Attenzione
  • JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 992

Monsignor Morosini scrive ai giovani: "Sulle unioni civili non cedete al pensiero dominante"

Il Parlamento italiano ha iniziato la discussione e votazione in aula di una legge, che riguarda la famiglia e l’adozione dei figli. Una legge "che turba le nostre coscienze di credenti. Una legge che trova disorientati soprattutto voi più giovani, che sentite forti le due realtà: coerenza nella fede, apertura ai cambiamenti in atto nella società". L’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, scrive ai giovani della diocesi per “parlare con voi e aiutarvi a cercare la verità, a non dare per scontato che tutto ciò che si dice attorno a noi sia pura verità". Nella lunga lettera il presule calabrese invita i giovani a riflettere sui temi al centro del dibattito "in silenzio": "la verità si cerca in solitudine, nel profondo del cuore, dove le decisioni sono più autentiche e più motivate. Dobbiamo chiudere la porta sul vociare esterno: troppo chiasso, troppi rumori attorno a temi così vitali e capitali per il futuro della nostra società. Un accavallarsi di voci non sempre autentiche, non sempre libere, non sempre sincere. Non vi dico nulla di nuovo se vi esorto a stare attenti alle manipolazioni che i centri di poteri, occulti e meno occulti, tentano di fare delle vostre coscienze attraverso i media". Come pastore mons. Morosini invita a “fare leva sulla vostra libertà di adesione alla Chiesa che rappresento e della quale sono guida. La fede è libertà, anzi – spiega – la massima espressione della libertà dell’uomo. Ma proprio perché espressione di libertà, essa, una volta accolta ed accettata, esige fedeltà e coerenza”. La religione, evidenzia, non deve essere “un ufficio burocratico al quale rivolgersi per la soddisfazione di alcuni bisogni religiosi, legati al fattore culturale: “se avete scelto di credere e di aderire alla fede e alla chiesa cattolica, dovete agire di conseguenza”, scrive il presule che, richiamando i temi della discussione oggi in parlamento evidenzia che “non possiamo ignorare che Gesù nel Vangelo ha affermato il valore naturale del matrimonio, fondato sull’amore di un uomo e di una donna: un amore totale, esclusivo, indissolubile, aperto alla procreazione. Posizione ribadita da Papa Francesco e dal Patriarca ortodosso di Mosca Kirill. Chi professa la fede cristiana deve accettare tutto questo. Perciò tutte le altre unioni non possono essere accettate, se equiparate al matrimonio". "Non basta dire – scrive – che sono fondate anch’esse sull’amore di due persone. Il matrimonio per essere tale deve essere fondato su di un amore fecondo, capace cioè di procreare la vita. E non si può dire che è egualmente fecondo, se i contraenti, per avere figli, si affidano a pratiche riproduttive che sono contro natura e non esprimono il valore dell’intimità dell’amore, che rende capaci l’uomo e la donna di collaborare con Dio alla creazione della vita". Non c’è nulla da “eccepire che lo Stato legiferi in tal senso, regolando i rapporti tra persone che vogliono mettersi assieme”; ma va affermato con “chiarezza che questo riconoscimento non deve equiparare, in alcun modo e per qualunque titolo, tali unioni al matrimonio. Ciò non vuol dire negare diritti alle minoranze. Queste, però, non possono rivendicare diritti che li pongono fuori dell’ordine della natura”. E poi l’adozione dei figli: “noi crediamo che ad ogni bambino che nasce deve essere garantito un padre e una madre". "Sappiamo – continua il presule - che per disgrazia o per morte di uno dei genitori, un bimbo si possa trovare orfano di uno dei due genitori o di entrambi, e quindi affidato ad una o più persone, che possano prendersi cura di lui. Ma i casi eccezionali non devono essere presi a parametro per decidere di annullare lo scorrere ordinario della vita. Né si dica che è la scienza psicologica a sostenere come legittima e senza danni per il bimbo l’adozione da parte di due persone dello stesso sesso. Ci sono tanti altri, che, in nome della stessa scienza e con studi ben articolati, dicono il contrario". Nella lettera il presule calabresi si sofferma poi sulla maternità e paternità surrogate evidenziando che una volta dichiarata l’unione tra due persone dello stesso sesso alla pari del matrimonio naturale il rischio è la "rivendicazione" anche del diritto di avere un figlio, "ritornando alla natura della relazione uomo-donna, ma chiedendo la disponibilità materiale a pagamento o meno: l’utero in affitto, le banche dei semi. “Pensate che l’utero in affitto, la maternità surrogata ecc. siano moralmente accettabili dal punto di vista naturale? Pensate che la dignità della donna sia salvaguardata? Pensate che la sacralità della vita umana sia rispettata?", si chiede il presule che esiste “non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è moralmente lecito. La centralità della persona umana, la sua dignità, il suo 'benessere' esistenziale devono essere salvaguardati sempre".

Monsignor Morosini scrive alla scuola: tra rispetto del Creato e cultura dello scarto

Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, Arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, in occasione dell'avvio dell'anno scolastico, ha inviato un messaggio augurale rivolto ai dirigenti degli istituti, ai docenti, agli alunni, al personale amministrativo ed ai genitori degli alunni, di cui si riporta di seguito il testo integrale.

