Attenzione
  • JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 992

Saccomanno (Lega): “Le polemiche non aiutano la giustizia”

"Le numerose polemiche degli ultimi giorni sulla giustizia e sulla magistratura italiana non aiutano a fare chiarezza e creano soltanto ulteriore confusione. La maggior parte dei magistrati sono persone per bene che, con il loro sacrificio e, a volte perdendo anche la vita, sono riusciti a mantenere in piedi un sistema disastrato. Così come in tutte le altre categorie, anche questa, paga lo scotto di una diminuzione della soglia etica e della percezione di una illegalità diffusa: i disonesti esistono ovunque. L’intervista di Luca Palamara ha scoperchiato un “sistema” illegale di gestione della giustizia che merita un evidente approfondimento sia dal lato disciplinare che penale, se verranno accertate condotte aventi natura di rilevanza illecita. Ma, a parte tale inaspettata situazione sulla quale, però, non può calare il silenzio come è successo finora, bisogna anche rilevare che vi sono tantissimi magistrati valorosi che, al di fuori di tale sistema, lavorano con impegno e sacrifici e tendono a “bonificare” zone finora mai lambite da adeguate indagini. Mi rivolgo ai tanti Nicola Gratteri che operano sul territorio con grande capacità e con l’unico intento di accertare la verità. Un esempio che deve portare i tantissimi magistrati giovani e meno giovani a svolgere la loro attività in modo serio, corretto e trasparente ed ognuno rispettando il proprio ruolo. Le polemiche nei confronti delle inchieste del Procuratore Gratteri sono del tutto sterili e, forse, anche strumentalizzate. Sta di fatto, però, che per la prima volta in Italia si è alzato il tiro e si sta cercando di ricostruire strani rapporti tra la politica, gli imprenditori e la criminalità organizzata. È importante precisare, però, che i PP.MM. svolgono indagini e ricostruiscono fatti, poi i giudici devono convalidarli o negarli. Certamente, bisogna separare la fase cautelare da quella di merito. Nella prima, la misura può essere confermata, modificata o anche annullata, ma si riferisce a dei parametri precisi: pericolo di fuga, inquinamento prove ecc.  Nella fase di merito, invece, si deve stabilire se un soggetto ha commesso determinati fatti. Ma, l’attenuazione della misura cautelare non annulla la fase di merito che dovrà, appunto, accertare l’esistenza o meno dei reati. Ed allora attendiamo l’esito delle sentenze e, nel frattempo, sosteniamo tutti assieme l’azione capillare e benemerita di tutti i Gratteri che difendono la nostra libertà. E sulle cosiddette toghe sporche che si vada avanti e, se del caso, si istituisca una Commissione Parlamentare d’inchiesta per comprendere cosa è successo e se tantissimi uffici direttivi siano stati adeguatamente coperti".

E' quanto si legge in una nota del commissario della Lega in Calabria, Giacomo Francesco Saccomanno.

  • Published in Politica

Deioce e certi giudici di oggi

Nel X secolo circa a. C., il popolo dei Medi (Nord attuale Iran) era messo malissimo, in pieno disordine statale. Il vuoto venne riempito, narra Erodoto, da un uomo saggio e autorevole, tale Deioce, cui i Medi si rivolgevano per ottenere giustizia.

Un bel giorno, Deioce disse ai Medi che, a forza di esercitare tale funzione, aveva trascurato i suoi affari; e i Medi gli assegnarono uno stipendio.

Un altro bel giorno, Deioce disse ai Medi che, nella medesima funzione, si era fatto più di un nemico, e rischiava la vita; e i Medi gli assegnarono una scorta armata.

Un terzo bel giorno, Deioce, con la scorta armata, fece un golpe, e divenne re assoluto. Ecco un chiaro esempio di dicastocrazia, ovvero potere politico dei giudici.

Ne potremmo addurre altri.

Nella Sardegna bizantina, c’erano quattro arconti con poteri anche giudiziari. Poi l’Impero si scordò dell’isola, e gli arconti divennero sovrani ereditari. La parola arconte venne tradotta in latino come giudice, e giudice fu un titolo esageratamente pari a re. Ricordiamo Nino Visconti (Purg. VIII), giudice di Gallura; e la giudicissa Eleonora d’Arborea, autrice del codice Carta de logu.

