Beni per 1 milione di euro sequestrati a presunto esponente di una cosca di 'ndrangheta

I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno dato esecuzione al decreto di sequestro di beni immobili e finanziari, per un valore di un milione di euro, riconducibili al patrimonio di Carmelo Giuseppe Cartisano, di 46 anni, ritenuto esponente di assoluto rilievo della “locale” di 'ndrangheta di Gallico.

Le risultanze prodotte dal Nucleo Investigativo reggino, sulle quali si fonda il provvedimento, derivano dagli esiti dell’indagine denominata “Reghion” a sua volta confluita, per la posizione di Cartisano, nel maxiprocesso “ Gotha”, nel quale è imputato per associazione di tipo mafioso.

L’uomo, è considerato “dirigente della porzione dell'associazione”, con speciale riferimento alla ramificazione della cosca “Condello” operante nel quartiere di Gallico, dedita al controllo del territorio, alla pratica dell’intimidazione, al collegamento con altri pari esponenti di altre cosche, alla detenzione delle armi, al controllo dell'apertura di nuovi esercizi commerciali, all'infiltrazione nell'economia.

Il provvedimento di sequestro ha interessato: un esercizio pubblico, un immobile, conti correnti e prodotti finanziari riconducibili a Cartisano ed al suo nucleo familiare.

Confisca di beni per 1 milione di euro riconducibile alla cosca "Sia-Procopio-Tripodi"

 

I Finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria - G.I.C.O. - di Catanzaro, coordinati dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, dal Procuratore Aggiunto, Vincenzo Luberto, e dal Sostituto Procuratore, Vincenzo Capomolla, questa mattina hanno dato esecuzione a un provvedimento di confisca definitiva di beni per un valore di circa 1 milione di euro, emesso dalla Corte d’Appello di Catanzaro su richiesta di questa Procura Distrettuale.

I destinatari del provvedimento ablativo sono Salvatore Pannia e Bruno Procopio, quest’ultimo figlio di Fiorito Procopio, esponente di vertice della cosca “Sia-Procopio-Tripodi”, operante nell’area ionica soveratese e coinvolta nella guerra di mafia passata alle cronache giudiziarie con il nome di “Faida dei boschi” che ha insanguinato la fascia ionica del basso catanzarese con oltre dieci morti nell’arco di pochi anni.

Le indagini eseguite dalla Procura sono culminate, nel corso del 2011, nell’operazione "Showdown" che ha consentito, tra l’altro, di svelare la faccia imprenditoriale della cosca. La confisca odierna, eseguita su disposizione della corte d’appello di Catanzaro, rappresenta l’epilogo di complesse indagini, eseguite dalle Fiamme Gialle di Catanzaro, attraverso una meticolosa ricostruzione di articolati assetti societari e il conseguente incrocio con le risultanze dell’attività tecnica ed info-investigativa svolta sul territorio.

Le indagini, delegate dalla Direzione distrettuale, hanno consentito di ricostruire anche gli interessi economici di Pannia, il quale ricorrendo a fittizie intestazioni, gestiva diverse attività commerciali e imprenditoriali, fra cui un esclusivo night club sito nella cittadina di Montepaone (CZ).

Bruno Procopio, invece, è risultato intestatario formale di quote societarie di fatto riconducibili al padre Fiorito ed ai vertici della consorteria criminale oggetto d’investigazione.

Con il provvedimento odierno, la Corte d’Appello di Catanzaro, nel condannare Pannia e Procopio per il reato di intestazione fittizia di beni di cui, ha altresì disposto la confisca definitiva dei seguenti beni, già sottoposti a sequestro nel corso degli anni 2011 e 2012 da parte del nucleo di Polizia Tributaria di Catanzaro:

  • n. 4 veicoli;
  • n. 1 immobili;
  • n. 3 quote societarie (di due diverse società);
  • n. 2 complessi aziendali;
  • n. 1 night club (gestito sotto la veste di circolo privato).