Conclusi i festeggiamenti in onore della Madonna della Consolazione, durante i quali mi sono ricordato di tutti voi, soprattutto lunedì, quando è suonata la prima campanella dell’anno, mi rivolgo a voi con questo messaggio per dirvi la mia vicinanza in occasione del nuovo anno scolastico 2015-2016. Vi raggiungo per esprimervi il mio augurio più sincero e la mia benedizione perché Dio faccia fruttificare, carissimi alunni, il vostro studio e, accanto a voi, il lavoro delle vostre comunità scolastiche. La scuola è l’istituzione attraverso la quale lo Stato, la famiglia, la società scommette tutto sul suo futuro, perché essa: è un’avventura esaltante alla scoperta del mistero che sottende ogni cosa; è un’occasione in cui la nostra umanità cresce accogliendo e sviluppando una tradizione che ci è consegnata e che deve diventare nostra per rendere migliore il nostro futuro; è un’opportunità di incontro, di conoscenza reciproca, di apprendimento della preziosa e difficile arte del dialogo e dell’accoglienza dell’altro, diverso da noi, che diventa attraverso il dialogo e lo scambio umano e culturale, una grande risorsa per crescere. È la grande sfida dell’educazione. In questo cammino di conoscenza mi permetto di segnalare e di proporre, per quest’anno, almeno come supporto all’insegnamento della Religione, la riflessione sul contributo prezioso che Papa Francesco ci ha voluto donare con l’enciclica "Laudato Sii". Essa segnala concretamente le grandi problematiche del nostro tempo: l’inquinamento, il clima come bene comune, il tesoro prezioso dell’acqua, la perdita della biodiversità, il deterioramento della qualità della vita umana, l’iniquità planetaria, con la finalità di prendere coscienza della nostra responsabilità davanti al creato. Voglio sottolinearvi in modo particolare la cultura dello scarto, alla cui attenzione Papa Francesco sta dedicando grande parte del suo insegnamento. Dinanzi al fenomeno dell’immigrazione, dinanzi a tanta gente che fugge dalla guerra, dalla violenza e dalla povertà, dobbiamo riflettere veramente su questa cultura. Un invito caloroso agli insegnanti di religione e a tutti voi che avete chiesto di avvalervi di questo insegnamento, a non sciupare questa occasione di crescita umana, culturale e morale. Miei cari, invito tutti a collaborare alla grande opera dell’educazione, realizzando un’alleanza salda tra scuola, famiglia, giovani e ragazzi. L’educazione è opera comunitaria e richiede l’impegno di donne e uomini di buona volontà. Con questi auspici, auguro ogni bene e invio per chi crede e la gradisce la benedizione di Dio.

 

Omelia di Monsignor Morosini: "A Reggio i problemi di sempre, nulla cambia"

Di seguito il testo integrale dell'omelia pronunciata stamattina in Cattedrale da Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, Arcivescovo dell'Arcidiocesi Reggio-Bova, in occasione del Pontificale della Consolazione.