Insomma, nel vuoto dello Stato, i giudici divengono portatori di potere politico.

Successe lo stesso in Italia dagli anni 1970, per due motivi:
- Vuoto dello Stato, quando cadevano i governi Dc, Psi etc, ogni tre mesi e con caduta concordata;
- Ideologia giustizialista, cioè illusione democratica che la legge possa sostituire i valori religiosi, morali, etici e nazionali.

Sono stati però rari i casi di giudici esplicitamente passati alla politica; e, generalmente, fallimentari: Grasso, Ingroia, de Magistris, la Lo Moro…

Il potere di cui parlo non è che un giudice sia passato a fare l’assessore o il ministro; è che il potere giudiziario ha travalicato i suoi limiti, grazie alla facoltà di interpretare le leggi, invece di contentarsi di applicarle e basta.

Così abbiamo il giudice che, per sue buoniste convinzioni, libera lo spacciatore straniero clandestino, e di fatto gli permette di spacciare come “fonte di sostentamento”; e magari spera che il mascalzone si presenti micio micio a farsi processare quando, tra un secolo, ci sarà l’udienza! Ripiglialo! Cucù, sèttete!

Urge la riforma della Giustizia, cioè ricondurre i giudici a fare i giudici e basta; se no, aspettatevi un Deioce.

 

 

  • Published in Diorama

Tirocinanti giustizia, Laura Ferrara (M5S) interroga la Commissione europea

"Un futuro in bilico, quello dei tirocinanti degli Uffici giudiziari italiani dell’Ufficio per il Processo, che da sette anni proroga dopo proroga, si aggirano nei corridoi delle aule di giustizia, con tirocini pagati 400 euro al mese". 

È quanto afferma Laura Ferrara, eurodeputata del MoVimento 5 Stelle che su questa tematica interroga la Commissione europea.

"Lo Stato italiano aggira la legge all’interno degli stessi tribunali. Nelle cancellerie degli Uffici Giudiziari italiani dell’Ufficio per il Processo, sono in corso circa mille tirocini formativi, che anno dopo anno fanno seguito a contigui percorsi/tirocini di perfezionamento avviati dal Ministero di Giustizia italiano e svolti sempre dagli stessi tirocinanti, con uguali mansioni e presso gli stessi uffici giudiziari ministeriali o uffici affini. 

Il Ministero – continua la pentastellata – utilizza i tirocini al posto dei regolari contratti di lavoro. Niente contributi previdenziali, ferie, malattia, Tfr o tredicesima per queste persone, definite tirocinanti ma che svolgono in realtà una vera e propria attività lavorativa, spesso a centinaia di chilometri da casa, ma non beneficiando del sistema di tutela previdenziale, assistenziale ed economica proprio di un normale lavoratore. 

L'Europa deve aprire gli occhi di fronte a questa situazione paradossale, chiedo pertanto alla Commissione se questi tirocini siano  svolti in conformità ai principi introdotti con la Raccomandazione del 10 marzo 2014 del Consiglio, in particolare facendo riferimento alla qualità, alle condizioni di lavoro e alla durata ragionevole del tirocinio. 

Cosa c'è di formativo nell'ennessima proroga di un percorso per delle persone che già svolgono quella stessa attività da anni. - Si chiede la Ferrara – Se la Commissione è a conoscenza di questa farsa tutta italiana, ed ora attraverso la mia interrogazione lo è, dovrebbe dare concretezza al recentissimo “pilastro europeo dei diritti sociali” e porre fine a questo trattamento discriminatorio del Governo italiano".

 

 

  • Published in Politica

La Cgil in piazza a Roma a difesa dei precari della giustizia

Rispetto e lavoro vero per i precari della giustizia. Queste le rivendicazioni con le quali la Funzione pubblica Cgil stamani (28 giugno) è scesa in piazza a difesa dei tirocinanti della giustizia.

Il presidio si è tenuto a Roma, nei pressi del ministero di Giustizia, in largo Benedetto Cairoli. Sono più di duemila i lavoratori (ex cassintegrati, lavoratori in mobilità e disoccupati) che da sette anni svolgono il tirocinio formativo presso il ministero guidato da Andrea Orlando, in attesa di una contrattualizzazione.

