'Ndrangheta: condanne pesanti per i componenti del clan Franco

Sono Dodici le condanne inflitte, con il rito abbreviato, ad altrettanti imputati nel processo scaturito dall'operazione Antibes con la quale, lo scorso gennaio, è stato disarticolato il clan dei Franco.

L’organizzazione,  attiva nel quartiere Pellaro di Reggio Calabria, è ritenuta dagli inquirenti un’articolazione della potente famiglia di 'ndrangheta dei Tegano.

Al termine del processo, la pena più pesante, 18 anni, è stata comminata, dal gup Caterina Catalano, a Giovanni Franco (di 69 anni). Per l’uomo, considerato  il dominus della cosca, la sentenza va, addirittura, oltre i 16 anni richiesti dai pm Antimafia Annamaria Frustaci e Giovanni Gullo.

 Quattordici anni di reclusione, ovvero quanti ne aveva chiesto la Dda, per il figlio di Giovanni Franco, Paolo di 37 anni. Stessa pena per Natale Cozzupoli e Francesco Cuzzucoli. Dodici anni ciascuno, invece, per Alfredo Dattola , Antonio Giuseppe Franco, Cosmo Montalto, Giuseppe Oliva, Filippo Oliva, Alessandro Pavone e Nicola Domenico Dascola, per i quali erano state proposte pene variabili tra i 9 e i 18 anni. Infine, a fronte di una richiesta di tre anni e sei mesi, Carlo Cavallaro è stato condannato a quattro anni e quattro mesi.

Stralciata, per un errore materiale, la posizione di Vincenzo Cicciù, per il quale, nel corso di una precedente udienza, la Dda aveva chiesto una condanna a 9 anni di reclusione. Nei suoi confronti il gup Catalano si pronuncerà oggi, poiché è stato necessario fissare una nuova udienza.

Prosegue, invece,  con il rito ordinario il filone processuale relativo alle estorsioni subite tra agosto 2012 e gennaio 2013 da un imprenditore di Melito Porto Salvo.

Nel corso dell’inchiesta, denomina Antibes, gli investigatori della Squadra Mobile sono riusciti a risalire ai presunti fiancheggiatori della latitanza di Giovanni Franco conclusasi in Costa Azzurra nel novembre 2013. Dalle indagini è, inoltre, emersa la figura del figlio del boss, che partecipava ai summit confrontandosi alla pari con affiliati con alle spalle una lunga carriera criminale.

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Caso Fallara: cinque anni in Appello per Peppe Scopelliti

La Corte d'appello di Reggio Calabria ha ridotto, da sei a cinque anni di reclusione, la condanna comminata in primo grado all'ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, imputato per i reati, di abuso e falso, commessi quando era sindaco di Reggio Calabria. Riduzione di pena, da tre a due anni e quattro mesi, anche per gli ex revisori dei conti Carmelo Stracuzi, Domenico D'Amico e Ruggero De Medici.

I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra il 2008 ed il 2010 quando, secondo l'accusa sarebbero state compiute irregolarità nei bilanci del Comune. Dopo la sentenza di primo grado, Scopelliti si era dimesso da presidente della Regione Calabria senza aspettare la decadenza prevista dalla legge Severino.

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Calcio: il Crotone non sarà confiscato

Il Crotone calcio non sarà confiscatto. Lo stesso dicasi per tutti gli altri beni di proprietà del gruppo imprenditoriale dei fratelli Raffaele e Giovanni Vrenna il cui valore stimato ammonta complessivamente ad 800 milioni di euro. La decisione è stata assunta nella giornata di oggi dalla Corte d'appello di Catanzaro che ha rigettato l'appello proposto dalla Procura distrettuale antimafia contro la decisione del Tribunale di Crotone che aveva dichiarato legittimo il patrimonio dei due imprenditori.

Secondo l'accusa, i fratelli Vrenna sarebbero stati " attigui al fenomeno mafioso per essersi, sin dalla genesi della loro attività, accordati con le consorterie criminali e segnatamente con quella denominata Vrenna-Corigliano-Bonaventura". Nella loro corposa motivazione, i giudici, accogliendo le tesi dei difensori degli imprenditori hanno sostenuto che tutte le fonti riconducibili ai Vrenna sono legittime, compresi il patrimonio mobiliare e le risorse utilizzate per la squadra di calcio del Crotone.

Uccise la moglie a colpi di pistola, condannato all'ergastolo

Giuseppe Pilato è stato condannato all'eragstolo. Il commerciante 32enne che il 18 agosto del 2014, nella sua abitazione di Monasterace (RC) uccise a colpi di pistola la moglie, Mary Cirillo, di 31 anni dovrà trascorrere il resto dei suoi giorni dietro le sparre.

E' quanto ha disposto, nel pomeriggio di ieri, la Corte d'assise di Locri che ha accolto la richiesta avanzata dal pubblico ministero, Rosanna Squeglia. A Pilato è stato contestato l'omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione.

L'uomo, dopo avere compiuto il delitto, si diede alla fuga prima di costituirsi ai carabinieri il 23 agosto successivo. Movente dell'omicidio, secondo quanto è emerso dalle indagini, la gelosia

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