Lavoratore straniero costretto a vivere in condizioni degradanti, denunciato 55enne

La guardia di finanza di Crotone ha denunciato un 55enne con l'accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il cosiddetto 'caporalato'.

I finanzieri sono intervenuti in seguito ad una richiesta effettuata al "117", da un cittadino extracomunitario, costretto da giorni a lavorare all'interno di un'azienda agricola in condizioni lavorative ed in una situazione alloggiativa particolarmente degradante.

È scattato, quindi, l'intervento dei militari che, con il coordinamento della Procura della Repubblica di Crotone, dopo aver passato al setaccio una vasta area rurale del Comune di Cutro, durante la notte, sono riusciti ad individuare il cittadino pakistano che all'arrivo dei finanzieri ha continuato a pronunciare accoratamente "help me".

Una volta accertata la violazioni della normativa in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro è scattata la denuncia per B.D., di 55, con precedenti per maltrattamenti.

 

Vasta operazione contro il caporalato, controlli anche nel vibonese

Una vasta operazione contro il caporalato è stata condotta, dal 17 al 22 luglio, dalla Polizia di Stato.

Il blitz ha interessato undici province, appartenenti ad otto diverse regioni. Nel corso delle attività sono state ispezionate 50 aziende dislocate nei territori provinciali di: Vibo Valentia, Agrigento, Forlì-Cesena, Latina, Lecce, Matera, Ragusa, Salerno, Siracusa, Taranto e Verona

Oltre agli uomini delle squadre mobili, alle operazioni hanno partecipato, anche i componenti dei reparti Prevenzione crimine, dei Gabinetti regionali di polizia scientifica, degli uffici di altre amministrazioni e degli Ispettorati territoriali del lavoro.

I controlli hanno portato alla luce l'inosservanza delle norme relative ai pagamenti dei contributi lavorativi e previdenziali, nonchè del rispetto delle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro. In alcuni casi è stata accertata, anche, l'illecita intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, compiuta attraverso i cosiddetti dai caporali.

Diverse le sanzioni, le denunce e le persone finite agli arresti.

 

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Operazione Freedom contro il caporalato, controllate numerose aziende

Si è conclusa questa mattina l'operazione Freedom, la prima di una serie di interventi della Polizia di Stato contro il caporalato, che, sotto il coordinamento del Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine, ha visto impegnate le Squadre Mobili di Reggio Calabria, Caserta, Foggia, Latina, Potenza e Ragusa.

Nel corso delle attività di controllo, rilevamento e contrasto svolti nelle rispettive province, che hanno coinvolto anche altre amministrazioni ed altri uffici della Polizia, sono state controllate 26 aziende e identificate 235 persone (tra datori di lavoro e dipendenti).

L'operazione è stata finalizzata al contrasto dello sfruttamento di migranti irregolari, costretti per pochi euro a lavorare con orari pesantissimi, in condizioni anche igieniche disumane, senza alcun giorno di riposo o altro diritto garantito.

Il caporalato è un fenomeno criminale diffuso soprattutto in Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia, tipico del settore agricolo, dove sfocia, spesso, in vere e proprie forme di riduzione in schiavitù perpetrate da cosiddetti "caporali", autori dell'attività illecita d'intermediazione tra domanda e offerta.

 

 

Operazione "Accoglienza", Laura Ferrara (M5s) stigmatizza il business sui migranti

"Il business sui migranti non arretra e lo dimostra l'operazione 'Accoglienza' che ha portato alla luce l'ennesimo caso di caporalato e sfruttamento dei migranti in alcuni Cas di Camigliatello Silano (Cs)".

È la dichiarazione di Laura Ferrara, eurodeputata del MoVimento 5 Stelle, circa gli arresti e le misure cautelari eseguite questa mattina in un’operazione condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza nel territorio della Sila.


"Dalle notizie emerse i gestori dei Centri di accoglienza straordinaria oltre ad incassare la diaria stanziata per il mantenimento degli ospiti delle strutture, fornivano illegalmente manodopera alle aziende agricole della zona. I migranti per cifre irrisorie lavoravano oltre dieci ore nei campi o con gli animali. L'era dello schiavismo non è finita e che i Cas in quella zona non fossero esattamente delle strutture di “buona accoglienza” lo avevo già segnalato dopo una mia ispezione a febbraio di quest'anno in una struttura di Spezzano della Sila.
In particolare segnalavo alla Prefettura di Cosenza, attraverso una relazione, le critiche condizioni in cui erano costretti a vivere gli ospiti. Cibo avariato, l'acqua messa a disposizione dei migranti proveniva dalle cisterne esterne, per cui non potabile, riscaldamento non funzionante e diverse altre problematiche circa l'inadeguatezza dei servizi che il proprietario avrebbe dovuto mettere a disposizione dei richiedenti asilo ospitati nella sua struttura. Segnalavo inoltre che alcuni ospiti svolgevano lavori in nero nelle vicinanze. Da tempo denuncio la scarsa trasparenza e la mancanza di controllo nella gestione dei Centri di Accoglienza, a Camigliatello i proprietari falsificavano persino i fogli delle presenze dei rifugiati così da ottenere più fondi erogati per la gestione del fenomeno della migrazione. Un fenomeno strutturato ma che viene gestito ancora come emergenza. Risulta così più semplice lucrare sulla pelle e la dignità di queste persone che fuggono dai loro Paesi e continuare a sperperare risorse pubbliche senza intravedere la via di una soluzione definitiva".

