Arabia Saudita: 19enne condannato alla crocifissione per aver protestato contro il governo

E' uno dei Paesi più dispotici al mondo, eppure l'Occidente continua quotidianamente a farci affari in barba ai principi che sostiene di professare. Quanto l'Arabia Saudita rappresenti la negazione di ogni forma di civiltà, lo rivela la vicenda di Abdullah al-Zaher, un ragazzo di appena 19 anni, condannato a morte, insieme ad altre 50 persone, per aver preso parte, nel 2012, ad alcune proteste antigovernative. Molto probabilmente, la pena capitale verrà eseguità mediante crocifissione. A dare notizia della sentenza, la famiglia del giovane che ha lanciato un appello tramite il giornale britannico "The Guardian". Sulle pagine del quotidiano inglese, il padre del condannato, Hassan al-Zaher, ha scritto: “Per favore aiutatemi a evitare a mio figlio una morte certa. Non merita di fare questa fine solo perché ha partecipato ad una manifestazione di protesta”. Dopo aver evidenziato che all'epoca dei fatti il ragazzo aveva poco più di 15 anni, l'uomo ha rivelato che il figlio è stato "torturato e più volte percosso con sbarre di ferro. Non ha neanche avuto la possibilità di parlare con un avvocato che preparasse la sua difesa”. Quello di Abdullah non è il primo caso di un giovanissimo condannato alla pena di morte. Il mese scorso, infatti, un altro adolescente, Alì Mohammed al-Nimr, era stato incriminato per aver preso parte, sempre nel 2012, quando era poco più che 17enne, a una delle dimostrazioni pubbliche contro il governo. Le accuse sono sempre le stesse e i processi spesso inesistenti. Soltanto nel 2015, nel Paese, sarebbero state effettuate 151 esecuzioni, quasi il doppio rispetto alle 88 dell’anno precedente. Eppure, nonostante sia retta da un regime dispotico che nega i più elementari principi dello stato di diritto, l'Arabia non imbarazza minimamante gli Stati Uniti e l'Unione Europea che continuano a considerarla uno dei più fedeli alleati nello scacchiere mediorientale. Come se non bastasse, pur negandola a casa propria, la monarchia saudita si è fatta promotrice di una coalizione che si propone di portare la democrazia in Siria.

 

 

 

Putin dice no a 300 miliardi di dollari per rovesciare Assad

Nel corso di un incontro ufficiale, l’Arabia Saudita, per il tramite del suo ministro della Difesa Mohammad bin Salman, avrebbe offerto al presidente russo Vladimir Putin 300 miliardi di dollari per rovesciare il regime di Bashar al-Assad. La notizia è rimbalzata con una certa insistenza sulla stampa russa e mediorientale. A riportare diversi retroscena sarebbe stato il quotidiano iraniano Ettelaat, secondo il quale nel corso dell’incontro ufficiale svoltosi a Sochi l’11 ottobre scorso, “il ministro della Difesa saudita avrebbe offerto a Mosca 300 miliardi di dollari e la promessa di ulteriori investimenti nell'economia russa in cambio della fine del sostegno al governo di Assad”. Ancor più ricco di dettagli un servizio apparso sul quotidiano libanese Addiyar per il quale, di fronte all’offerta saudita, Putin avrebbe replicato:  “il mio governo non è la mafia, noi non uccidiamo amici e nemici in cambio di denaro. I soldi non cambieranno i principi strategici di Mosca”. Com’è normale che sia, le varie ricostruzioni sono state categoricamente sconfessate dal Cremlino. Secondo difesaonline.it, che ha riportato la notizia, “la smentita del Cremlino, potrebbe rientrare in un perfetto gioco delle parti”. Il pesante condizionamento dei media iraniani e libanesi lascerebbe pensare, infatti, che il “presunto scandalo dell’offerta” saudita sarebbe stato “montato” ad arte per rassicurare le rispettive popolazioni sulla lealtà dell’alleato russo, il cui impegno è fondamentale nello scacchiere siriano.  

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