Miei cari fratelli,

ancora una volta siamo sollecitati dalla circostanza della festa di Maria Madre della Consolazione a riflettere su come ci interpella, attraverso la fede, il tema cristiano della consolazione, che è componente fondamentale misericordia. Consolazione e misericordia sono due modi diversi di dire Dio nella Bibbia e costituiscono entrambi l’impegno missionario della Chiesa, chiamata e inviata a parlare di Dio all’uomo. Tra poco, introducendo con il prefazio la preghiera eucaristica, io pregherò così: Ora assunta in cielo, Maria soccorre e consola con materno amore quanti la invocano fiduciosi di questa valle di lacrime. Siamo sollecitati a relazionarci con la realtà del nostro mondo e della nostra città, per individuare con Maria le lacrime che in essa si versano per asciugarle. È questo il grande impegno di fede per chi vuole celebrare la festa cristianamente. Il passaggio del Quadro della Madonna per le strade della nostra città, è come una possibilità, mi si lasci passare il termine, che noi diamo a Maria di guardare all’interno della nostra città, nei suoi lati più intimi e forse più oscuri, bisognosi di riscatto e di redenzione. Abbiamo ascoltato alcuni passi della Bibbia attraverso i quali la Chiesa ci fa meditare sul tema della consolazione, azione dello Spirito Santo riversato su Cristo e  dalla Chiesa oggi riversato sui seguaci di Cristo, perché svolgere la missione di consolare gli afflitti di oggi. Mi piace sintetizzare il contenuto di queste letture con un invito che il profeta Isaia fa al popolo in nome di Dio: “Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità” (Is 40. 1-2) Come vorrei fosse questo il grido di speranza oggi per la nostra città. Poter dire ad essa: è finita la tua schiavitù; la liberazione da tutti i tuoi mali. Perché questo dovrebbe essere il senso di una festa religiosa, al di là di ogni apparato esterno: la liberazione dal male in nome di Dio: lo spirito del Signore è su ciascuno di noi, battezzato e inviato a svolgere la stessa missione di Cristo, che è stata quella di consolare tutti gli afflitti e proclamare la liberazione. Questa è stata la solenne affermazione di S. Paolo: Dio ci consola in ogni nostra tribolazione perché anche noi possiamo consolare quanti attorno a noi vivono nell’afflizione. Miei cari, dobbiamo assumere questa sollecitazione alla consolazione, che ci viene dalla Parola di Dio, come liberazione da ogni forma di schiavitù, morale e materiale, impegnando non solo l’emotività delle parole dolci e affettuose, ma compiendo invece gesti “politici” e profetici di solidarietà (politici nel senso di impegno e di amore verso la  polis, ossia, in definitiva, verso l'uomo, ogni uomo!). Solo così i contorni culturali, sociali e devozionali che avvolgono la festa religiosa del patrono religioso di una realtà civile, non si riducono solo ad un’eredità, bella quanto si vuole, ma  anche fatalmente vuota, perché riverbero solo di un passato culturale. Tutti dobbiamo cercare con umiltà e sincerità, nel rispetto della verità, di dare contenuto ad affermazioni che ripetiamo senza forse badarci: celebriamo la festa della patrona di Reggio. Consolate il mio popolo. Il pensiero va in questo momento alla tragedia dell’immigrazione, che il porto della nostra città ha dovuto affrontare a drammatiche scadenze, ogni qual volta avveniva uno sbarco a qualunque ora del giorno e della notte. La città ha saputo rispondere con dedizione e amore a questa sfida attraverso una fattiva collaborazione tra istituzioni e volontari, cattolici e non cattolici, che ha reso ammirevole, agli occhi di tutti, la prima accoglienza di tanti disperati. È un dono che noi credenti vogliamo offrire a Maria. Ai perseguitati politici e agli immigrati è stata offerta in nome di Gesù Cristo e del suo Vangelo, almeno da parte cristiana, quella misericordia che è dono assoluto dell’amore di Dio. È stato dimostrato ancora una volta che la nostra società, pur disponendo di un sistema sociale ben funzionante, non può cavarsela senza la misericordia dei cuori generosi, che è come fondamento e  parte innovativa e motivazionale della giustizia. La preoccupazione è che la consolazione della prima accoglienza non abbia trovato seguito con un dignitoso inserimento nella società. Consolate il mio popolo. Ma l’attenzione agli immigrati non può farci perdere quella verso i nostri concittadini, anch’essi bisognosi di aiuto e di assistenza. La pietà verso l’immane tragedia dell’esodo senza fine di queste migliaia di persone, che fuggono dalla povertà e dalla guerra, potrebbe farci dimenticare le tragedie della nostra gente, registrate quotidianamente dai Centri di Ascolto delle nostre sedi Caritas. Voglio farmi interprete del bisogno di consolazione di questa nostra gente, anche se consapevole di poter essere frainteso. È drammatico assistere ad una politica di tagli continui in ogni settore dell’apparato economico e sociale, che stanno facendo della nostra Calabria un pezzo di terra appeso solo con un filo al resto dell’Italia: tagli nei trasporti aerei e ferroviari, tagli nella sanità, tagli nell’apparato amministrativo con continue perdite di posti di lavoro e con infrastrutture alcune volte da Terzo Mondo.  