Operazione antimafia a Stilo, 9 arresti

La scorsa notte i carabinieri del Gruppo di Locri (Rc) hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 9 persone (di cui 7 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), indagate a vario titolo per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, produzione, traffico e detenzione illeciti di stupefacenti in concorso.

Il provvedimento è il risultato di un’indagine condotta dai militari della Compagnia di Roccella Jonica, con il coordinamento dalla Dda reggina che, avvalendosi di risultanze investigative inerenti personaggi legati a vario titolo alla criminalità organizzata di Stilo e dei comuni limitrofi, acquisite fin dal 2014, nonché delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e traendo elementi dalle emergenze probatorie raccolte nell'ambito di separati procedimenti penali diretti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri, aventi ad oggetto alcuni fatti delittuosi che nel passato avevano insanguinato l'area dello Stilaro – tra cui spiccano gli omicidi di Marcello Gerocitano nel 2005 e Giuseppe Gerace nel 20212 – ha consentito di disarticolare l’operatività di un presunto gruppo criminale di tipo mafioso.

Il condizionamento mafioso è stato ritenuto particolarmente pregnante da parte del giudice, il quale ha ritenuto le cosche – nella fase dell’esame cautelare – “interessate a garantirsi il controllo del territorio con la solita metodologia delle imposizioni e dei condizionamenti violenti anche all'attività amministrativa pubblica, da tempo ormai si sono rese artefici della condizione di grave depressione che governa quelle aree calabresi, in tutto asservite alla prepotenza mafiosa che impone le proprie regole e opprime la popolazione con la violenza”.    

In particolare, sarebbero stati accertati ruoli e gradi dei relativi appartenenti, per lo più membri di una stessa famiglia, in seno a quella che può essere definita una nuova “locale di ‘ndrangheta”, attiva nel comune di Stilo e confederata alla cosca dei Taverniti di Gerocarne, nel Vibonese, tanto che un affiliato avrebbe ricevuto la “doppia dote” di “sgarrista” da entrambe le locali. Danneggiamenti, estorsioni, e pascoli abusivi sono i reati che avrebbero consentito alla consorteria di esercitare un capillare e opprimente controllo sul territorio di propria “competenza”, ingenerando, grazie anche alla disponibilità di armi, nella popolazione un diffuso timore e senso di omertà.

Tra i vari indagati per associazione di tipo mafioso vi è anche un appartenente alla cosca “Ruga - Gallace - Leuzzi”, storica organizzazione mafiosa presente nell’alto Jonio reggino, basso catanzarese e zone limitrofe, che nel tempo avrebbe messo a disposizione degli associati i propri immobili per lo svolgimento dei riti di affiliazione alla ‘ndrangheta e rivestito, per conto della predetta consorteria criminale, il ruolo di referente territoriale nel comune di Stilo con la dote di “vangelo”. Tale circostanza si sarebbe dimostrata evidente in occasione dei gravi eventi avvenuti a febbraio e a giugno del 2018 nei confronti di rappresentanti del Comune di Stilo, consistenti rispettivamente nel danneggiamento con colpi d’arma da fuoco dell’auto di un consigliere di minoranza e nell’incendio della casa rurale del sindaco, allorquando, proprio in virtù del ruolo ricoperto, l’indagato  sarebbe stato interessato da alcuni soggetti legati alla criminalità organizzata di San Luca al fine di addivenire alla conoscenza degli autori degli episodi anzidetti.

Quanto all’amministrazione del comune di Stilo, sottoposta dal 2018 a Commissione di indagine anche a seguito dei citati episodi delittuosi, nell’ambito dell’attività investigativa sono emersi elementi indiziari circa un abituale e arbitrario esercizio del pascolo abusivo sulla “pineta del Monte Consolino” e su un antico “castello medioevale”, area sottoposta a vincolo paesaggistico e considerata principale attrazione turistica del centro storico di Stilo, da parte dei membri della predetta consorteria mafiosa.

Infine, durante la conduzione dell’inchiesta sono stati raccolti elementi indizianti circa l’esistenza di un’associazione dedita alla detenzione e cessione di  cocaina e marijuana, attiva nei comuni di Placanica, Stignano, Pazzano e Caulonia, nonché la responsabilità, in capo ai relativi organizzatori, della realizzazione, nel luglio 2018, in località Tizzana del comune di Pazzano, di una piantagione composta da 120 arbusti di cannabis indica, sequestrata e distrutta dai Carabinieri.

