Giovedì Santo e la tradizione del Sepolcro, che non è un sepolcro

Eh sì: continuiamo a chiamarlo “Sepolcro” quell’altare elegantemente adornato e mostrato ai fedeli dopo la messa vespertina del Giovedì Santo, fino alla celebrazione della Passione del giorno successivo.

Eppure, il Magistero della Chiesa sconsiglia due cose a riguardo: 1) a chi lo allestisce, raccomanda di non dargli forma di sepolcro; 2) ai fedeli, di non indicarlo con questo nome. “Altare della Reposizione” è dunque la corretta dicitura per indicare il luogo adibito ad accogliere (conservare) la Santa Eucarestia nei giorni-chiave del Triduo Pasquale. “Reposizione” viene dal latino repositio, conservazione appunto.

Vediamo dunque le origini di questa usanza e il perché di questa errata dicitura. Poiché il Venerdì Santo non si consacrava (e non si consacra tuttora), era necessario conservare l’Eucarestia il Giovedì Santo affinché i fedeli ricevessero la Comunione nel giorno seguente.

Nella liturgia romana, le ostie consacrate rimaste dalla messa in coena Domini venivano conservate in un cofanetto e depositate in sagrestia, senza alcun segno di onore. Il giorno seguente, durante la celebrazione in cui si fa memoria della morte di Gesù, il cofanetto veniva presentato al papa per un breve momento di adorazione, che precedeva la distribuzione ai fedeli. Tra il XIII e il XV secolo la “Santa Riserva” comincia ad essere solennemente traslata e riposta in un tabernacolo provvisorio, dove l’Eucarestia potesse essere adorata prima di essere distribuita nella liturgia del Venerdì Santo. L’incremento della solennità per l’Altare della Reposizione si ebbe soprattutto a partire dal 1264, anno in cui papa Urbano IV estese a tutta la Chiesa la celebrazione della festa del Corpus Domini.

Da allora il tabernacolo provvisorio del Giovedì Santo divenne occasione per manifestare grandissima devozione all’Eucarestia. Successivamente, però, nella celebrazione del Giovedì Santo vennero adottati nella liturgia alcuni segni di tristezza (si pensi all’abolizione del suono dell’organo e all’usanza di “legare le campane”): è in questo contesto che la pietà popolare cominciò ad appellare “sepolcro” il tabernacolo provvisorio. Il gesto del sacerdote che ripone in esso le Sacre Specie venne assimilato all’inumazione di Gesù, nonostante la Chiesa non faccia memoria della morte del Signore nel Giovedì Santo.

Assimilando la reposizione dell’Eucarestia all’inumazione di Cristo, altri segni della liturgia del Giovedì Santo trovarono interpretazione alla luce del mistero del Venerdì Santo: spogliare l’altare divenne, così, un simbolo della spogliazione di Cristo sulla Croce; un tempo era usanza che due accoliti ai lati dell’altare tirassero le tovaglie ad modum furentis (in maniera furiosa), per simulare la spartizione della tonaca di Cristo da parte dei soldati romani incaricati della sua crocifissione.

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I "Canti di donne nella Settimana Santa in Calabria" nel libro di Rotundo e Battaglia

"Canti di donne nella Settimana Santa in Calabria: teologia e antropologia" (Luigi Pellegrini Editore) è un libro (a quattro mani) di insolita compattezza. Ne sono autori due studiosi calabresi (Anna Rotundo e Michele Martino Battaglia) che hanno già dato prova del loro acume e della serietà dei loro studi antropologici: non rimasticano (inutilmente) il già detto ma, come i ricercatori di razza, danno interpretazioni originali (documentate e convincenti) dei materiali esistenti, aggiungendo tasselli di verità nei campi sterminati del sapere.

Giustamente, José Luis Alonso Ponga, «antropologo museale di fama internazionale», rileva, nella sua limpida prefazione al libro, che il «punto di vista» dei due ricercatori «si completa».

D’altra parte, secondo le più recenti acquisizioni dell’ermeneutica applicata ai testi letterari (si pensi a Jauss), il lettore che dialoga con il testo («lettore attivo») e ne individua qualcuno dei sensi riposti va considerato addirittura coautore effettivo del testo stesso, dacché contribuisce efficacemente alla semiosi, cioè al «processo di significazione».

