'Ndrangheta: sequestrati beni per un valore superiore ai 2 milioni euro

I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno proceduto al sequestro, di beni mobili, immobili e prodotti finanziari, per un valore stimato di circa due milioni di euro. Destinatario del provvedimento è stato Francesco Stipo, imprenditore edile 44enne di San Luca (RC).

Già noto alle forze dell’ordine, l’uomo è considerato contiguo alla ‘ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata cosca Romeo alias “Staccu” operante in particolare nella Locride e in tutto il territorio italiano. Genero del defunto Sebastiano Romeo, classe 1931, già ritenuto al vertice della locale di ‘ndrangheta di San Luca, cognato di Antonio Romeo, di 52 anni, alias “Avvocaticchio”, già latitante, cognato di Antonio Pelle, di 57 anni sorvegliato speciale di P.S. ritenuto affiliato alla ‘ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata cosca Pelle “Gambazza”.

Stipo è, inoltre, cognato di Giuseppe Giorgi, di 56 anni, alias “U Capra”, elemento di spicco dell’omonima consorteria arrestato lo scorso 2 giugno dai carabinieri di Reggio Calabria dopo una lunga latitanza. Tra i beni sequestrati figurano, infatti, anche i circa 160 mila euro, in banconote di vario taglio, rinvenuti proprio il 2 giugno, durante le operazioni di perquisizione seguite alla cattura del cognato-latitante, presso l’abitazione di Stipo.

Oltre ai legami parentali con esponenti di spicco della ‘ndrangheta, Stipo vanta un proprio curriculum criminale. In particolare, è stato arrestato nell’ambito dell’operazione della Dda reggina convenzionalmente denominata “Italia che lavora”, perché ritenuto responsabile di associazione di tipo mafioso, frode in pubbliche forniture ed illecita ingerenza in appalti pubblici. Nel 2014, inoltre, è stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione, poiché ritenuto responsabile di illecita concorrenza con violenza o minaccia aggravata dall’aver agevolato organizzazioni di tipo mafioso e/o per aver utilizzato il metodo mafioso.

Oltre al denaro e ad una serie di conti correnti, libretti di deposito, titoli, azioni, obbligazioni e quote azionarie riconducibili all’interessato ed al suo nucleo familiare, sono stati sequestrati anche diversi beni mobili e  immobili, nonché l’impresa edile a lui riconducibile.

L’uomo, nella circostanza, è stato anche sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza.

Processo "Italia che lavora": demolita in Appello la sentenza di primo grado

I giudici della Seconda Sezione della Corte d'Appello di Reggio Calabria, presidente Lilia Gaeta, hanno emesso il verdetto relativo al processo scaturito dall'operazione "Italia che lavora". Cinque gli imputati assolti dal reato di illecita concorrenza con violenza o minaccia perché il fatto non sussiste: Antonio Cosmo, Domenico Costanzo, Francesco Mammoliti, Domenico Pelle, Francesco Stipo. Il Collegio Giudicante, inoltre, ha dichiarato cessata l'efficacia della misura dell'obbligo di dimora precedentemente imposta ad Antonio Cosmo, assistito dall'avvocato Marco Tullio Martino. Dichiarato, peraltro, il non doversi procedere nei confronti di Domenico Cosmo, in quanto deceduto. Se non detenuti per altra causa, è stata ordinata la scarcerazione di Francesco Stipo, Francesco Mammoliti e Domenico Pelle. La sentenza ha demolito quella pronunciata dai giudici di primo grado che si erano espressi il 17 ottobre dello scorso anno al termine del processo celebrato con rito abbreviato. In quell'occasione furono comminate sei condanne: nello specifico il giudice dell'udienza preliminare Antonio Scortecci aveva irrogato a tutti gli imputati una pena quantificata in 4 anni di reclusione. Antonio Stipo fu il solo ad essere stato assolto. Riguardo alla posizione di Francesco Nirta, i cui avvocati erano Umberto Abate  Giacomo Anelli, analogamente a quanto accaduto in sede di primo grado, è stata esclusa  dal reato di furto di inerti l’aggravante di aver favorito la 'ndrangheta, determinando così la prescrizione del reato. Secondo quanto  ipotizzato nel corso delle indagini, gli indagati avevano dato vita ad una sorta di "cartello" di aziende che, sfruttando la forza intimidatoria dei clan della 'ndrangheta di San Luca, riuscivano ad aggiudicarsi gli appalti relativi ad opere da realizzare nella località ionica. 

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