Lavoratori a tutti gli effetti che, secondo la Fp Cgil, “svolgono il loro lavoro sotto una formula, quella del tirocinio formativo, utilizzata in modo improprio, che cela in realtà vere e proprie forme di lavoro subordinato. Lavoratori impegnati a colmare le oltre 9.000 carenze di organico del comparto, garantendo così la prosecuzione delle attività, ma con una retribuzione al di sotto della soglia sussistenza”. Un 'esercito di precari impegnati in attività “che, se venissero a mancare, comprometterebbero ulteriormente la già critica condizione della giustizia”.

La categoria dei lavoratori dei servizi pubblici della Cgil chiede dunque che, per questi precari della Giustizia, “si eviti la riproposizione dell'ennesima proroga dei tirocini, ricercando invece, su scala nazionale e regionale, soluzioni più eque e dignitose per l'intero bacino”.

Giustizia lumaca nel vibonese, l'amaro sfogo di un ex lavoratore

Riceviamo e pubblichiamo
"L’assetto organizzativo conseguente al recente processo di riordino del settore della Giustizia ha determinato un progressivo smantellamento di molti presidi giudiziari minori presenti sul territorio e un conseguente congestionamento dei Tribunali. Un provvedimento che, in particolare nel Vibonese, ha avuto un effetto domino devastante a discapito delle condizioni di molti cittadini che da anni cercano giustizia, ma che proprio per la grossa mole di procedimenti giudiziari che intasano il Tribunale di Vibo Valentia sono costretti ad attese eterne. Il tutto in un territorio in cui i rappresentanti politici – anche rispetto allo smantellamento dei presidi giudiziari, quali ad esempio le sedi dei Giudici di Pace – hanno saputo produrre nel tempo solo annunci fumosi, condannando ancor di più alla miseria assoluta interi nuclei familiari. È questo il caso di molti dei nostri assistiti, tra i quali vi è Raffaele Grillo, invalido civile con tre figli e moglie a carico, che da tre anni attende invano una sentenza che viene reiteratamente rinviata e del quale riportiamo un’emblematica lettera.

Mi chiamo Grillo Raffaele, ho 59 anni, e sono un lavoratore riservista  licenziato da circa quattro anni.

E sono anche disperato. 

Disperato perché da anni non lavoro e non ho la possibilità di mantenere me stesso e la mia famiglia e da anni sono in attesa di una giustizia che non arriva mai.

E questa è la mia storia che affido alla stampa ed agli organi di informazione perché le diano voce, perché la mia di voce non basta più, come non basta la fiducia in una giustizia che cessa di essere giusta, a prescindere dai provvedimenti che adotta e dalle sentenze che pronuncia, laddove ritarda, come nel mio caso, a dare risposte ai cittadini che sono costretti a chiederne l’intervento.

Una voce che spero porti dei cambiamenti in un mondo di sordi, o apparenti, tali quale quello in cui mi sembra ormai da anni di vivere, essendo rimaste senza esito le mie richieste ed i miei appelli e, con essi, le mie speranze.

Questi i fatti.

Lavoravo sin dal 2010 con una società di pulizie in virtù di un contratto di inserimento e di una pluralità di contratti a tempo determinato protrattisi oltre i termini massimi previsti dalla legge e che inoltre presentavano diverse altre illegittimità che a suo tempo avevano determinato la società datrice di lavoro, Gestione Servizi Integrati di Ivrea, di stipulare un accordo in sede sindacale con il sottoscritto riconoscendo la natura di contratto a tempo indeterminato del proprio rapporto pur di impedire l’altrimenti inevitabile contenzioso.             

Ciononostante la Ariete Servizi Integrati di Modugno, subentrata alla prima, decideva di non tener conto di niente non assumendo il sottoscritto che, pertanto, dal 31 luglio 2013, è ormai senza lavoro.

Esauritosi il periodo di fruizione della disoccupazione ordinaria sono ormai anni che non percepisco niente, risultando per di più praticamente impossibile per un uomo della mia età e nelle mie condizioni di salute trovare altra occupazione.

Ragion per cui la mia unica speranza era e rimane il giudizio tempestivamente iniziato presso la Sezione Lavoro del Tribunale di Vibo Valentia con ricorso depositato nel marzo del 2014.