'Ndrangheta, latitante Vibonese catturato a Roma

Ieri mattina, i finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro, insieme ai poliziotti della Squadra mobile di Vibo Valentia, con il supporto del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata della guardia di finanza e del Servizio centrale operativo della polizia di Stato, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, hanno rintracciato e catturato, a Roma, il latitante Giuseppe Campisi, detto “Pino”, 62 anni, di Vibo Valentia.


L’arrestato, che già aveva scontato una precedente condanna per associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio doloso ed estorsione, il 23 ottobre 2019 si era sottratto all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Catanzaro nell’ambito dell’Operazione “Ossessione”, condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Catanzaro, che aveva consentito di disarticolare un’associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, i cui appartenenti operavano anche per agevolare la cosca Mancuso. L’individuazione del latitante, in prossimità della via Tuscolana, è stata possibile grazie alla costante attività di controllo del territorio, svolta con le più moderne tecnologie, unitamente alla rivalutazione dell’ampio patrimonio info-investigativo disponibile sull’imputato e sui suoi familiari. Le indagini hanno consentito di accertare che, durante la latitanza, per evitare di essere riconosciuto, Campisi utilizzava parrucche e documenti di riconoscimento contraffatti (fra cui il green pass).

Il 17 dicembre scorso la sinergia sviluppata dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Catanzaro e dalla Squadra mobile di Vibo Valentia aveva consentito di arrestare Antonio Campisi, nipote di Giuseppe, destinatario di un fermo di indiziato di delitto per il tentato omicidio di Dominic Signoretta.

'Ndrangheta, sequestro di beni per un pregiudicato

Nella giornata di ieri, la guardia di finanza di Lamezia Terme (Cz), coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, ha eseguito un decreto di sequestro di beni immobili, mobili e disponibilità finanziarie, per l’ipotizzata riconducibilità ad un soggetto già, in passato, condannato, con sentenza irrevocabile, per i reati di associazione alla ‘ndrangheta, estorsione e spaccio di sostanze stupefacenti.

La misura ha interessato due fabbricati ubicati a Lamezia Terme, tre autovetture e disponibilità finanziarie, per il valore di circa 154 mila euro.

Il provvedimento cautelare è stato emesso dal Tribunale di Catanzaro, sulla base delle indagini patrimoniali eseguite dalle fiamme gialle, in merito alla posizione reddituale del destinatario, dei familiari e della famiglia d’origine, volte a verificare la provenienza dei beni e la sproporzione rispetto ai redditi dichiarati e alla attività lavorativa.

Il procedimento di prevenzione, volto alla verifica della sussistenza dei presupposti per la confisca dei beni, è tuttora in corso.

  • Published in Cronaca

'Ndrangheta, beni per oltre 3 milioni di euro sequestrati a imprenditore

Ammonta a oltre tre milioni di euro il patrimonio sequestrato dai finanzieri di Reggio Calabria e dagli uomini della Divisione anticrimine della Questura reggina, a un imprenditore del luogo già condannato in via definitiva a otto anni di reclusione per associazione di tipo mafioso nell’ambito dell’operazione “Il padrino” e a dieci mesi di reclusione in primo grado, per minaccia aggravata dal metodo mafioso, nell’ambito dell’operazione “Ghota”.

Il provvedimento giunge in seguito ai risultati delle indagini condotte, su delega della Direzione distrettuale antimafia reggina, dal Gico, dal Gruppo della Guardia di finanza di Reggio Calabria e dall’Ufficio misure di prevenzione della Questura, dalle quali è emerso che il valore del patrimonio accumulato dall’imprenditore era significativamente sproporzionato rispetto alla capacità reddituale dichiarata ai fini delle imposte sui redditi.
Alla luce di tali risultanze, il tribunale di Reggio Calabria ha  quindi disposto il sequestro dell’intero patrimonio riconducibile all’uomo, per un valore di oltre 3 milioni di euro, tra i quali più di 600 mila euro in contanti rinvenuti dalla polizia a carico del figlio, ma ritenuti riconducibili allo stesso imprenditore. In particolare, l’ingente somma di denaro venne scoperta durante un controlla stradale, nella cabina di un mezzo adibito al trasporto di animali.

Operazione “Saggio compagno”: ordine carcerazione per otto imputati

I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, nei giorni scorsi, hanno dato esecuzione all’ordine per la carcerazione disposto dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nei confronti di otto imputati nell’operazione “Saggio compagno”, condotta dai carabinieri dalla Compagnia di Taurianova  tra il 2014 e 2015, finalizzata alla disarticolazione del “locale” di Cinquefrondi, cosca operante in tutta la piana di Gioia Tauro ed attiva nel traffico di sostanze stupefacenti e nel contrabbando di armi da sparo.

