguiti mirati approfondimenti economico-patrimoniali nei confronti di numerose persone fisiche e giuridiche, finalizzati alla ricostruzione dell’intero patrimonio nella disponibilità dello SCARFONE, sia direttamente che indirettamente, non soltanto allo scopo di cristallizzare la ricchezza attualmente posseduta, ma anche per evidenziare le relative fonti di produzione e accertare, di conseguenza, l’evidente sproporzione esistente tra la consistenza patrimoniale e i redditi ufficialmente dichiarati al fisco.

La minuziosa ricostruzione operata ha consentito di ricondurre l’ingente patrimonio, apparentemente nella titolarità di altri soggetti (familiari e terzi compiacenti) alla reale disponibilità del proposto. Particolarmente utili alle indagini patrimoniali sono risultate le evidenze acquisite dall’approfondimento delle indagini tecniche svolte nel predetto procedimento penale a carico del soggetto, incrociate con le molteplici informazioni disponibili alle banche dati in uso alla Guardia di Finanza. I finanzieri della Compagnia di Velletri, grazie anche al supporto di altri Reparti del Corpo sul territorio nazionale, hanno dato esecuzione, nei giorni scorsi, alla misura di prevenzione patrimoniale emessa dal Tribunale di Roma e, contestualmente, a 20 perquisizioni locali disposte dalla Procura veliterna, provvedendo a cautelare: - 27 immobili (ubicati nei comuni di Roma, Albano Laziale, Genzano di Roma, Ariccia e Lampedusa); - elevate disponibilità finanziarie, azioni e obbligazioni societarie, per un valore complessivo di oltre 5 milioni di euro. 

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Maltrattamenti in una scuola elementare, misura cautelare a carico di due maestre

I carabinieri della Stazione di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio dell’attività di insegnamento emessa dal gip presso il Tribunale di Palmi, a carico di M.C. e B.S. (entrambe 49enni), insegnanti di una scuola elementare del luogo.

Il provvedimento è stato emesso nell’ambito di un’indagine avviata, a partire dal 2016, dai militari della locale Stazione.

A dare l’abbrivio all’attività investigativa, una serie di segnalazioni pervenute ai carabinieri attraverso alcuni genitori degli alunni di una quinta elementare che, al rientro dalle lezioni scolastiche, presentavano diverse lesioni sul corpo e, in modo particolare, al volto. Al fine di accertare la veridicità di quanto segnalato, i militari dell’Arma, in coordinamento con la Procura della Repubblica presso il tribunale di Palmi, hanno proceduto all'installazione di telecamere di videosorveglianza all’interno dell’istituto scolastico. Grazie alle riprese è stato possibile monitorare i presunti maltrattamenti perpetrati ai danni degli alunni da parte delle docenti.

 Dall’analisi dei filmati è emerso che, in diverse occasioni, le due insegnanti indagate, ignare di essere costantemente monitorate all’interno dell’aula didattica, nel corso delle previste lezioni scolastiche avrebbero maltrattato in modo violento i propri alunni rivolgendo nei loro confronti, gravi minacce e ripetute ingiurie.

In alcuni episodi, successivamente sottoposti al vaglio dell’Autorità giudiziaria, si noterebbero le due maestre rivolgersi agli alunni in modo brusco costringendoli ad assumere posizioni “composte”, prima di percuoterli con violenti schiaffi al volto. In un altro episodio, anch’esso documentato, gli alunni verrebbero addirittura “spinti” all’esterno dell’aula per essere subito dopo costretti a rientrare in fila indiana sotto la minaccia di ulteriori maltrattamenti.

Al termine degli accertamenti esperiti dai militari dell’Arma, valutata la gravità del reato e il pericolo di reiterazione, l’Autorità giudiziaria ha emesso, con urgenza, le due misure cautelari.

Don Figliuzzi, il prete serrese che amava il vino e le donne

Serra ha dato tanti suoi figli alla Chiesa. In alcuni casi si è trattato di religiosi che hanno scalato le gerarchie ecclesiastiche fino a ricoprire ruoli importanti; in altri di uomini di fede che si sono limitati ad assolvere il loro ufficio senza infamia e senza lode; in altri ancora di sacerdoti che si sono distinti per la scarsa aderenza ai principi che avrebbero dovuto professare. Gli epigoni dell’ultima categoria non sono stati pochi, di qualcuno ci è stato tramandato anche il nome. Di uno, in particolare, si trova traccia in un volume scritto da don Santo Rullo e dedicato a Piminoro, piccola frazione del comune di Oppido Mamertina in provincia di Reggio Calabria. Il prete in questione, don Alfonso Figliuzzi nacque a Serra San Bruno il 5 febbraio 1854. Ordinato sacerdote il 13 marzo 1880, “predicò due volte in Mongiana nell’anno 18923, durante la Settimana Santa e nel mese di maggio”.  Dopo aver svolto la funzione di “coadiutore dell’arciprete di Nardodipace” e Santo Todaro, il 27 dicembre 1893 “chiese al Vescovo il trasferimento nella Diocesi di Oppido”. La richiesta fu accolta positivamente ed il 3 marzo 1894,  venne nominato parroco di Piminoro. Giunto nel piccolo borgo di montagna, don Figliuzzi rivelò ben presto la fragilità della sua fede, tanto da essere passato agli annali per la “debole vita spirituale”. Come se non bastasse, il parroco serrese, nel corso della sua “missione”, pastorale si distinse per la spiccata propensione alla lascivia. Come ricorda Rullo, nel suo scritto “non aveva la forza di reagire alla seduzione istintiva alla natura umana e con facilità si lasciava dominare dai comuni vizi del vino e della lussuria”. Il ritratto che ne è stato tramandato è impietoso. “Privo di motivazioni interiori e alieno da alte aspirazioni ideali, o religiose, solo e prigioniero di un ambiente chiuso e sprovvisto di tutto, assente ai fenomeni culturali e spirituali, lacunoso di zelo apostolico e di pietà eucaristica, appesantito da una natura fiacca e inoperosa, dove poteva trascorrere le lunghe serate invernali e le interminabili giornate estive se non nella compagnia dei consimili presso l’unico ritrovo del luogo, la bettola?”. Nella sferzante descrizione fattane da Rullo, non manca qualche nota di apprezzamento all’indirizzo di don Figliuzzi il cui “cuore buono, aperto al dialogo e all’amicizia” lo portava ad essere “comprensivo delle umane sofferenze”. In ogni caso, la vita dissoluta non gli impedì di organizzare il “Comitato Cattolico Parrocchiale”; di “richiamare l’attenzione dei Superiore sui danni causati dal terremoto alla Chiesa” o di acquistare “due canopei nuovi” e di far effettuare alcune opere di restauro all’interno della chiesa. Tuttavia, le ombre nella sua condotta sono superiori alle luci, a tal punto che, nel 1914, il vicario generale Francesco Samà attestò: “L’arciprete Figliuzzi ha dichiarato al sottoscritto che in ventun anno di arcipretura non ha mai celebrato le Messe per i Confratelli Sacerdoti defunti. Perciò egli alla sua morte non avrà diritto ad avere la Messa dagli altri”. L’attività parrocchiale del prete serrese si concluse il 29 giugno 1914, quando venne accolta la richiesta di rinuncia presentata il 5 febbraio dello stesso anno. Ottenuta una pensione annua di “lire 365”, don Alfonso Figliuzzi si trasferì a Serra, dove si spense, nel 1916, all’età di 62 anni.

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