Giudizio da cui ragionevolmente, ritenendo fondate le mie ragioni, mi aspetto molto confidando in una sentenza che possa ridare un po’ di luce e di colore alla mia vita e a quella dei miei familiari.      

Si può quindi immaginare il mio stato d’animo di fronte all’ulteriore rinvio della causa prevista per lo scorso 15 marzo 2017 comunicatomi dal mio legale di fiducia a causa, mi si riferisce, di una sospensione dell’attività della Sezione Lavoro.

Il tutto senza che nei tre anni pieni trascorsi dal momento del deposito del ricorso si sia mai riusciti a fare anche una sola udienza.

Di rinvio in rinvio infatti a distanza di tre anni ancora non si è avuta neanche una sola possibilità di discutere la causa.

In una occasione mancava il Giudice titolare, in un’altra era stato trasferito senza essere sostituito, in un’altra ancora si aspettava da un momento all’altro l’arrivo del nuovo Giudice.

 E dopo l’arrivo e l’insediamento, un altro rinvio perché il Giudice appena arrivato era stato già trasferito!!!!

Tutto vero e verificabile 

Oggi le ragioni dell’ulteriore rinvio (non si sa nemmeno a quando…) risiedono nella inagibilità, mi si dice, del nuovo Palazzo di Giustizia tanto che, con poche eccezioni, tutti i procedimenti di lavoro e previdenza sono stati sospesi anche se il problema del Giudice mancante, anche qui a quanto mi si riferisce, continua ad esserci.

Risultato: la mia causa, quella da cui dipende tutto il mio futuro e tutta la mia vita, e che pur poteva risolversi in una sola udienza non necessitando di prove particolari ma solo di un Giudice che la decidesse, a distanza di tre anni, naviga nel limbo o, per meglio dire, nella palude in cui la giustizia italiana in generale evidentemente si trova ed annaspa in maniera irreversibile.

A tutto danno dei cittadini.

Io non so se ci sono colpe e responsabilità specifiche e, se vi sono, non ne conosco gli autori.

Quello che so è che vorrei che qualcuno – qualcuno che conta e che può fare qualcosa - sentisse il mio che è un vero e proprio grido di dolore e di disperazione e mi desse una risposta.

Una risposta qualsiasi invece dell’assordante silenzio delle istituzioni che, incuranti della sofferenza di chi non chiede altro che di poter lavorare per vivere dignitosamente, fanno scivolare via il tempo senza dare un segno di vita e senza preoccuparsi minimamente del tormento che questo inutile stillicidio di giorni provoca a chi come aspetta di avere giustizia .

Sperando di averla.

Serra San Bruno, 30 aprile 2017 -   Raffaele Grillo"

 Slai Cobas – Serra San Bruno

  • Published in Cronaca

A Vibo fa freddo, vengono sospese le udienze ordinarie di lavoro del Tribunale

Il gelo, nel Vibonese, sembra poter incidere persino sui percorsi della Giustizia. Una comunicazione del presidente del Tribunale Alberto Nicola Filardo, in questo senso, è la plastica dimostrazione della situazione a queste latitudini. 

Per via del freddo che sta attanagliando la Calabria e considerato “il perdurante malfunzionamento dell’impianto di climatizzazione del palazzo di Giustizia sito in via Lacquari” (ed in attesa sull’intervento urgente che sarà eseguito dalla Provincia), sono state infatti sospese le udienze ordinarie di lavoro e di previdenza fissate dal 16 al 31 gennaio, mentre il processo “Black Money” riguardante gravi delitti di criminalità proseguirà nella sala al II piano del palazzo di Giustizia di corso Umberto I. Nello stesso stabile avranno poi luogo i più urgenti procedimenti di lavoro e di previdenza.