I beni, ubicati nei comuni di Montepaone e Davoli, il cui valore complessivo è stato stimato in circa 1 milione di euro, sono stati definitivamente acquisiti al patrimonio dello Stato.

 

 

‘Ndrangheta, operazione “Jonny”: 68 arresti, sequestrati beni per milioni di euro

Nel corso della notte, oltre 500 tra agenti della Polizia di Stato appartenenti alle Squadre mobile delle questure di Catanzaro e Crotone, carabinieri del Ros e del Reparto operativo – Nucleo investigativo di Catanzaro e finanzieri del Nucleo di polizia tributaria e della Compagnia di Crotone con il concorso dei rispetti uffici e comandi centrali, hanno tratto in arresto 68 persone, destinatarie di un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura di Catanzaro a carico di altrettante persone accusate di associazione di tipo mafioso, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, intestazione fittizia di beni, malversazione ai danni dello stato, truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e altri reati di natura fiscale, tutti aggravati dalla modalità mafiose.

Nel corso dell’ operazione, denominata “Jonny”, è stato eseguito, inoltre, il sequestro di beni il cui valore ammonta a diversi milioni di euro.

I provvedimenti, disposti dalla Direzione distrettuale antimafia guidata dal Procuratore capo Nicola Gratteri, a seguito di indagini coordinate dal Procuratore aggiunto Vincenzo Luberto, hanno smantellato la storica e potentissima cosca di ‘ndrangheta facente capo alla famiglia Arena – al centro di articolati traffici delittuosi nelle provincie di Catanzaro e Crotone.

Dalle investigazioni, oltre alle tradizionali dinamiche criminali legate alle estorsioni, capillarmente esercitate sul territorio catanzarese e su quello crotonese, è emerso che la cosca controllava, a fini di lucro, la gestione del centro di accoglienza per migranti di Isola Capo Rizzuto e coltivava ingenti interessi nelle attività legate al gioco ed alle scommesse.

I dettagli dell’ operazione saranno resi noti alle ore 11, nel corso di una conferenza stampa presso la Procura della Repubblica di Catanzaro, con la partecipazione del Procuratore Gratteri, del Procuratore Aggiunto Luberto e degli investigatori.

'Ndrangheta, operazione "Affari di famiglia": Salvatore Minniti ritorna in carcere

I carabinieri della Compagnia di Melito di Porto Salvo, diretti dal Capitano Gianluca Piccione, hanno tratto in arresto Salvatore Minniti.

L’uomo è ritenuto organico alla cosca Iamonte che opera a Melito di Porto Salvo (RC) e nei comuni vicini.

Nello specifico, i carabinieri della Stazione di Saline di Montebello Jonico, dopo aver raggiunto Minniti nei pressi della sua abitazione, gli hanno notificato un ordine di carcerazione per un residuo di pena.

Il reato contestato è quello di tentata estorsione continuata in concorso, aggravata dalle modalità mafiose.

Minniti è stato coinvolto nell'operazione “Affari di Famiglia” con la quale, nel febbraio del 2012, i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria diedero esecuzione al fermo di indiziato di delitto nei confronti di cinque persone appartenenti alla cosche di ‘ndrangheta dei “Ficara-Latella” e “Iamonte”, operanti nel “mandamento di Reggio” ed in particolare nei comuni di Reggio Calabria, Melito di Porto Salvo e Montebello Ionico.

Le investigazioni dell’epoca riuscirono a documentare l’infiltrazione pervasiva della ‘ndrangheta, nella sua espressione unitaria delle cosche operanti sul territorio, negli appalti per la realizzazione delle opere di ammodernamento e di messa in sicurezza della SS 106, nel tratto compreso tra Reggio Calabria e Melito di Porto Salvo.

Una volta arrestato, Minniti è stato tradotto presso la casa circondariale di Reggio Calabria dove rimarrà recluso per i prossimi 7 mesi e mezzo.

L’uomo infatti era stato condannato ad una pena complessiva di 4 anni e 4 mesi ed aveva già scontato 3 anni e mezzo di carcere.

  • Published in Cronaca
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