Ancora una volta il rapporto Svimez ci ha collocati all’ultimo posto. Denunciare questa difficile situazione non è populismo o demagogia: è annunciare, gridandolo, se fosse necessario, il bisogno di dignità e di consolazione che trasuda dalla vita e dal cuore della nostra gente! Come non ricordare lo stato di sofferenza di tante strutture di assistenza e di accoglienza, che non ricevono quanto è dovuto dalle istituzioni e sono abbandonate a loro stesse, abbandonate ad arrangiarsi per continuare a prestare il loro servizio agli ultimi e ai meno fortunati nella vita? Come non ricordare il problema della casa e del salario minimo che manca a molti, mentre la soglia di povertà di tante nostre famiglie aumenta paurosamente e si fa sempre più insopportabile? Come non pensare ai nostri giovani, spesso quelli più capaci e dotati, che abbandonano la nostra terra arricchendo altre terre e impoverendo sempre più la nostra? Consolate il mio popolo. Riascoltando la prima lettura, che parla dello Spirito che si è riversato sul consacrato, ho pensato a tutte le volte che ascolto questa pagina della Bibbia amministrando il Sacramento  della cresima. Lo Spirito del Signore è su di me e mi ha mandato. E penso alle centinaia di giovani sui quali invoco questo Spirito, che segno con il Crisma, ai quali chiedo di rinunciare al peccato e di fare la scelta preferenziale di Gesù Cristo e del suo Vangelo, e dai quali ricevo l’assenso: si rinuncio, si credo. Ma, se mi guardo attorno, vedo i problemi di sempre della nostra città e della nostra terra. Nulla cambia; l’atto religioso non è penetrato nell’animo e non l’ha cambiato; è rimasto lo stesso. In più ha solo un pezzo di carta che lo abilita ad altro rito, ad altro pezzo di carta. Poveri sacramenti! Che brutta fine fanno in alcuni! Abbiamo davanti la progressiva scristianizzazione, il pensiero secolare che si sta infiltrando dappertutto, la corruzione diffusa, l’odio sociale e politico, la deriva della maldicenza o della distorsione della verità, la droga con il triste primato della Calabria in materia, la malavita organizzata, la ‘ndrangheta, con il primato che abbiamo raggiunto in essa di aver sorpassato le altre mafie: tutte queste cose  sono davanti a noi a ricordarci quanto siamo lontani dal Vangelo di Gesù Cristo, quanto sia opportuno, se non addirittura urgente, ridare senso ad un patronato religioso sulla città. Maria, nostra Patrona può essere contenta di ciò? Ci sarebbe da versare lacrime su una ritualità cristiana ormai senza senso. Si scelga pure la strada che si vuole per dare senso alla propria vita, ma non pretendiamo di far incrociare la strada che scegliamo con quella cristiana. Ma noi non cederemo mai  alla tentazione di sterili piagnistei o di pericolosi pessimismi, per quanto realistici! Non lo faremo in nome della nostra fede! Non lo faremo perché sentiamo nelle nostre vene la forza della speranza! Non lo faremo per amore della nostra gente, la più semplice, la quale, forse, proprio nella semplicità che la contraddistingue, capisce di più le implicanze del patronato della Vergine per la vita. Non lo faremo per tutti quei bravi cristiani che amano veramente la Madonna e vogliono accogliere il suo invito a seguire Gesù. Non lo faremo per tutte quella famiglie che nelle parrocchie hanno preso con impegno la trasmissione della fede. Non lo faremo per tutti i giovani dei nostri gruppi parrocchiali che credono ancora nella proposta educativa della Chiesa. Non lo faremo per tutti quei volontari che nelle iniziative delle Caritas diocesana e parrocchiali si aprono alla solidarietà verso gli ultimi. Non lo faremo soprattutto noi, miei cari sacerdoti-diaconi-religosi, che, pur con i nostri limiti, abbiamo consacrato la vita per la causa del Vangelo. Non lo faremo perché tutti  amiamo le sorti di questa città e tutti, insieme, lavoreremo, come stiamo facendo, per la sua rinascita, per la soluzione dei problemi che la attraversano, i problemi veri, reali, quelli che sono sotto gli occhi di chi "respira" il profumo e la fatica del nostro popolo! Si, miei cari: oggi per questa nostra città noi accettiamo l’invito del Signore ad annunciare la buona notizia della consolazione: consolate il mio popolo! E lo facciamo forti delle parole dell’Apostolo: la nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda. Questa speranza trae forza dalla promessa del Signore: non vi lascerò orfani! Lo facciamo con il rinnovato impegno della nostra Chiesa diocesana, presbiteri e laici, a ripartire con entusiasmo nel nostro servizio pastorale, impegnandoci nuovamente a raccontare la fede, quella fede nella quale abbiamo trovato la nostra gioia e che ci dà forza e ci sostiene nelle prove della vita. Coraggio, allora, amata comunità ecclesiale che sei in Reggio Bova! Coraggio amata città di Reggio! È per te, come ho detto qualche giorno fa, la parola del Signore "effatà", cioè l'invito ad aprirti alla speranza che non delude, alla consolazione che sostiene l'impegno a ripartire! In questa gara a fare il bene, ed a farlo per bene ed in nome del Bene, c'è posto per tutti! La nostra celeste Patrona ci assicura che Cristo e il suo Vangelo non saranno mai sradicati dalla società. Cristo rimarrà sempre vivo e presente fra noi, anche se, talvolta, facciamo fatica a riconoscerlo. Sarà la sua presenza silenziosa e nascosta che darà consolazione alla nostra chiesa, alla nostra città con il dono di quella pace, che il mondo non può dare. A noi, carissimi sacerdoti e laici impegnati, la missione di farlo riscoprire anzitutto con la testimonianza della nostra vita e poi con l’annunzio fedele. Anche quest’anno noi vogliamo celebrare così la festa della Madonna della Consolazione, nostra patrona: all’insegna di questa speranza. Accogliamo da lei le parole rassicuranti del Vangelo: Non sia tentato il vostro cuore e non abbiate timore!

