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Serra, Mirko Tassone: “La tassa sui rifiuti sarà raddoppiata”

“L’amministrazione Rosi non finisce mai di stupire! Quale altra amministrazione comunale avrebbe potuto presentare, a distanza di quattro anni dal suo insediamento, il progetto di raccolta differenziata senza provare un po’ di vergogna?”. Ci sono interrogativi ed ironia nelle riflessioni critiche di Mirko Tassone che torna ad attaccare la maggioranza che “anziché portare i risultati fin qui raggiunti, ad un anno dalla scadenza del mandato, cerca di gettare fumo negli occhi dei cittadini comunicando l’avvio di un progetto che avrebbe dovuto essere a regime da anni. Prima di presentare il nuovo servizio – rileva Tassone - gli amministratori nostrani avrebbero dovuto spiegare ai cittadini che fine ha fatto il vecchio e per quale motivo è necessario ricominciare tutto da capo. Sarebbe stato giusto e onesto, ad esempio, offrire ai serresi un dettagliato rapporto su quanto speso fino ad adesso per un servizio che, con tutta evidenza, non ha mai funzionato”. Si tratta, secondo il rappresentante della minoranza, di “un ennesimo spreco con il quale sono stati letteralmente dilapidati i soldi dei cittadini” del quale si dovrebbe rendere conto. “Durante la conferenza stampa gli esponenti della maggioranza – sostiene al proposito Tassone - avrebbero potuto spiegare che fine hanno fatto i promessi sgravi in bolletta destinati ai cittadini virtuosi, così come avrebbero potuto e dovuto illustrare le ragioni del fallimento del precedente tentativo. Ma nonostante il silenzio o le operazioni di facciata, tutti i nodi arriveranno ben presto al pettine, a cominciare dalla tardiva attivazione del servizio di raccolta differenziata il cui peso sarà interamente scaricato sulle tasche dei cittadini”. Il rischio è dunque di una nuova stangata che graverebbe sulle famiglie e sulle attività commerciali. Le origini tecniche di questo pericolo sono da rintracciare nel decreto della Regione Calabria n. 493 del 27 luglio 2014 “con il quale sono state approvate le nuove tariffe per il conferimento in discarica dei rifiuti indifferenziati. Il nuovo meccanismo tariffario – specifica Tassone - prevede un sostanzioso aumento, soprattutto, per gli enti meno virtuosi”. In particolare, “i comuni che non raggiungeranno una soglia minima di raccolta differenziata pari al 25%, saranno costretti a pagare un sorta di penale di 22 euro a tonnellata. La ‘sanzione’ va ad aggiungersi, quindi, ai 147 euro della tariffa base, per un totale quasi doppio rispetto a quanto pagato negli anni precedenti”. La responsabilità politica ed amministrativa, invece, risiede nei ritardi e nelle imperfezioni poiché “anche se il nuovo servizio, avviato ad aprile inoltrato, dovesse produrre risultati positivi, difficilmente a fine anno si riuscirà a superare la soglia minima. Preso atto del meccanismo sanzionatorio introdotto con le nuove tariffe – sentenzia pertanto Tassone -  un’amministrazione meno approssimativa non avrebbe perso tempo e si sarebbe messa immediatamente al lavoro per non farsi trovare impreparata. Al contrario, il sindaco e la sua giunta hanno continuato a crogiolarsi nel loro dolce far nulla, con il risultato che i cittadini si vedranno raddoppiare le bollette”, perché, visto che “la tassa sullo smaltimento dei rifiuti è a totale copertura dei cittadini”, è diretta la correlazione fra l’aumento dei costi del servizio e quello delle tasse. Tassone opera poi una proiezione sulla base dei dati storici e sostiene che, considerato che “nel 2014 per il conferimento in discarica il comune ha pagato circa 230 mila euro”, alla luce delle nuove tariffe “il servizio costerà, quest’anno, non meno di 400/450 mila euro. A ciò – puntualizza - vanno aggiunti i 100 mila euro di debiti fuori bilancio, riconosciuti lo scorso anno, ma da liquidare nel 2015. In altre parole, i cittadini saranno chiamati a pagare bollette doppie rispetto al 2014. Dopo l’aumento del 43%, approvato dalla maggioranza nel 2011, la tassa sullo smaltimento dei rifiuti – deduce l’esponente dell’opposizione - subirà, quindi, un’ulteriore impennata a causa dell’inadeguatezza di una classe dirigente che ha fatto della perla delle Serre, lo zimbello della Calabria”.