Ebbene, Anna Rotundo è una lettrice attiva, attivissima, se è vero che, nel Capitolo I del libro (Donne di Calabria e canti di Passione), rilegge alcuni dei più famosi canti di donne, rievocanti la passione di Cristo durante la Settimana Santa in Calabria, secondo un’inedita ottica femminile, e ridà vita, di fatto, a testi che apparivano consunti, come tutti quelli consegnati alla serialità delle feste popolari. La studiosa si muove chiaramente sulla scia della teologia femminile (e femminista) che ha in Adriana Zarri una delle sue punte di eccellenza, rivelando, in maniera molto diretta e senza forzature, la componente femminile, appunto, di tali canti, che era stata obliterata sotto il velo opaco del maschilismo cattolico (e non solo). Epperò, nella Sira di li treniri (Sera dei tremori), la Madonna si rivela «profeta per una presa di coscienza collettiva di liberazione»; nel Rosario per le Quarant’ore, le donne appaiono, sulla scorta di Edith Stein, «più capaci di empatia»; in E piangiti sorelli c’amurti Gesuna (Piangete sorelle ch’è morto Gesù), traspare il tema della sorellanza, «caro ai movimenti delle donne»; in U Tummulieri, si evidenzia la capacità femminile di «creare linguaggio» magari trasformando arbitrariamente l’originale – oramai incomprensibile – teste latino (Tu in mulieribus). E così via … cantando.

L’auspicio, sotteso alla ricognizione puntuale di Anna Rotundo, che si fa apprezzare anche per la limpidezza della scrittura, è l’avvento, sul terreno religioso, «di un linguaggio inclusivo che sappia accogliere in sé tanto la ricchezza del maschile, quanto »quella del femminile».

Martino Battaglia, nel Capitolo II del libro, Dalla lauda al canto popolare nel sud Italia, comprova, da par suo, con impeccabile contrappunto di citazioni scientifiche e di riferimenti testuali, la tesi di una netta correlazione tra le laudi drammatiche medievali e i canti popolari della Settimana Santa in Calabria e in altre regioni dell’Italia attraverso il comune tramite della spettacolarizzazione barocca, convalidando peraltro, sul terreno antropologico, una notazione esposta dal sottoscritto in un articolo letterario su La Passione di Cristo da Iacopone a Pasolini e Turoldo. La passione euristica di Battaglia si riversa sulla pagina, sottoponendo la struttura del discorso a torsioni improvvise, a fulminei sbalzi, a clamorose deviazioni perfino: non ci sono spazi vuoti che non vengano prontamente saturati dall’incessante, febbrile impegno documentario dell’autore, anche a scapito della linearità dell’espressione. Ma dal contributo di Martino Battaglia traspare anche l’apprezzamento profondo della cultura popolare come espressione di sentimenti (religiosi, in questo caso), autentici, complementari, per dirla con Ponga, a quelli della cultura ufficiale: contro ogni tesi «sociologico-riduttivistica» e sulla scia, per converso, di maestri – basti il nome di Luigi Lombardi Satriani – che hanno fondato la moderna antropologia, liberandola da attardati preconcetti ideologici.

*Giuseppe Rando - Ordinario di Letteratura italiana e critico letterario

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Caulonia: Settimana Santa patrimonio dell'Unesco, via libera dal consiglio comunale

Il consiglio comunale di Caulonia ha approvato all’unanimità la mozione presentata dal capogruppo di maggioranza Maria Elisabetta Cannizzaro sulle procedure volte all’inserimento delle tradizioni della "Settimana Santa di Caulonia" tra i beni immateriali dell’Unesco. 

Nel corso della stessa seduta, il sindaco Caterina Belcastro ha aggiornato il civico consesso circa la situazione del Ponte Allaro. «Il cronoprogramma dei lavori, il cui inizio è previsto per settembre, è stato consegnato dall'Anas in Prefettura - ha spiegato il primo cittadino -. Per la realizzazione dell'opera la Regione ha supportato la richiesta avanzata dai sindaci di ridurre e velocizzare i tempi di  attuazione. Il prossimo incontro in Prefettura è fissato per la prima metà di settembre".