Giornali e toghe: la brutta storia del prete calabrese specchio di un cortocircuito

E' una turpe vicenda, comunque la si pensi e per le ragioni più diverse, quella di cui da poco più di una settimana è protagonista un sacerdote della Piana di Gioia Tauro. Del religioso si parla da giorni, lo hanno fatto in tanti, qualcuno anche a sproposito, perché al centro di una presunta brutta storia di sesso con ragazzini, prostituzione minorile, rapporti omosessuali a pagamento. Insomma, un procedimento penale con tutti gli ingredienti per far scattare, istintivamente, un moto di profondissima indignazione in chiunque sia venuto a conoscenza dei particolari di questa indagine.Quel che è successo dopo, però, desta più di una perplessità. In particolare, a convincere poco sono le decisioni, contraddittorie ed apparentemente illogiche dei magistrati fino al momento imbattutisi nel caso. Si tratta, infatti, di capire cosa sia vero di ciò che ci è stato raccontato all'inizio, con dovizia di dettagli, anche pruriginosi ed inutili ai fini di una corretta e completa informazione, e quanto sia rimasto dell'impostazione originaria concepita dagli organi inquirenti.  Inutile girare, con delicata diplomazia, attorno al nocciolo della questione: il 18 dicembre al sacerdote vengono strette le manette ai polsi e, sotto il peso gravoso di accuse pesantissime, viene accompagnato dietro le sbarre. Tre giorni più tardi, sette ore di interrogatorio sono sufficienti per permettere al magistrato competente di decidere, 24 ore dopo, di concedergli il beneficio dei domiciliari. A prescindere dal quadro indiziario alla base del mandato d'arresto, illustratoci in modo circostanziato dagli investigatori, colpisce un elemento essenziale: i reati addebitati al prete sarebbero stati commessi sfruttando il cellulare ed il personal computer, due strumenti il cui utilizzo, con la detenzione domiciliare, non gli è precluso.  Dunque, dove si è inceppata la macchina logica del buonsenso? Un affievolimento delle esigenze cautelari non è facilmente rintracciabile, alla luce della possibile reiterazione del reato che, come noto, costituisce uno degli elementi alla base della reclusione in carcere. Indipendentemente dal contenuto delle risposte e delle spiegazioni fornite in sede d'interrogatorio, è mai possibile che in un arco temporale così breve siano venute meno le ragioni alla base del provvedimento restrittivo che ne aveva disposto la carcerazione? Più di qualcosa non torna e, legittimamente, l'opinione pubblica rimane spiazzata assistendo al saliscendi delle montagne russe della giustizia italiana. In linea puramente teorica ed astratta in quanto non appare opportuno entrare nel merito del caso specifico, siamo ancorati  ad una biforcazione del pensiero che non prevede il percorso di terze vie: o prima è stato esageratamente gonfiato il contenuto dell'ordinanza sfociata nella sua cattura, e sarebbe imperdonabile, o dopo gli  è stato riservato, ingiustificatamente, un trattamento di favore. Non che la conduzione lineare dell'attività investigativo-giudiziaria rappresenti un problema sorto nell'ultima settimana, beninteso. Basti pensare al rapporto-scontro, perverso, tra politica e giustizia che accompagna il corso degli eventi italiani ormai da quasi un quarto di secolo. Sono trascorsi, infatti, circa 24 anni da quando la furia violenta di "Tangentopoli" sconquassò lo scenario che per decenni aveva favorito, piaccia o no, benessere e sviluppo in Italia. Nelle forme più diverse, esito delle alchimie tipiche della Prima Repubblica, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito Liberale, il Partito Repubblicano ed il Partito Socialdemocratico avevano garantito la solidità del sistema. Di quel delicatissimo equilibrio fra poteri, anche differenti da quello propriamente politico, nulla rimase davanti alla cieca violenza di quella sedicente rivoluzione giudiziaria. L'ubriacatura di massa, causata dall'irresponsabilità di magistrati, panorama informativo e forze politiche che da quel blocco erano rimaste escluse, produsse un conformista ed acritico pensiero unico al quale in pochi, pochissimi, ebbero il coraggio di opporsi. L'opinione pubblica era assoggettata ad un impazzimento simile a quello che muove le vigliacche azioni di chi si agita per entrare in guerre senza vie d'uscita, per approssimazione, impreparazione, superficialità di giudizio. Cosa sia