 

Riflessioni di un giovane reggino sul messaggio di Monsignor Morosini: "Coraggioso e sconvolgente"

Ospitiamo in questo spazio le riflessioni, che riportiamo integralmente, di un giovane cittadino di Reggio Calabria, Giorgio Arconte, in merito al contenuto del messaggio rivolto venerdì dall'Arcivescovo dell'Arcidiocesi Reggio-Bova, Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, alla vigilia delle celebrazioni Mariane.

"In occasione delle festività mariane reggine, il nostro Arcivescovo, monsignor Morosini, in un video ha lanciato un messaggio forte, sconvolgente, provocatorio e che ci invita a riflettere. Da buon pastore si rivolge al suo gregge, ma il messaggio è così forte che è impossibile restare indifferenti, anche se non si è appartenenti alla sua comunità cristiana. Personalmente io mi sono sentito molto scosso dalle sue parole, sia da cattolico sia da persona che vive l’attuale società. Una società non semplicemente ascrivibile a quella reggina, ma che bisogna estendere a tutta la società europea che sta vivendo uno dei suoi tramonti. Proverò, quindi, con molta umiltà, e ringraziando chi mi ospita, a cercare di rispondere allo stimolo lanciato da Morosini nella speranza che si animi un dibattito molto più profondo di queste mie semplici riflessioni, ma anche superiore alla banale risposta di un sindaco che non riesce ad andare oltre ad uno slogan monotono e senza contenuti. "Ma in tempi in cui assistiamo ad una secolarizzazione e scristianizzazione galoppante, ha senso festeggiare un patronato religioso?” Una domanda che può essere riscritta anche così: che tipo di società stiamo costruendo? La mia risposta è: sì, ha un senso continuare a festeggiare un patronato religioso! Sia chiaro, il mio si non è semplicemente frutto del legame con una tradizione, non sarebbe un sì. Il mio sì è dettato da un altro motivo che è quello di "tenersi in piedi in un mondo di rovine", per dirla alla Julius Evola. Non si può cedere alle tendenze che stanno attraversando questo mondo in quest’epoca e rintanarsi nelle proprie sacrestie. Questo atteggiamento significherebbe celebrare un requiem aeternam Deo e trasformare le chiese in "sepolcri di Dio" come Nietzsche aveva immaginato/profetizzato nel suo "La Gaia Scienza". Piuttosto, come spesso lo stesso Morosini ricorda nelle sue omelie, bisogna opporre quella pacifica resistenza della testimonianza sull’esempio ed il coraggio delle prime comunità cristiane. Queste, infatti, vivevano in una società non solo non cristiana, ma addirittura ostile tanto da richiedere il sacrificio della vita. Eppure, con la forza della loro fede, i primi cristiani non si sono mai piegati al mondo. Anzi, è il mondo ad essersi piegato, tanto che l’Europa per secoli si è lasciata "cristianizzare" rivoluzionando così il pensiero dell’Uomo e l’ordine delle società. Una storia già scritta e che oggi, come un ricorso, va riscritta. A differenza di duemila anni fa, però, oggi bisogna confrontarsi con una società che ha abbandonato Dio. Provo a spiegarmi utilizzando le parole del cardinale Robert Sarah nel suo ultimo libro "Dio o niente" in cui ci dice che "L’allontanamento da Dio non è il frutto di un ragionamento, ma di una volontà di staccarsi da Lui. […] L’uomo non vuole più riflettere sul suo rapporto con Dio, perché vuole diventare Dio lui stesso. Il suo modello è Prometeo".  Questa volontà, ci spiega sempre il cardinale Sarah, "trova la sua principale origine nell’individualismo esacerbato dell’uomo europeo. L’individuo-re, che aspira sempre di più a una forma di autonomia o d’indipendenza assoluta, tende alla dimenticanza di Dio. Sul piano morale, questa ricerca di libertà assoluta implica un progressivo e indistinto rifiuto delle regole e dei principi etici. L’universo individualista diventa così centrato unicamente sulla persona che non accetta più alcun (limite, nda)". Non c’è dubbio che oggi l’Europa e tutto il cosiddetto Occidente stiano abbandonando la loro dimensione sociale in favore di un nuovo volto fortemente individualista, dove il soggetto-Uomo perde il suo carattere di persona-sociale per trasformarsi in un atomo-individuo. Ecco perché la famiglia oggi sta subendo un violento attacco. Usando un’espressione di Diego Fusaro, filosofo contemporaneo marxista, "famiglia vuol dire comunità: vuol dire relazione non permeabile dal nesso mercantile, vuol dire solidarietà e gratuità, donatività e altruismo, negazione dell'individualismo oggi imperante. Per questo il capitale mira a distruggere la famiglia: esso non tollera comunità e vuole vedere ovunque sempre e solo atomi consumistici. Nell’odierna "notte del mondo" (Heidegger) del monoteismo del mercato e del fanatismo dell’economia, la famiglia, ove ancora esista, costituisce un’eroica forma di resistenza all’esiziale dialettica di sviluppo del capitalismo. Finché vi è famiglia, vi è comunità: e finché vi è comunità, vi è speranza". E io aggiungo che finché c’è comunità vi è anche un’identità. La famiglia è la cellula fondamentale di ogni tipo di comunità: "Tu nasci ed hai un padre ed una madre” (Dolce e Gabbana). Ma oggi la famiglia è il nemico numero uno del mercato proprio per il suo carattere essenzialmente sociale, identitario ed anti-individualista, quindi anti-mercantilista, e la cultura gender è attualmente lo sforzo ideologico più grosso che si sta compiendo per distruggere le basi antropologiche della nostra civiltà. Sempre Fusaro ci spiega come "l’ideologia mondialista gender mira alla creazione e all’esportazione di un nuovo modello antropologico, pienamente funzionale al capitalismo dilagante: l’individuo senza identità, isolato, infinitamente manipolabile, senza spessore culturale, puro prodotto delle strategie della manipolazione". Una grande sfida. E rispetto a questa sfida la Chiesa moderna ha una grossa responsabilità alla quale non può sfuggire. In un momento in cui tutte le istituzioni civili sono fragili solo l’autorità morale della Chiesa può essere luce per l’Uomo. Lo fu alla caduta dell’impero romano, deve tornare ad esserlo ancora oggi. Ricorsi storici, come si diceva all’inizio. E allora questo è il senso delle celebrazioni mariane in una società scristianizzata: una coraggiosa testimonianza, una fiaccola che arde fra la gente e scalda i cuori nel freddo dell’odierna "notte del mondo". Intorno al quadro della Madonna della Consolazione, come fosse una mamma, da secoli si riunisce la città di Reggio. Ed in una città completamente allo sbando come quella di Reggio questa mamma è un punto di riferimento sociale ed identitario irrinunciabile. Vorrei continuare perché monsignor Morosini con coraggio ha aperto un dibattito davvero ampio e che meriterebbe libri di approfondimento. Ma non è possibile. Rinnovo allora il mio ringraziamento a chi ha voluto ospitare questo mio pensiero e chiedo scusa per essermi dilungato troppo. Chiudo con l’auspicio che tutte le forze culturali della città di Reggio, tutti i carismi della chiesa cattolica reggina e tutte le confessioni presenti in città, in particolar modo le tradizioni cristiane non cattoliche, si lascino spontaneamente coinvolgere in questo dibattito e possano dare un contributo positivo e propositivo per rispondere alla domanda "che tipo di società stiamo costruendo?". 

 

Folla oceanica per la processione della Sacra Effige della Madonna della Consolazione

Come ogni anno, dal lontanissimo 1636, una folla oceanica ha avvolto di amore e devozione la Sacra Effige della Madonna della Consolazione accompagnandola nel "viaggio" che, da tradizione, il secondo sabato di settembre la conduce dalla Basilica dell'Eremo alla Cattedrale di Reggio Calabria. Un appuntamento che nella storia si è sempre ripetuto, a prescindere dagli eventi, anche drammaticamente tragici, che si sono susseguiti nel corso dei secoli. Terminata la discesa lungo via Cardinale Portanova, portata a braccio dagli encomiabili portatori della Vara, nel punto esatto in cui la strada si incrocia con Viale Amendola, il Quadro è stato affidato all'Arcivescovo di Reggio Calabria, Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini. Dopo aver attraversato quasi per intero il Corso Garibaldi è entrata trionfalmente nel Duomo dove dimorerà, meta quotidiana ed ininterrotta di fedeli, fino al 22 novembre. 