 

Filogaso ed i riti della Settimana Santa

I riti pasquali, anche se ripetitivi nelle loro gestualità e nella loro iconografia principale, della vita e morte di Gesù suscitano sempre forti emozioni e rievocano ricordi e tradizioni popolari diverse e tipiche di ogni paese del Sud. L’anno scorso ho trascorso Pasqua a Sorrento ed ho assistito alla processione del Venerdì Santo. Di quella processione mi sono rimaste impresse alcune cose inimmaginabili e per certi versi inusuali. Il silenzio, quasi surreale, che scendeva tra i sorrentini e i numerosi turisti presenti al passaggio, lungo il corso principale, della statua del Cristo morto; i vestiti, a forma di saio con il cappuccio, di colore nero e bianco, indossati dai fratelli appartenenti a due congregazioni religiose diverse che si disponevano sui due lati della strada.

Indossare quelle tonache, particolari e strane, raccontavano alcuni, era un vanto ed una tradizione centenaria che si tramandava da padre in figli. 

Quest’anno invece ho partecipato, dopo moltissimi anni, alla processione svoltasi al mio paese.

Tralascio il racconto dei sentimenti e dei ricordi intimi che affollavano la mia mente durante lo svolgimento del rito religioso: per la prima volta tra i tantissimi presenti, il paese quasi tutto, non vi era mamma; e mi soffermo sulla celebrazione della passione e sugli inevitabili cambiamenti e innovazioni introdotti nel tradizionale rito, rispetto alla mia infanzia e gioventù.

L’evocazione della vita e morte di Gesù è stato svolta, come sempre, da un bravissimo parroco (u “predicaturi” nel nostro dialetto) la cui presenza è stata limitata al solo rito serale mentre nel passato veniva prolungata a tutta la Settimana Santa ed oltre.

Il confronto con le “prediche” dell’indimenticato ed indimenticabile padre “Oliva”, frate francescano che ha per anni officiato la solenne ricorrenza, è stato inevitabile. Mancava la stessa foga oratoria ma i contenuti erano altrettanto ricchi di richiami storici e culturali, con spunti ed accenni interessanti al presente.

Le pause delle “chiamate” rispettivamente della Santa Croce, dell’Ecce Homo e della Madonna, venivano inframmezzate da alcuni canti religiosi ( stabat mater,ecc....) eseguiti dal Coro di recente formazione invece che dai fedeli. Nel coro spiccavano, tra le altre, le figure di due componenti del complesso bandistico di Filogaso degli anni cinquanta: Antonio Fiumara, nella veste di direttore, Francesco Antonio Sisi, nella veste di batterista (grancassa e tamburo) e della giovanissima violoncellista Galati.

Il passato, il presente ed il futuro nella tradizione e nella continuità. Infine, dopo la “chiamata” della Madonna, la processione lungo il corso del paese, addobbato per l’occorrenza con i lumini dislocati lungo i marciapiedi, in sostituzione delle tradizionali “frache” (torce fatte da canne ).

Altra novità ed innovazione rispetto al passato, è stata la presenza della “naca” (dal greco nache ‘ :culla) che tradizionalmente veniva portata in processione il sabato. 

La processione, che una volta procedeva a passo cadenzato dal suono della "tocca" (strumento utilizzato al posto delle campane ) si è conclusa con un falò nello slargo del comune.

La domenica di Pasqua è caratterizzata, invece, dal rito della famosa “affruntata “, descritta e ripresa per Rai Tre dal professore Vito Telti, amico e compagno di studi liceali, a cui partecipano ogni anno, per la suggestione che suscita, molte persone dei paesi vicini

 

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A Vibo si parlerà dei riti della pietà popolare nella Settimana Santa

Tra religione e superstizione, la religiosità popolare è stata vista come espressione pura di fede e devozione o come deviazione dai principi e dai riti ortodossi della religione cattolica.

L'espressione “pietà popolare” ha finito per designare manifestazioni di fede che partono dagli strati più bassi della popolazione e che spesso non trovavano spazio e riconoscimento da parte dell’ortodossia cattolica.,

Proprio "la pietà popolare, con particolare riferimento ai riti della Settimana Santa a Vibo Valentia, sarà al centro di un incontro, in programma per le 18,20 di giovedì 22 marzo, presso la Sala Oscar del Centro di aggregazione sociale, in via Enrico Gagliardi a Vibo Valentia.

L'iniziativa, organizzata sall'associazione "ViboInsieme", in collaborazione con l'Arciconfraternita Maria SS. del Rosario e San Giovanni Battista e con il Centro di aggregazione sociale “Solidarietà ed Amicizia”, si aprirà con i saluti del presidente del Centro, Donatella Fazio e del priore Francesco Colelli.