Sfruttavano i rifugianti, 14 persone in manette

Operazione di contrasto allo sfruttamento degli immigrati ospiti dei centri di accoglienza da parte dei carabinieri del Comando provinciale di Cosenza.

A partire dalle prime ore di oggi, i militari hanno eseguito 14 misure cautelari: 2 custodie cautelari in carcere, 4 arresti domiciliari, 8 obblighi di dimora.

Le 14 misure sono state emesse dal giudice per le indagini preliminari di Cosenza, Salvatore Carpino, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di altrettante persone accusate, a vario titolo, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, abuso d'ufficio e tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Le indagini, condotte dai carabinieri della Compagnia di Cosenza, sono partite a settembre del 2016 sotto la direzione del Procuratore aggiunto Marisa Manzini e del sostituto procuratore Giuseppe Cava, con il coordinamento del Procuratore della Repubblica Mario Spagnuolo.

Gli elementi raccolti dai militari hanno permesso di accertare che gli immigrati, principalmente senegalesi, nigeriani e somali, venivano prelevati da due Centri di accoglienza straordinaria di Camigliatello Silano (Cosenza) e portati a lavorare come pastori o braccianti nei campi di patate e fragole dell'altopiano della Sila cosentina.

In particolare, il presidente e due responsabili della gestione di un centro di accoglienza risultano accusati, in concorso con i titolari di alcune aziende agricole, di aver illecitamente reclutato i rifugiati loro affidati.

I responsabili del centro di accoglienza dovranno rispondere anche della manipolazione dei fogli presenza degli ospiti della struttura, che venivano dati come presenti nel tentativo di ottenere i finanziamenti previsti dalla legge a sostegno della struttura di accoglienza.

Gli immigrati sfruttati sarebbero stati in tutto una trentina. Dalle indagini è emerso che ai lavoratori in nero veniva corrisposto un importo compreso tra i 15 e i 20 euro per giornata lavorativa.

Nell'inchiesta della Procura della Repubblica di Cosenza è stato contestato per la prima volta il nuovo reato di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro".

 

Sfruttavano i rifugiati, 14 persone in manette

Operazione di contrasto allo sfruttamento degli immigrati ospiti dei centri di accoglienza da parte dei carabinieri del Comando provinciale di Cosenza.

A partire dalle prime ore di oggi, i militari hanno eseguito 14 misure cautelari: 2 custodie cautelari in carcere, 4 arresti domiciliari, 8 obblighi di dimora.

Le 14 misure sono state emesse dal giudice per le indagini preliminari di Cosenza, Salvatore Carpino, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di altrettante persone accusate, a vario titolo, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, abuso d'ufficio e tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Le indagini, condotte dai carabinieri della Compagnia di Cosenza, sono partite a settembre del 2016 sotto la direzione del Procuratore aggiunto Marisa Manzini e del sostituto procuratore Giuseppe Cava, con il coordinamento del Procuratore della Repubblica Mario Spagnuolo.

Gli elementi raccolti dai militari hanno permesso di accertare che gli immigrati, principalmente senegalesi, nigeriani e somali, venivano prelevati da due Centri di accoglienza straordinaria di Camigliatello Silano (Cosenza) e portati a lavorare come pastori o braccianti nei campi di patate e fragole dell'altopiano della Sila cosentina.

In particolare, il presidente e due responsabili della gestione di un centro di accoglienza risultano accusati, in concorso con i titolari di alcune aziende agricole, di aver illecitamente reclutato i rifugiati loro affidati.

I responsabili del centro di accoglienza dovranno rispondere anche della manipolazione dei fogli presenza degli ospiti della struttura, che venivano dati come presenti nel tentativo di ottenere i finanziamenti previsti dalla legge a sostegno della struttura di accoglienza.

Gli immigrati sfruttati sarebbero stati in tutto una trentina. Dalle indagini è emerso che ai lavoratori in nero veniva corrisposto un importo compreso tra i 15 e i 20 euro per giornata lavorativa.

Nell'inchiesta della Procura della Repubblica di Cosenza viene contestato per la prima volta il nuovo reato di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro".