L'Arcivescovo Morosini non assolve Falcomatà: "Incompatibili festeggiamenti religiosi e registro delle unioni civili"

Sono ammonimenti che non ammettono repliche, una reprimenda che soffoca qualsiasi giustificazione si tenti di abbozzare: Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, Arcivescovo dell'Arcidiocesi di Reggio-Bova, ha utilizzato lo strumento del videomessaggio per stigmatizzare con la forza che gli deriva dalla fede l'ambiguità e l'ipocrisia imperanti nel tessuto sociale e, in particolare, nella città capoluogo. L'avvio dei festeggiamenti in onore della Madonna della Consolazione è stato considerato, dall'alto prelato, il momento più propizio per togliersi i sassolini accumulatisi nelle scarpe in questi mesi. Il senso delle frasi del Monsignore non lasciano spiraglio alcuno ad interpretazioni ambigue: "In tempi in cui noi assistiamo ad una secolarizzazione e scristianizzazione galoppante, ha senso festeggiare un patronato religioso? Ha senso celebrare il santo patrono in uno stato, in una città che ormai si va sempre più organizzando in una maniera laica, diciamolo pure, in maniera scristianizzata?" Domande retoriche a cui nessuno, in buona fede, può rispondere senza rischiare di incappare nella buccia di banana della menzogna. L'Arcivescovo, proprio perché chiunque intenda, mette i piedi nel piatto e, sfrondando il pensiero da ogni elemento di debole fronzolo, alza il velo: "Che senso ha che una città, che si vuole organizzare in una maniera laica, festeggi le ricorrenze religiose se poi fa leggi che sono contrarie alla Chiesa? Che senso ha il patronato religioso con il registro delle unioni civili? Che senso ha il patronato della Madonna con la visione della famiglia che oggi sta prendendo piede e con la cultura gender? Cosa ha che fare con la corruzione e la ndrangheta che esistono dappertutto".

Lettera dell'Arcivescovo Morosini ai carcerati: "Pentitevi e collaborate con lo Stato"

Cogliendo spunto dal suicidio di Giuseppe Panuccio, detenuto nel carcere di Arghillà, a Reggio Calabria, Monsignor Giuseppe Fiorini, Arcivescovo di Reggio Calabria-Bova ha ritenuto opportuno scrivere un messaggio rivolto ai reclusi. Di seguito il testo integrale della lettera nella quale l'alto prelato sollecita i destinatari del documento a pentirsi, rigettare definitivamente le attività delinquenziali e collaborare con lo Stato

Carissimi fratelli,

avevo pensato di scrivervi questa lettera in ottobre per annunziarvi le iniziative che con i vostri Cappellani prenderemo per il prossimo Giubileo della Misericordia, indetto da Papa Francesco e che, per l’appunto, inizierà il prossimo 8 dicembre. La triste vicenda del suicidio, l’altro giorno, nel Carcere di Arghillà, mi ha spinto a farlo subito. Solo qualche commento è stato fatto su quella morte, quasi fosse stata una morte naturale. Dinanzi a quella salma Chiesa e Società abbiamo raccolto un fallimento della nostra azione nelle Carceri. La disperazione ha prevalso sulla certezza della misericordia e del perdono.

Vi scrivo, pertanto, per darvi speranza.

Con la celebrazione di questo Giubileo il Papa ha voluto ancora una volta presentare il volto materno della Chiesa, che, a sua volta rivela quello misericordioso di Dio. Scrive Papa Francesco nel documento di indizione del Giubileo: L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa ‘vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia’. So quanto sia difficile aprire con voi e su di voi un discorso sulla misericordia, in un contesto culturale e mediatico esasperato da un concetto di giustizia, che alcune volte ha solo il sapore amaro e sterile della vendetta. È lo stesso Papa che lo afferma citando le parole di S. Giovanni Paolo II: La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra (cfr Gen 1,28). Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia. Ma, a costo di essere frainteso, io voglio farlo, richiamandovi alla mente alcuni valori e impegni cristiani, che dovranno essere vissuti in questo prossimo Giubileo della misericordia. Lo faccio nella prospettiva di offrire a tutti l’occasione della misericordia, secondo quanto scrive il Papa: La parola del perdono possa giungere a tutti e la chiamata a sperimentare la misericordia non lasci nessuno indifferente. Il mio invito alla conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita.

1. La misericordia di Dio è speranza che apre alla vita non alla morte.

La rivelazione cristiana di Dio, che mostra la sua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, vi deve accompagnare sempre, soprattutto nei momenti più difficili della vostra detenzione, durante i quali voi ripensate in modo forse drammatico la vostra vita. Dio vuole il pentimento che redime e dà pace, non il rimorso che distrugge la speranza ed uccide. Il Giubileo della misericordia vuole ricordare anche a voi che c’è misericordia e perdono per ogni colpa, se si torna a Dio veramente pentiti e disposti a cambiare vita. Non imitate Giuda, ma Pietro, che, dopo aver preso coscienza di averlo tradito, pianse amaramente il suo peccato e chiese perdono a Gesù, che glielo ha concesso.

2. Ma che cosa è il pentimento?

È l’atto con il quale si prende coscienza delle proprie colpe e si decide di cambiare. Ci si accorge, ad esempio, che è stato un errore aver usato violenza fisica o morale ad una persona, o aver danneggiato il bene comune o recato danno in qualsivoglia modo alla società o ai singoli. Chi ha preso coscienza di ciò dice: ho sbagliato; mi pento; riparo.