Il tema al centro dell'incontro, sarà sviluppato da mons. Filippo Ramondino che relazionerà sugli antichi riti e le processioni monteleonesi.

Il dibattito sarà coordinato dal giornalista Michele La Rocca, dirigente dell'associazione ViboInsieme.

Caulonia, estemporanea di pittura e fotografia dedicata alla Settimana Santa

Il Comune di Caulonia ha indetto un concorso di pittura e fotografia con l’obiettivo di far conoscere e raccontare, attraverso fotografie e dipinti, il borgo e le sue tradizioni religiose.

In particolare, il concorso di estemporanea d’arte e fotografia “Il borgo e la sua Settimana Santa, l’arte che anima il centro storico” nasce con l’intento di dare risalto alla spiritualità dei riti religiosi legati alla Settimana Santa cauloniese e di promuovere maggiormente l'aspetto culturale, religioso e turistico del periodo pasquale. La pittura e la fotografia racconteranno la solennità delle antiche tradizioni del nostro borgo, tramandate dalle due Arciconfraternite dell’Immacolata e delle Anime del Purgatorio e del SS Rosario. 

«Il concorso – spiega il consigliere comunale delegato al turismo religioso Elisa Cannizzaro - viene inserito nell’ambito del turismo religioso, incentivando l’attività turistica fuori stagione. Esso si pone all’interno del progetto avviato dall’amministrazione, che tende a promuovere l’intero borgo e le sue tradizioni, ritraendone i momenti suggestivi legati alla tradizione religiosa in modo creativo e personale. In tal senso verrà valorizzata non solo la Settimana Santa e i suoi momenti salienti, ma tutto il paese con i suoi tesori. L iniziativa si rivolge  a artisti professionisti e dilettanti».

I pittori e i fotografi che parteciperanno al concorso dovranno ritrarre solo soggetti ed opere del paese. I concorrenti dovranno essere muniti (a propria cura) di tutti i mezzi per l’esecuzione dell’opera. Non sono ammesse opere interamente realizzate al computer. Le fotografie ed i quadri dovranno essere inediti e realizzati durante il concorso. Le opere verranno esposte presso il Mercato Vecchio. Tutti i dettagli sul sito: www.comune.caulonia.rc.it

Serra: tutti i riti della Settimana Santa

Con la piccola processione della “discesa dei Santi”, alle 20 del Mercoledì Santo, avranno ufficialmente inizio i Riti della Settimana Santa serrese. Il corteo, che dalla chiesa Addolorata alla chiesa Matrice accompagnerà le statue di Maria, Giovanni e Maddalena in lutto non sarà preceduto da alcuna celebrazione, in quanto tutti i parroci della Diocesi di Catanzaro-Squillace saranno nel pomeriggio a concelebrare la Messa Crismale presieduta dall’Arcivescovo nella Cattedrale di Catanzaro. Il Giovedì Santo vedrà, a partire dalle 17, il canto dell’Ufficio del SS. Sacramento nella chiesa Addolorata; alle 19 la S. Messa “in coena Domini” nelle due chiese Parrocchiali, con la partecipazione delle congreghe in abito e il gesto liturgico della Lavanda dei piedi. Alle 22, nella chiesa Matrice, ancora l’Ufficio del SS. Sacramento presso l’Altare della Reposizione; la preghiera si protrarrà per tutta la notte. Alle 9 del Venerdì, presso i due Altari della Reposizione nelle rispettive parrocchie, verranno pregate le Lodi con l’Ufficio delle Letture. Nel pomeriggio, la Celebrazione della Passione del Signore sarà preludio, a Spinetto, della Via Crucis che percorrerà il Corso fino al Calvario; a Terravecchia, della “Schiovazziuoni” che avrà inizio alle 19 e proseguirà con la Processione del Cristo Morto sul letto di morte. La Naca varcherà il portone della chiesa Addolorata alle ore 9 del Sabato Santo. Nella notte, la solenne Veglia Pasquale nelle due chiese parrocchiali.