Quella serata serrese con Fabrizio De André

A volte la storia, anche quella piccola, minuta, quella con la “s” minuscola prende strade strane e porta alla ribalta episodi e fatti, altrimenti, destinati a rimanere nell’anonimato, a scivolare nell’oblio.

È per uno di questi sentieri accidentati che è arrivato fino a noi, un dettaglio verificatosi a Serra San Bruno a margine della festa dell’Assunta del 1984.

Un dettaglio che i suoi protagonisti hanno fatto diventare un pezzo di storia serrese.

Il 14 agosto di oltre 30 anni fa, le due confraternite, di Spinetto e Terravecchia, si misuravano in una singolare competizione. Un paese, due feste.

Da una parte, la congrega posta al di là del fiume, dall’altra quella collocata nella parte più antica della cittadina.

Il momento centrale della serata era, inevitabilmente, quello destinato ai “cantanti”, la manifestazione musicale con la quale i seggi priorali mostravano i muscoli e misuravano la riuscita della festa, la loro festa.

Nella centralissima piazza San Giovanni la confraternita dell’Assunta di Terravecchia aveva fatto le cose in grande. Ospite della serata Dori Ghezzi.

In maniera discreta, quasi invisibile per le vie della cittadina si aggirava il suo compagno, Fabrizio De André. L’atmosfera esaltante, il clima caldo e le luci delle luminarie erano talmente abbacinanti che solo in pochissimi percepirono la presenza dell’illustre personaggio. Anche perché, De Andrè, forse non amando particolarmente il caos della folla vociante, in attesa della conclusione dello spettacolo, aveva preferito rifugiarsi nei locali del circolo “Unione”.

Fu in quell’ambiente spartano ed insolito che due, allora giovanissimi, serresi incrociarono l’autore di “Bocca di Rosa” e “Via del campo”.

«Lo incontrammo – ha raccontato qualche anno addietro uno dei protagonisti - seduto ad un tavolo, era impegnato a bere un cognac da una bottiglia con in bocca l’ennesima sigaretta. Gli chiedemmo da dove arrivasse la sua musica, quali erano le fonti di tanta ispirazione. Lui rispose con sincerità ed intelligenza. “Viene dal fiume e soprattutto dalle storie di paese”.

Quieto e sorridente aggiunse: “ ho visto che anche qui c’é un fiume che attraversa il paese è come dire che anche voi avete una Spoon river e sicuramente non mancano, nella vostra comunità, i servi disobbedienti alla legge del branco, rifiutati dal potere vestito di umana sembianza”.

Un incontro eccezionale, non solo per la caratura e l’imprevedibilità dell’artista, quanto per la sua curiosità, il suo desiderio di conoscere il patrimonio nascosto di un popolo, quello che herdeianamente pensava fosse custodito nella lingua. Non già in quel codice linguistico convenzionale ed a volte estraneo, rappresentato dall’idioma nazionale, quanto dal dialetto, la lingua del popolo.

«La cosa che non potrò mai dimenticare – prosegue il racconto – è stata la sua richiesta di rispondergli in dialetto. Era curioso di sentire la parlata locale». Un interesse per la lingua, al contempo, intesa come strumento di imperio, di dominio ma anche di disubbidienza e ribellione. Prima di congedarsi, con la bottiglia di cognac «ormai vuota ed il portacenere colmo delle sue sigarette, ci fece notare che le lingue della resistenza al potere, che usa sempre la lingua colta, sono sempre più divertenti e genuine».

Chissà, quale potrebbe essere la lingua della resistenza oggi, nel tempo in cui il potere, incarnato dai tecnocrati della finanza, si esprime in inglese.

Ma oggi, forse, più che di una lingua, la ribellione e la disubbidienza avrebbero bisogno d’interpreti.

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Alaco, Tassone: “Amministrazione opera senza logica e buon senso”