3. A chi dobbiamo consegnare il nostro pentimento?

A Dio soprattutto, mediante la Chiesa, nel sacramento della confessione. Gesù ci ha lasciato questo sacramento per dirci che nulla è perduto nella vita e sempre si può ricominciare. Basta volerlo; basta decidersi; basta ripartire. Lui è sempre pronto per accoglierci.

E poi ai fratelli. Quando la nostra colpa ha toccato i diritti di un altro, della collettività, dello Stato; quando il nostro peccato è stato causa di scandalo per altri, di paura, di violenza, noi siamo tenuti a riparare nei confronti anche degli altri. Dio ci perdona, ma a noi resta l’obbligo della riparazione ai fratelli. Se abbiamo peccato contro il fratello, dobbiamo consegnare anche a lui la nostra decisione di pentimento.

4. Come dobbiamo riparare?

Qui il discorso diventa più difficile, ma non impossibile, perché ci sono danni arrecati che non sempre possono esser valutati con i beni materiali. Chi può ripagare l’uccisione di una persona? Chi può valutare e pesare il dolore arrecato ad un uomo? Certe ferite sono così profonde che non basta una vita per rimarginarle. Possiamo però tentare qualche cosa, che faccia apparire la nostra buona volontà e il pentimento sopravvenuto.

5. Riconoscere pubblicamente la colpa commessa e chiedere perdono

È il primo passo verso la riparazione. Bisogna avere il coraggio di arrivare a fare anche una pubblica dichiarazione, se è necessario ed educativo per gli altri, per riconoscere i propri errori, per dissociarsi da associazioni malavitose. Oppure si può scrivere una pubblica lettera alla famiglia che è stata oltraggiata e dire: riconosco di avere sbagliato, chiedo perdono, voglio riparare. È un segnale forte inviato alla famiglia offesa e alla società intera, educativo anche per i giovani. soprattutto per quelli caduti già nelle maglie della delinquenza.

6. La restituzione

Bisogna restituire tutto ciò di cui ci si è ingiustamente impossessati, con la violenza, con lo spaccio di droga, con le tangenti, con le intimidazioni, con la truffa e la corruzione. Zaccheo nel Vangelo si è convertito ed ha restituito i soldi presi ingiustamente, lo ha fatto addirittura in maniera sovrabbondante.

7. La dissociazione

Questo passo deve essere compiuto da chi è coinvolto in associazioni delinquenziali, come la ‘Ndrangheta e in genere la mafia; da chi ha partecipato a strutture politiche affaristiche. Quando si è consapevoli di aver fatto passi sbagliati, che hanno inciso negativamente sulla società, bisogna manifestare pubblicamente, soprattutto con la testimonianza della vita, la propria dissociazione da ogni aggregazione illegale. Bisogna manifestare la propria volontà di riconquistare la dignità di uomo. Fare tutto questo è di esempio per i vostri figli e può spingere anche altri a compiere lo stesso gesto. Saranno gli stessi vostri figli a beneficiare della vostra dissociazione e a sentirsi liberi da un peso gravoso, qual è il disonore.

8. La collaborazione con lo Stato

È un impegno morale auspicabile, ricordando che nessuno è tenuto ad accusare se stesso o gli altri. Occorre, però, tener presente che la propria coscienza deve spingere a questa collaborazione quando si è certi che la criminalità può colpire ancora, quando un innocente paga ingiustamente colpe che altri hanno commesso, quando bisogna garantire la vita ad altre persone. In questi casi è molto importante il dialogo spirituale con il sacerdote.

9. Esortazione a parenti ed amici

Un grande segno di conversione è quello di scrivere ai propri parenti (figli, genitori, zii, nipoti ecc.) che sono fuori dal carcere e che sono finiti anch’essi nella rete della criminalità organizzata o vivono nell’illegalità, senza aver avuto ancora problemi con la giustizia: bisogna invitarli a correggere la loro vita per non finire anch’essi nel vicolo cieco del peccato, che spegne la vita. Anche per loro è scoccata l’ora della misericordia. Esortateli ad approfittarne.

10. La dialettica tra giustizia e misericordia

La misericordia di Dio, espressa con il perdono sacramentale, non ha nulla a che fare con la giustizia dello Stato e dei tribunali. La misericordia di Dio elargita dalla Chiesa attraverso il sacramento della riconciliazione non cancella la pena da scontare per le colpe commesse. Anzi, la paziente accettazione della punizione inflitta dallo Stato, che ha il fine della rieducazione, è uno dei segni della vera conversione.

11. La misericordia nella prospettiva anche della giustizia terrena

Quanto sia difficile questo tema, anche nell’amministrazione della giustizia terrena, a nessuno sfugge. Fin dove può estendersi la misericordia senza ledere la giustizia? Fino a quando la giustizia deve essere certa senza mancare di misericordia? S. Francesco di Paola dava queste indicazioni ai superiori della sua famiglia religiosa: Correggete le colpe commesse con vera giustizia sì da non dividere da essa la misericordia, ed esercitate la misericordia sì da non separare da essa la giustizia. Il criterio, che si deduce dai suoi scritti e dal suo comportamento, è quello del bene della persona; per cui, con uno è meglio insistere sulla misericordia, se la ferrea giustizia lo può portare alla disperazione; e con un altro, invece, occorre tenere duro sulla giustizia, se l’eccessiva misericordia può condurlo ad un comportamento irresponsabile e recidivo.

Se viene accettata una visione di giustizia all’interno della quale prevale la vendetta, non capiremo mai l’esigenza evangelica ed umana della misericordia. Non dimentichiamo che anche la Costituzione Italiana stabilisce la pena come via alla riabilitazione del colpevole.