rimasto di quella ventata giustizialista è ciò che siamo costretti ad avere sotto gli occhi tutti i giorni: le seconde, le terze e le quarte file della platea di clientes di un tempo che, liberatisi i posti più appetibili, si sono lanciati famelici sulle misere spoglie rimaste. Le macerie di allora sono state così gigantesche che la polvere ancora adesso impedisce di cogliere dettagli e sfumature di quel che successe allora. Avvisi di garanzia trasformati, nell'immaginario collettivo, in arresti; arresti che, per l'inciviltà di toghe e penne assetate di sangue, hanno assunto le sembianze di condanne. Può sembrare mera speculazione teorica o un nostalgico ricordo di tempi orma andati, ma il veleno inoculato allora nel corpo fragile della democrazia italiana scorre ancora. Il giustizialismo d'accatto, confortato dal protagonismo di una parte consistente della casta dei magistrati e dalla prezzolata demagogia dello sconquassato tessuto giornalistico, guida le forche agitate dai puri che, è sufficiente cambiare inquadratura, per osservarli in tutta la loro sporcizia morale. Silvio Berlusconi, maggior beneficiario di quel vuoto prodotto dal "Colpo di Stato" meglio noto come "Tangentopoli", all'origine del suo progetto era animato dal desiderio, oltre che dalla necessità, di dare una casa ai milioni di orfani del pentapartito. In seguito, ma questa è ancora cronaca e non ancora storia da osservare con freddo distacco, sappiamo bene quale sia stata la sua parabola. Contestualmente, i compagni di viaggio dell'ex Cavaliere, Umberto Bossi e Gianfranco Fini, null'altro hanno fatto, se non sistemarsi sotto l'albero colmo di frutti e raccogliere tutto quel che cadeva, senza nessun merito, senza nessuno sforzo, come ebbe a dire il mai troppo rimpianto Indro Montanelli. Sui temi della giustizia, tuttavia, i tre hanno solleticato, in modo diverso, gli istinti più beceri del popolo: da una parte il garantismo ad personam coltivato dall'imputato B., dall'altra la demagogia di chi ha "sventolato" cappi in Aula e prima ancora aveva ancora rivendicato con orgoglio il lancio di monetine contro Bettino Craxi davanti all'hotel Raphael. Non condividere l'idea che nel 2015 la situazione sia ulteriormente peggiorata è il sigillo alla malafede: sotto questo punto di vista le colpe abnormi di certa stampa sono devastanti, quasi pari a quelle dei "sacerdoti della giustizia". Un infinito, ininterrotto "dagli all'untore", se potente ed in vista ancora meglio. Provare a contrastare questa deriva è simile al tentativo di voler fermare il vento con le mani, ma poco importa perché la barbarie, anche per vicende delicatissime sul piano personale, di additare al pubblico ludibrio e tagliare teste in simboliche impiccagioni di piazza, è da criminali, senza se e senza ma. Quando poi l'obiettivo del linciaggio riveste cariche pubbliche o indossa una tonaca da prete, la schiuma di rabbia esce ancora più copiosa dagli angoli della bocca. In fondo, a chi importa se agendo in siffatto modo si ottiene un unico risultato: la morte del vivere civile. In Calabria e nel resto di quel mondo che vorrebbe inchinarsi solo alla autentica Giustizia ed alla autentica Verità combattere per una causa persa, o almeno mettersi di traverso, è scomodo, ma ne vale la pena: soprattutto quando anche soggetti che vantano un recente passato, a loro dire, "garantista", s'inchinano alle più bieche e squallide voglie vendicative. Tutelare la presunzione d'innocenza, a maggior ragione in una terra infestata (anche) dalla 'ndrangheta dovrebbe essere un faro capace di illuminare le menti, ma è diventata niente più che un inutile orpello da nascondere per non rischiare di essere confusi con i lupi voraci delle altrui debolezze. 

  • Published in Diorama

Novantasettenne fa causa per la pensione, ma gli fissano l'udienza nel 2018

Fa causa all'Inps per avere la pensione d'invalidità che gli è stata negata e gli fissano l'udienza nel 2018. Una fatto, che visti i tempi bibblici della giustizia italiana, non farebbe notizia se il protagonista non fosse un anziano signore di 97 anni. A fare ricorso alla Corte d'appello di Reggio Calabria, dopo la sentenza di primo grado, è stato, infatti, un vegliardo reggino, che si è visto fissare l'udienza tra tre anni. A quell'epoca l'anziano signore spera, almeno, di aver aver già superato la fatidica soglia dei cento anni.

 

Subscribe to this RSS feed