“Sipulcru” e “Schiovazziuoni”: nel cuore della Settimana Santa serrese

Serra sta vivendo con passione i riti della Settimana Santa, per i cattolici la Settimana delle Settimane. E come sia stata data grande cura ai preparativi, ai fedeli è stato visibile anche grazie a quel gigantesco telo blu notte che, a partire dal lunedì della V settimana di Quaresima, ha campeggiato nella chiesa Matrice, per coprire l’imponente scenografia rappresentante il Gòlgota e che nel Venerdì Santo fa da sfondo alla secolare paraliturgia della “Schiovazziuoni”. Il lunedì della V settimana di Quaresima ha visto le funzioni religiose spostarsi per una settimana nella chiesa Addolorata, dove si celebrano le Quaranta Ore e successivamente la solennità di Maria SS. dei Sette Dolori nel Venerdì “di l’aliva”, dai confratelli chiamato anche “festa di la Titulari di marzu”. Quando la chiesa Matrice è libera da celebrazioni, dunque, iniziano i preparativi per le funzioni della settimana successiva. Ciò che assorbe più impegno è l’allestimento dell’Altare della Reposizione, meglio noto (ma erroneamente) come “Sipulcru”, che richiede anche l’intervento di manodopera femminile per via dei tendaggi che orneranno la cappella dell’Adorazione, insieme ai moltissimi fiori e alla tradizionale “viccia”. Sono poche ormai le famiglie che preparano “la viccia pi lu Sipulcru”: si tratta di semi di legumi fatti germogliare in vasi conservati per settimane in ambiente umido e buio, ciò che conferisce ai germogli quel caratteristico colore bianco che rimanda, nella liturgia, alla Resurrezione di Cristo, nuova primavera per l’umanità. Alla “Schiovazziuoni”, invece, lavorano da sempre maestranze locali. Fino a qualche decennio fa, la “Schiovazziuoni” era in tavole di legno; ma per l’incolumità dei confratelli e anche delle superbe statue lignee, si decise di realizzare un’impalcatura in ferro, più facile nell’assemblaggio ma soprattutto più stabile e sicura. “Lu palcu” si può dire completato solo la sera del Giovedì Santo, quando la scena è completata dai simulacri della Vergine Addolorata, di Giovanni e di Maddalena. L’accompagnamento dei Santi nella chiesa Matrice si svolge con una breve processione la sera del Mercoledì Santo, mentre le campane suonano a festa prima di essere “legate” in segno di lutto per la morte di Gesù. Resta da fare solo “lu liettu martuoru”, allestito con cura meticolosa e viva commozione, visto il prezioso “contenuto” che ospiterà al termine della “Schiovazziuoni”. Quest’anno la paraliturgia è tornata a svolgersi nelle modalità tradizionali: la predicazione del sacerdote dal pulpito è preludio ai momenti salienti del rito. Il primo di questi è la “svelazione” del Calvario, reso quindi visibile ai fedeli. La statua del Cristo crocefisso, fiancheggiata dai due ladroni, è sormontata da cherubini che, tra oscure nubi, fanno da corona alla frase latina pronunciata da Gesù poco prima di spirare: “Consummatum est” (tutto è compiuto). Sotto la croce, sta la Madre Addolorata. È impressionante constatare come cambi la fisionomia di questa statua lignea, che pure è la stessa di quella venerata in settembre. Il Venerdì Santo sembra accentuarsi il pallore della Madonna, ancor più marcato dal manto nero logoro e con poche decorazioni in fili d’argento; tra le mani ha il fazzoletto per il pianto, nessuno stellario orna il suo capo; a settembre, invece, le spade dorate, lo stellario impreziosito di brillanti, il manto nero ma ricco di ornamenti in oro, rendono la statua dell’Addolorata semplicemente bellissima, quasi da renderci increduli che Quella sia una donna che abbia visto il Figlio morire nel più atroce dei modi. La Madre ha le braccia aperte, pronte a ricevere il corpo esanime del Figlio. Ed ecco, nel secondo momento del rito, che due confratelli in abito salgono a staccare dalla croce il corpo di Gesù, le cui articolazioni sono state rese snodabili proprio in funzione del rito. Avvolto in un lenzuolo, il simulacro viene consegnato ad altri due confratelli che lo adageranno sul letto mortuario. Può dunque avere inizio la processione, che però sosterà prima sotto il pulpito per un’ultima esortazione del sacerdote. Durante la processione, che culminerà nella chiesa Addolorata, alle marce funebri della banda si alterna il lugubre canto del “Miserere mei Deus”. Nella notte del Silenzio, il Seggio Priorale dell’Addolorata con un gruppo di collaboratori provvede a portare in chiesa la “Naca”, la “culla” artisticamente allestita nella quale il Cristo morto verrà portato in processione fino a località Calvario la mattina del Sabato Santo.   

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