SERRA SAN BRUNO - “Come una lampadina mal funzionante; rimane spenta per mesi ed ogni tanto emette qualche bagliore. La questione Alaco sembra funzionare proprio così. Alle inchieste giudiziarie segue sempre un gran clamore mediatico, passa, poi, qualche giorno e tutto finisce nel dimenticatoio”. Paragone che bada poco all’estetica ma che è molto calzante quello utilizzato da Mirko Tassone per sottolineare una vicenda che si trascina da anni, che rimane tuttora irrisolta e che “disorienta soprattutto i cittadini”. In questo “marasma generale” a colpire l’esponente della minoranza è “l’assenza di alcune amministrazioni comunali” e, in particolare, di quella serrese che, a suo avviso, “ancora una volta, si caratterizza per la somma indifferenza”. A lasciare il segno “è l’intollerabile ignavia, tanto più, che, come andiamo ripetendo da tempo, la soluzione del problema sarebbe, parzialmente, a portata di mano. Una soluzione – precisa Tassone - per la quale non servono ricette miracolose o fantasmagoriche risorse finanziarie. Basterebbe usare il comune buon senso. Si tratta di una soluzione semplice, immediatamente cantierabile, che, stranamente, il sindaco e la sua maggioranza continuano ad ignorare. Per risolvere buona parte del problema, non bisognerebbe fare altro che riattivare l’acquedotto comunale di località ‘Sorgive’ situato nella zona della ‘Scorciatina’”. Il rappresentante di “Al lavoro per il cambiamento” entra nei dettagli tecnici e specifica che “con una capacità di 12/14 litri al secondo, lo storico acquedotto, potrebbe soddisfare per un terzo il fabbisogno cittadino, permettendo, al contempo, di limitare, in maniera considerevole, la dipendenza da Sorical”. I vantaggi sarebbero molteplici poiché “oltre a consentire al Comune di erogare acqua di qualità, la riattivazione assicurerebbe un considerevole risparmio per le casse comunali, quantificabile in una cifra che si aggira intorno ai 100 mila euro all’anno. Se a ciò si aggiunge che l’acquedotto in questione è inutilizzato dal 2011, si comprende il duplice danno arrecato alla cittadina”. I teorici benefici, in mancanza degli adeguati provvedimenti, si sarebbero trasformati in effetti nefasti e Tassone puntualizza che “da una parte sono stati dispersi milioni di metri cubi di vero e proprio oro blu, dall’altra si sono spesi non meno di 400 mila euro per acquistare acqua d’infima qualità. A ciò si aggiunga che, secondo le stime fatte dai tecnici comunali, per riattivare l’acquedotto basterebbero meno di 40 mila euro. Una spesa, quindi, che potrebbe essere ripagata in appena cinque mesi”. La nota di biasimo evidenzia inoltre che “se si fosse proceduto tempestivamente alla riattivazione, l’amministrazione comunale, avrebbe potuto mettere da parte un tesoretto da impiegare, a suo piacimento, nella soluzione definitiva del problema, per abbassare le tasse ai cittadini, per migliorare la qualità dei servizi. Visto il tempo sprecato, la logica ed il buon senso imporrebbero di procedere alla riattivazione immediata dell’acquedotto. Ma la logica ed il buon senso – ammonisce Tassone - come hanno imparato a proprie spese i cittadini, non albergano certo in casa della maggioranza azzurra”.

Tassone sulla giunta: “Riproposti assessori inadeguati”

SERRA SAN BRUNO - Non ci sarebbero novità di rilievo, sintomi di cambiamento o miglioramento dopo il rimpasto di giunta effettuato dal sindaco Bruno Rosi. Potrebbe essere riassunto così il pensiero di Mirko Tassone sull’esecutivo e, infatti, il consigliere di minoranza ricorre a quello che definisce “un clamoroso falso storico” per descrivere le modalità di superamento dell’impasse adottate per arrivare ai nuovi equilibri. “I detrattori del Regno delle Due Sicilie – ricorda al proposito l’esponente della lista ‘Al lavoro per il cambiamento’ - narrano che il regolamento della marineria borbonica prevedesse che ‘All'ordine Facite Ammuina': tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora: chilli che stann' a dritta vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann' a dritta: tutti chilli che stanno abbascio vann 'ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso: chi nun tene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a 'll à. Con 'Facite Ammuina' si indicano, quindi, coloro i quali fingono di darsi da fare”. A suo avviso, sarebbe stato proprio questo il criterio adottato dal primo cittadino per disegnare la nuova giunta nella quale sono stati riproposti “assessori precedentemente estromessi” con il compito di “rilanciare l’azione amministrativa”. Una contraddizione che riconfermerebbe le tesi dell’opposizione sugli errori di chi amministra la cittadina della Certosa. In pratica, secondo Tassone, è “la dimostrazione che il sindaco o ha sbagliato prima, o sta sbagliando adesso”. Non esente da critiche è “la scelta del presidente del consiglio in pectore che, dopo aver minacciato fulmini e saette, è ritornato, tomo tomo, dove stava cinque mesi fa”. Il consigliere d’opposizione cerca poi di comprendere “le motivazioni che hanno giustificato il defenestramento” di Carmine Franzè che non sarebbero  “di carattere amministrativo” in quanto “la scelta di sacrificare Franzé non può essere motivata con un’eventuale deficienza in termini di produttività, poiché, in tal caso, il sindaco avrebbe dovuto sfiduciare, per primo, se stesso”. Le ragioni sarebbero, invece, da ricollegare alle “recenti elezioni regionali” e, in particolare, “la decisione di sposare la causa di un candidato diverso rispetto a quello sostenuto dal resto della maggioranza, molto probabilmente, deve aver reso Franzé reo della più capitale delle colpe, quella di lesa maestà”. Tassone precisa comunque di non avere “alcun desiderio d’entrare nelle dinamiche interne ai forzisti serresi”, ma non rinuncia a rilevare come “la ‘nuova’ Giunta sia stata composta, non sulla scorta del merito, delle competenze e delle capacità, ma solo sulla base dell’apparente fedeltà al capo”. “Ad un anno di distanza dalle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale – afferma Tassone - era lecito aspettarsi qualcosa di più che la riproposizione, quasi integrale, di assessori che hanno dato ampia prova della loro inadeguatezza. Tuttavia – conclude rinnovando le negative valutazioni sulla controparte - il sindaco non ha stupito nessuno. Ancora una volta, ha scelto di rimanere fermo, immobile, probabilmente, nella consapevolezza che ha a disposizione, ancora, un anno per completare l’opera di fare di Serra lo zimbello del circondario”. 