12. L’accompagnamento della Chiesa

La Chiesa non lascia solo chi sbaglia, e lo riafferma soprattutto con l’indizione di questo Anno Giubilare. Nelle carceri ci sono i cappellani, che vi seguono, vi ascoltano, celebrano la messa per voi, vi fanno pregare, vi parlano di Dio, vi confessano, vi danno la comunione, anche se non sempre ci sono risposte chiare di conversione da parte vostra. Ma la Chiesa sa attendere, come Dio, che rispetta la libertà dell’uomo, che si allontana da lui. Ne rispetta i ritmi di crescita. La parabola del Figliol prodigo ci insegna che Dio sa attendere.

13. La fiducia nella Chiesa

Della Chiesa potete fidarvi. Sul sacerdote che ascolta le vostre confidenze e i vostri problemi, che raccoglie la vostra confessione sacramentale, potete scommettere. Il Ministro sacro ha il dovere di mantenere il segreto della confessione a costo anche della vita, come ci hanno insegnato tanti santi sacerdoti, che sono stati uccisi per non aver svelato il segreto confessionale. Se il cappellano nulla può fare nei processi di giustizia, tutto gli è possibile per darvi la misericordia di Dio.

14. Gradualità del cammino di conversione e sacramenti

Tanti oggi, condizionati dalla cultura dominante nella società, vorrebbero che la Chiesa vi concedesse i sacramenti solo dopo una vostra dichiarata conversione, richiesta di perdono, riparazione effettuata. Ma lo Stato e la Chiesa hanno compiti diversi. La Chiesa sa che Dio le ha affidato il ministero della riconciliazione e del perdono, che essa deve esercitare come lo ha esercitato Gesù: con la pazienza, l’accompagnamento, l’attesa. Ricordate la parabola del buon seme e della zizzania: Gesù dice che il padrone del campo fa crescere insieme grano e zizzania, sino al momento della mietitura. Poi, a tempo debito, ha fatto giustizia: il grano nei granai e la zizzania al fuoco. Miei cari, ricordate che l’attesa non può essere infinita: se non ci sono segni di conversione il sacerdote può arrivare anche a negare i sacramenti. Gesù ha accompagnato Giuda, che si andava allontanando gradualmente da lui. Gli ha dato continuamente la possibilità di ravvedersi, senza mai scacciarlo. Ha sperato sempre in suo ravvedimento, senza mai isolarlo dagli altri apostoli. Ma alla fine la separazione c’è stata, anche se è stato lui a voltargli le spalle, tradendolo. La notte del Giovedì Santo Giuda scelse l’oscurità della notte alla luce del giorno che Gesù voleva dargli. La Chiesa seguita ad accompagnarvi e a non privarvi dei sacramenti, perché sa che i sacramenti danno forza nel cammino verso la conversione, la richiesta di perdono, la riparazione. Ma arriverà il momento in cui bisognerà pur dirvi: o con Gesù o contro di lui, perché con Gesù si può stare solo come lui vuole, osservando la sua legge. Non è possibile illuderci che possiamo crearci una fede su nostra misura.

15. Il reinserimento nella società

Il reinserimento nella società è il momento più delicato del vostro cammino di conversione. Sappiamo le difficoltà oggettive: i preconcetti, la mancanza di lavoro, la riconciliazione dei cuori. Anche in questa fase la Chiesa vi accompagna, pur non nascondendosi le difficoltà, soprattutto in riferimento alla garanzia del lavoro. Sono numerose le iniziative in tal senso, soprattutto da parte delle Caritas diocesane e parrocchiali. Ci auguriamo che tutta la società civile senta vivo questo problema e che la politica si impegni realmente in tal senso.

16. Il Crocifisso è il volto della misericordia di Dio

In questo Anno Giubilare dobbiamo guardare al Crocifisso con occhi di fede, perché lì noi incontriamo il volto misericordioso di Dio, che ci apre le braccia e ci invita ad avere speranza. Al Crocifisso guardi soprattutto chi soffre una pena ingiusta. Anche per lui si apre il Giubileo della misericordia, che egli vivrà nel segno della fede, della conversione e del perdono. Nel Crocifisso, il giusto per eccellenza ingiustamente condannato, ogni uomo incontra le proprie sofferenze. In lui troverà la forza e il coraggio della sopportazione, attendendo il compiersi della volontà di Dio. Nel Vangelo di S. Giovanni leggiamo: Guarderanno a colui che hanno trafitto. Sia per tutti voi uno sguardo di fiducia e di speranza. Dio è amore, è misericordia, è perdono. Dipende da noi accoglierlo.

Carissimi,

non lasciate passare invano questo tempo di grazia. Ve lo chiede anche il Papa. Vi riporto ancora un altro brano di quanto egli ha scritto indicendo il Giubileo: Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui Lo stesso invito giunga anche alle persone fautrici o nessuno potrà sfuggire. complici di corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. È un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo. Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia.

Carissimi,

se mi sarà concesso dalle autorità, durante questo Anno Giubilare della Misericordia, verrò a visitarvi nelle carceri, a confessarvi io stesso, almeno alcuni di voi. Sogno, lo spero, e per questo prego, che in questo anno nella nostra Diocesi di Reggio Calabria-Bova ci sia qualche segnale forte di dissociazione dalla ‘Ndrangheta. Siate coraggiosi! Fatelo! Ciò significa essere uomini coraggiosi e veri cristiani. Sarà il primo di tanti altri passi, che cambieranno la nostra Città e la nostra Regione.

Lo spero e prego per tutti voi, mentre vi benedico di cuore.

 

Subscribe to this RSS feed