Personal Factory vara la barca “Dumbo”. Ennesimo successo per l’azienda calabrese

E’ stata chiamata “Dumbo” come l’elefante della Walt Disney che riusciva a volare sfidando la forza di gravità. A scegliere lo stesso nome per l’imbarcazione varata nei giorni scorsi presso i laghi salati di Sibari, sono stati l’Università della Calabria, Personal Factory ed Enea. Il nome non è stato scelto a caso dal momento che il progetto sviluppato dai tre partner rappresenta anch’esso una sfida.  Ma proprio come l’elefante della Walt Disney, anche la “Dumbo” anfibia è riuscita a compiere l’impresa impossibile. Come si può facilmente immaginare “Dumbo” non è una semplice barca. Il natante, del peso di 3.500 Kg, è stato realizzato con materiali “riciclati” nell’ambito del progetto “Ecofibar”, grazie al Pon “Ricerca e Competitività – Investiamo nel vostro futuro”. Lo scopo del progetto era dimostrare empiricamente la possibilità di creare nuovi materiali applicabili al settore costruzioni, usando gli scarti provenienti dalle demolizioni. Il principio ispiratore alla base dell’esperimento è in perfetta sintonia con l’idea che, partendo dalla sede di Simbario, in provincia di Vibo Valentia, ha permesso alla Personal Factory di rivoluzionare il mondo della malte per l’edilizia. Grazie al robot “Origami”, l’azienda calabrese è riuscita, infatti, a trasformare i rivenditori di malte in veri e propri produttori. Il progetto, ovviamente, non è fine a se stesso e non è stato sviluppato con l’intenzione di varare una “semplice” barca. A confermarlo l’amministratore di Personal Factory, Francesco Tassone per il quale: “lo scopo principale del progetto è quello di dimostrare che un nuovo paradigma nel settore delle costruzioni è possibile, con un’edilizia a cortissimo raggio che non ha bisogno di estrarre milioni di metri cubi dalle cave e smaltire milioni di metri cubi di rifiuti in discarica. Tale approccio è fondamentale se si vuole ridurre l’impronta ecologica dell’edilizia grazie alla tecnologia a corto raggio di cui la Personal Factory oggi è leader mondiale. Se è possibile realizzare un’imbarcazione che resiste in ambiente chimicamente aggressivo, fortemente sollecitato da acqua, sole, sale, tanto più è possibile realizzare malte da allettamento, intonaci, massetti, rasanti che devono sopportare sollecitazioni centinaia di volte inferiori”. Un modello di business che, aggiunge Tassone “non è compatibile con le tecnologie produttive classiche in cui mega stabilimenti, fortemente centralizzati, servono mercati molto estesi. Servono nuovi modelli con siti produttivi vicino alle aree urbane perché il ciclo del rifiuto funziona soltanto se è a cortissimo raggio, e servono anche nuove normative che privilegino l’uso del riciclo e disincentivino le materie prime vergini esattamente il contrario di quel che accade oggi”. Come dimostra la storia della Personal Factory, la ricerca e l’innovazione tecnologica permettono non solo di proporre soluzioni eco ambientali, ma anche di scardinare i tradizionali equilibri di mercato riuscendo, così, a creare occupazione anche in aree tradizionalmente depresse. Del resto, per l’Ad dell’azienda calabrese il “vantaggio di fare ricerca così avanzata nel settore deriva dal fatto che bisogna cercare soluzioni originali ed innovative che permetto di apprendere molto di più che con progetti standard o con semplici miglioramenti di prodotto”. Il sistema è stato ampiamente sperimentato tanto da avere già avuto importanti ricadute sulla produzione standard della Personal Factory. Lo sviluppo dell’imbarcazione è stato attuato sulla base di lavoro sinergico che ha coinvolto tre Dipartimenti dell’Università della Calabria (DIATIC, DIMEG, DIMES relativamente ai gruppi di ricerca coordinati dai Proff. Fortunato Crea - Responsabile Scientifico del Progetto, Franco Furgiuele e Raffaele Zinno), due Centri di Ricerca Enea (Trisaia e Casaccia coordinati dall’ingegner Piero De Fazio) e dal soggetto proponente, ovvero la Personal Factory coordinata da Francesco Tassone. L’esperimento ha permesso di valutare le ottime prestazioni del prodotto soprattutto in considerazione del fatto che si tratta di materiali da riciclo. I dati sono eloquente, i nuovi materiali impiegati offrono, infatti, una resistenza alla compressione di oltre 80MPa, circa il 250% superiore ad un calcestruzzo standard. A ciò si aggiunga l’elevata possibilità di riciclare il prodotto finito (superiore al 95%). Oltre allo studio ed all’impiego dei nuovi materiali, il progetto di ricerca ha permesso di mettere in campo un progetto di formazione che ha coinvolto undici studenti per un periodo di ventiquattro mesi. 

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