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Serra: "1800 euro per una delibera"

La politica ha i suoi costi, si sa. E’ il prezzo da pagare alla democrazia. Certo, la democrazia non dovrebbe degenerare in oligarchia, ma questo è un altro discorso. L’argomento di cui intendiamo occuparci, è più prosaico, più spicciolo, in linea con i suoi protagonisti. Se non vivessimo a Serra San Bruno, dall’amministrazione comunale ci aspetteremmo un impegno proiettato alla soluzione dei problemi che affliggono la nostra cittadina. Scrivere l’elenco delle cose da fare, rischia di essere un esercizio stucchevole, poiché di cose da fare ce ne sarebbero veramente tante. Ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta. Ma il sindaco e la sua maggioranza non sembrano pensarla allo stesso modo. Felicemente assisi sul trono degli ignavi, si fanno scivolare addosso qualunque critica. Refrattari a soluzioni, proposte o iniziative, assomigliano ai vecchi mercanti dei bazar, che se ne stanno pigramente seduti a crogiolarsi tutto il giorno. Come quei mercanti, non si fanno distrarre da niente e da nessuno, l’unico sussulto di vitalità lo manifestano quando qualcuno si avvicina troppo alla loro mercanzia. Solo allora, si alzano con inusitata rapidità e sono disposti a metter mano al coltello pur di difendere i loro averi. I nostri amministratori, si comportano esattamente allo stesso modo. A guardarli, politicamente parlando, s’intende, sembrano statue esposte al museo delle cere. Fermi, immobili, fino a quando qualcuno non si avvicina troppo alla loro mercanzia. Direte voi, via! Gli amministratori non posseggono mercanzie! Ed, invece, ce l’hanno, eccome se ce l’hanno. Provate a mettere in discussione un assessorato, provate a parlare di avvicendamento e vedrete. Come quel mercante arabo, scatteranno, pronti a difendere con le unghie e con i denti la loro poltrona. Si sarebbe indotti a pensare che lo fanno perché vogliono portare a compimento il loro mandato, che hanno in cantiere chi sa quale progetto o iniziativa. Si potrebbe pensare che, legittimamente, desiderino lasciare il segno della loro attività. Chi dovesse pensarlo, rischierebbe però di incorrere in un clamoroso errore. Perché l’unico motivo per il quale i componenti della giunta cittadina si arroccano a difesa del loro piccolo posto al sole, sembra, essere un più prosaico interesse di bottega. In altre parole, quel che sembra abbiano più a cuore sono gli  euro garantiti dall’indennità di carica, che nel loro caso assomiglia maledettamente ad una vera e propria prebenda. Come definire, altrimenti, uno stipendio percepito, non in nome del lavoro che si svolge, ma solo in ragione del ruolo che si ricopre. Per esserne definitivamente persuasi, è sufficiente mettere mano all’albo pretorio comunale, dove emerge con evidente imbarazzo che, nel primo mese dell’anno, la giunta ha deliberato solo tre volte. Si, avete letto bene. Come se Serra fosse un’isola felice, dove i servizi funzionano e la disoccupazione non esiste, sindaco ed assessori si sono riuniti soltanto tre volte. A questo punto, viene da chiedersi, quanto i cittadini paghino mensilmente, a sindaco ed assessori, per l’espletamento del loro mandato? La risposta è semplice. Si tratta di una cifra non trascurabile che ammonta a, poco meno, di 5.400 euro. Ora, facendo rapidamente due calcoli, si desume che ogni delibera prodotta nel mese di gennaio è costata ben 1.800 euro. Una cifra spropositata, se non fosse, che, oltre alle delibere, sindaco ed assessori, avranno prodotto una mole di lavoro di cui i serrese possono apprezzare quotidianamente i frutti.