 

Caporalato in Calabria, denunciate otto persone

La guardia di finanza di Cosenza, a seguito di controlli eseguiti nell’ambito del “Piano focus ‘ndrangheta” disposto dalla Prefettura di Cosenza, ha denunciato all’Autorità giudiziaria di Castrovillari, complessivamente 20 persone, otto delle quali accusate del reato di intermediazione illecita di manodopera (caporalato) e dodici per violazione delle norme del Testo unico immigrazione.

Le operazioni, eseguite dai militari della Tenenza di Montegiordano, si sono svolte attraverso il controllo di automezzi in transito sulla SS 106 Jonica, nonché con interventi eseguiti direttamente nei luoghi dove gli operai venivano impiegati illegalmente.

Otto soggetti, di nazionalità italiana e pachistana, sono stati denunciati quali “caporali”, di cui tre per reclutamento e cinque quali titolari di aziende agricole, per utilizzo e impiego illegale di manodopera.

Tutti rischiano la pena della reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a mille euro per ciascun lavoratore reclutato.

Agli stessi potrebbe essere applicata, inoltre, l’aggravante specifica dell’aumento della pena da un terzo alla metà per aver reclutato ed utilizzato forza lavoro superiore alle tre unità.

I presunti “caporali ” reclutatori si sarebbero occupati di reperire manodopera da sfruttare e retribuite con salari inferiori a tre euro l’ora. Tra i reclutati figurerebbero cittadini provenienti prevalentemente da Albania e Pakistan, impiegati nella raccolta di limoni e fragole in aziende agricole calabresi e lucane.

Ad un presunto “caporale”, i militari hanno sequestrato appunti e quaderni riportanti, per ogni singolo lavoratore “reclutato”, le giornate lavorative e la relativa “paga” corrisposta.

Dall’esame della documentazione sarebbe emerso che il presunto “caporale” tratteneva per sé il 30 per cento circa delle retribuzioni di ogni singolo bracciante agricolo, pari ad 11 euro, arrivando a guadagnare, oltre 7 mila euro al mese.

I finanzieri, procederanno ora a valutare le posizione fiscali e patrimoniali dei presunti “caporali” reclutatori al fine dell’eventuale applicazione delle norme in materia di sequestro e confisca di beni.

Le attività condotte dalle fiamme gialle si sono concluse, quindi, con la segnalazione all’Autorità giudiziaria di otto persone di nazionalità italiana e pakistana; l’espulsione di tre 3 soggetti; la denuncia all’Autorità giudiziaria di dodici individui di diverse nazionalità per violazione delle norme sull’immigrazione. Nel corso delle attività, i militari hanno, inoltre individuato 28 lavoratori “in nero” e irregolari, di cui 12 privi di permesso di soggiorno.

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Contrasto al caporalato: denunciate 49 persone che sfruttavano i lavoratori

Le Fiamme Gialle hanno concluso una complessa indagine in materia di intermediazione illecita e sfruttamento di lavoro cosiddetto "Caporalato", che ha permesso di segnalare all’Autorità Giudiziaria 49 soggetti. Le indagini, avviate dai militari della Guardia di Finanza della Tenenza di Montegiordano, in provincia di Cosenza, a seguito del controllo dei transiti sulla Statale Ionica e poi delegate dalla Procura della Repubblica di Castrovillari, hanno interessato il periodo dal mese di febbraio 2015 al maggio del 2016 ed hanno permesso di identificare un soggetto extracomunitario, di nazionalità pakistana, M.B., ritenuto vero e proprio punto di riferimento, nella Piana di Sibari, per quegli imprenditori agricoli che necessitano di manodopera illegale ed a basso costo. Il "caporale", nella gestione dell’attività illecita, intratteneva rapporti con due soggetti in regime di "protezione" già affiliati ad una 'ndrina locale e con 19 immigrati irregolari nonché con un soggetto latitante. I lavoratori reclutati, venivano alloggiati in stalle e porcili adibiti a veri e propri dormitori ed in condizioni igieniche-sanitarie degradanti. I loro documenti di identità erano detenuti dal "caporale" che conservava in appositi armadi metallici, dei quali solo lui deteneva la chiave. Gli operai erano costretti a lavorare in condizioni prive di sicurezza in quanto sprovvisti di dispositivi di protezione individuale (calzature antiscivolo, guanti, casco con visiera protettiva) e percepivano una paga inferiore rispetto a quanto previsto. L’esame delle transazioni finanziarie ha consentito di ricostruire i guadagni illeciti del "caporale" quantificati in circa 250.000 euro, incassati in poco più di un anno, in parte destinati anche alle cosiddette "bacinelle" delle organizzazioni criminali. La rimanente parte dei guadagni dell’attività di intermediazione venivano trasferiti in Pakistan, Paese di origine del "caporale", attraverso servizi di money-transfer e post-pay. Quanto emerso evidenzia che la richiesta e la successiva "assunzione" illegale di personale da impiegare nella Sibaritide costituisce ancora una diffusa prassi illecita.

 

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