*Consigliere comunale - Gruppo "Al lavoro per il cambiamento"

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Simbario, quando a carnevale si festeggiava la nascita del figlio

Ogni popolo ha le sue tradizioni, ogni paese i suoi costumi. Una regola ferrea, soprattutto, in una nazione, come l’Italia, dove, a tratti, la diversità sembra essere l’unico, vero, elemento unificante.

Una millenaria diversità che emerge, con prepotenza, nella rappresentazione delle festività, nel corso delle quali, attorno ad un elemento archetipico unificante, si sono sviluppati modelli celebrativi totalmente diversi.

A questa regola, generale, non fa eccezione, neppure, il carnevale che pur finendo, per tutti, alla mezzanotte del martedì grasso, inizia in giorni e tempi differenti a seconda delle diverse zone.

Una ricorrenza che per molti rimanda ai Saturnalia romani, anche se, in realtà, rappresenta la reinterpretazione cristiana di una festa di passaggio da un anno all’altro, che si ritrova in varie tradizioni, sia orientali, che occidentali.

Sull’origine del nome, poi, c’è una pluralità di ipotesi, alcune delle quali riconducono al latino medievale “carni levatem”, ovvero “sollievo per la carne”, nel senso di temporanea liberazione dagl’istinti più elementari.

Altre, invece, come segnala Alfredo Cattabiani, nel suo “Lunario”, la interpretano come “carnes levare, cioè togliere le carni, o da carni vale!, “carne addio”, perché una volta in questo periodo si esaurivano in orge gastronomiche le ultime scorte di carni prima della primavera”.

In ogni caso, filo conduttore del periodo carnascialesco, erano le follie, gli scherzi e le beffe. Così, attorno al carnevale, ogni comunità ha costruito la sua tradizione ed ogni paese lo celebra alla sua maniera, secondo un canovaccio che, in molti casi, rimanda a qualche, non sempre documentato, episodio storico. Prova ne è, ad esempio, il celebre carnevale d’Ivrea, con la sua tradizionale battaglia delle arance, nel corso della quale viene ricordata la medievale rivolta della popolazione contro i feudatari.

In altri casi, invece, la tradizione ha lasciato il passo ad un nichilistico progresso, che nel volgere di pochi anni, ha portato alla dispersione di un patrimonio che affondava le sue radici in secoli di storia.

Tra le tradizioni, più eccentriche e bizzarre, svanite del nulla, quella che si celebrava a Simbario, dove il carnevale era l’occasione per festeggiare la nascita del primo figlio.

Una “costumanza” riportata da Bruno Maria Tedeschi, in una delle relazione contenute nel “Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato – Distretto di Monteleone di Calabria”, pubblicato nel 1859, nella quale, il sacerdote serrese scrive: “Il genitore […] non può esimersi dalla obbligazione di far festa, che ordinariamente si riserba pei giorni di carnovale. Allora si riuniscono tutti gli amici, che non sono pochi, e assaltano schiamazzando, con le maniere più rozze del mondo, il nuovo padre di famiglia, il quale già preparatosi a quell’attacco, come vuole l’uso, deve abbandonarsi ad una fuga precipitosa, e quelli ad inseguirlo, menando furiosamente le calcagna”.

La folle corsa per le vie del paese aveva un suo scopo preciso, non a caso, finiva sempre allo stesso modo.

Una volta raggiunto, il novello padre “viene coperto di mantelli e di lenzuola in modo da rimanerne schiacciato; poscia posto a cavalcioni sopra pertiche incrociate in guisa di barella, viene trasportato in mezzo ad un baccano di risa”, manco a dirlo, “nella taverna, ov’è nell’obbligo di far gli onori a tutti quei compagnoni”. Iniziata la festa, com’è facilmente intuibile, i rumorosi ospiti “non mancano di alleggerire il commestibile, e dar fondo a un competente numero di barili di vino, alternando le libazioni con canzoni, brindisi e balli grotteschi, che appena la notte interrompe”.

Una festa caratterizzata, quindi, dalla spropositata assunzione di cibo e vino, da parte di uomini che, con il neo padre, festeggiavano il carnevale, ovvero, quel limes oltre il quale iniziavano i rigori della quaresima, con i suoi giorni di “magro”, senza carne e senza stravizi.

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Acqua, Mirko Tassone attacca Rosi: “Concentrati sulle poltrone e non sui problemi”

“Ora è ancor più urgente e necessario procedere al distacco immediato da Sorical”. Va subito al dunque Mirko Tassone che vede la situazione complicarsi anziché risolversi e, vista la rilevanza della tematica, insiste sull’esigenza di adottare gli opportuni provvedimenti con rapidità. “Alla luce delle risultanze investigative emerse nell’ambito del nuovo filone d’inchiesta (“Acqua sporca 2”) che riguarda l’invaso dell’Alaco e la fornitura idrica ai cittadini – spiega il consigliere d’opposizione - l’amministrazione comunale non può continuare a fare come lo struzzo e mettere la testa sotto terra per non vedere il problema. Il problema esiste e va affrontato e risolto, tanto più, che da quanto si è appreso le acque dell’Alaco non sarebbero mai state, neppure, classificate. Un fatto inquietante che la dice lunga sulla qualità di un liquido che i cittadini pagano a caro prezzo come acqua potabile”. L’esponente di “Al lavoro per il cambiamento” chiama alle proprie responsabilità gli inquilini del palazzo municipale di piazza Carmelo Tucci e ricorda “le tante promesse non mantenute dal sindaco Rosi” ed, in particolare, ricorda che il capo della giunta “in campagna elettorale aveva promesso, addirittura, la trasformazione dei boscaioli in rabdomanti, pur di trovare l’acqua necessaria a staccarsi da Sorical”. La critica viene condita con un pizzico d’ironia ed infatti Tassone sostiene che “andato evidentemente in fumo il corso di formazione e la conseguente riconversione professionale dei taglialegna in cercatori d’acqua, il sindaco aveva promesso, nientepopodimeno che l'accensione di un mutuo di, udite, udite, un milione di euro che avrebbe permesso di risolvere definitivamente il problema”.  Ma preso dalla “diuturna opera di fare e disfare la giunta, il sindaco deve essersi distratto, salvo tirare fuori dal sempre più striminzito cilindro d’illusionista, il famigerato connubio comune – regione”. A questo punto, il rappresentante della minoranza opera una breve cronistoria e rammenta che Rosi aveva annunciato “urbi et orbi, che grazie ad un finanziamento regionale di 250 mila euro, avrebbe superato le criticità” senza dimenticare di precisare che “rispetto al milione promesso, mancavano all’appello 750 mila euro”. Qui arriva un nuovo affondo perché “cammin facendo, anche i 250 mila euro si sono persi nel porto delle nebbie di un’amministrazione sempre più interessata a mantenere le poltrone che a governare Serra”. E se Tassone non nutre speranze rispetto ad “su un sussulto improvviso che induca il sindaco e la sua maggioranza a procedere all’immediato distacco da Sorical” sente però “il dovere civile d’invitare l’amministrazione a compiere un passo necessario per tutelare la salute dei cittadini”. D’altra parte, “la strada da percorre l’avevamo indicata, anni or sono, quando all’indomani del suo insediamento avevamo invitato il sindaco Rosi a far censire i pozzi comunali in disuso, riattivare le sorgenti inutilizzate, procedere al un graduale recupero della rete idrica danneggiata onde evitare la dispersione e lo spreco d’acqua, al fine di recuperare l’autosufficienza necessaria per interrompere  la dipendenza da Sorical”. Dal singolo caso Tassone passa ad una riflessione più generale e nella convinzione che “Serra avrebbe avuto bisogno di un’amministrazione comunale e non di una sua parodia” rilancia la sua tesi chiarendo che “quella guidata dal sindaco Rosi più che un’amministrazione moribonda è un’amministrazione mai nata, uno di quegli scherzi che la politica può partorire soltanto alle nostre latitudini”. Con amarezza, conclude che “poco o nulla ci si può aspettare da una giunta guidata da un timoniere che nella migliore delle ipotesi, forse, avrebbe dovuto e potuto fare l’aiuto mozzo”.

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