In particolare, l’indagine, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, aveva portato all’esecuzione di tre provvedimenti restrittivi nei confronti di 84 persone, permettendo di documentare come i vertici delle famiglie “Foriglio” “Petullà” e “Ladini” fossero riuscite nel tempo, grazie alla forza di intimidazione scaturita dal vincolo associativo e dalle conseguenti condizioni di assoggettamento e omertà, ad imporre il loro volere sul territorio dei comuni di Cinquefrondi e Anoia, assicurandosi anche il controllo del fiorente settore degli appalti boschivi e di ogni attività ad esso strumentale.

A far luce sulle dinamiche della cosca erano state le dichiarazioni di Rocco Francesco Ieranò, intraneo al sodalizio poi divenuto collaboratore di giustizia, che ha permesso di documentare la strategia e gli obiettivi di Giuseppe Ladini, ritenuto 'ndranghetista associato alla carica del "Vangelo" e indicato quale boss di Cinquefrondi. In pochi anni, quest’ultimo avrebbe scalato le gerarchie della ‘ndrangheta e, forte di un vero e proprio esercito di picciotti, avrebbe dato vita ad una sua ‘ndrina, destinata a guadagnarsi fama per la spudoratezza delle modalità di azione, come poi riscontrato dalle stesse indagini all’esito delle quali erano stati contestati capi d’accusa particolarmente gravi: estorsione, detenzione abusiva di armi, furto aggravato, ricettazione, favoreggiamento personale, danneggiamento seguito da incendio, violazioni delle disposizioni per il controllo delle armi, armi clandestine, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, tutti aggravati dal metodo mafioso.

Le indagini hanno portato anche, al sequestro di beni mobili, immobili, attività commerciali e rapporti bancari per un valore di circa 500 mila euro.

Gli arrestati, riconosciuti colpevoli a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione, del reato di associazione di tipo mafioso o, comunque, di reati aggravati dal metodo mafioso, escluso il periodo di reclusione già scontato nel corso del giudizio, sono stati condannati a pene comprese da uno a sei anni.

In particolare, Raffaele Petullà, ritenuto colpevole dei reati di estorsione commessa avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416bis e di furto aggravato, è stato condannato alla reclusione a sei anni e quattro mesi, di cui dovrà scontare i rimanenti due.

Saverio Napoli, condannato a otto anni e otto mesi di reclusione perché ritenuto componente attivo del “locale” di Cinquefrondi, dovrà scontare in carcere i due anni restanti.

Cinque anni e quattro mesi di reclusione, invece, per Michele Ierace, altro appartenente alla cosca disarticolata, essendo stato condannato in Appello a dieci anni e otto mesi.

Anche per Antonio Petullà non sono servite le rimostranze della difesa, che ritenuto colpevole di appartenere all’associazione di tipo mafioso, dovrà ora scontare una pena di sei anni e due mesi.

Quanto a Rocco Foriglio, il ricalcolo della pena effettuato dalla Procura Generale, ha comportato l’applicazione della reclusione per dieci mesi.  

Reclusione a nove anni e un mese per Nicodemo Lamari che dovrà adesso scontare i restanti tre anni.

Pena minore, invece, per Rocco Varacalli, riconosciuto colpevole dei reati aggravati dal metodo mafioso, di detenzione di armi da guerra e spaccio di sostanze stupefacenti, dovrà adesso scontare una reclusione per i restanti undici mesi, avendo già scontato buona parte dei cinque anni di pena stabiliti dai giudici dell’Appello.

Da ultimo, per Antonella Bruzzese, un residuo di pena pari a cinque anni e sei mesi.

Oltre alle pene detentive, per i condannati è stata disposta anche la libertà vigilata, nonché la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni e la revoca delle prestazioni previdenziali; provvedimenti di condanna che, unitamente a quelli già eseguiti dai carabinieri lo scorso novembre 2021 nei confronti di ulteriori 5 condannati, hanno portato alla conclusione dell’iter giudiziario relativamente all’operazione “Saggio compagno”.

  • Published in Cronaca

'Ndrangheta in Veneto, un arresto nell'ambito dell'operazione "Ermes"

Alle prime luci dell’alba di oggi, i Finanzieri del Comando provinciale di Padova, con la collaborazione dei colleghi di Catanzaro, Reggio Calabria e del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata di Roma, a conclusione di un’operazione, denominata “Ermes”, diretta dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale della stessa sede, nei confronti di un trentenne calabrese, ritenuto contiguo alle cosche di Reggio Calabria “Tegano” e Condello, accusato di reati contro la persona e il patrimonio, aggravati dal metodo mafioso, perpetrati ai danni di una donna residente nel padovano.

Contestualmente sono state eseguite diverse perquisizioni presso abitazioni e attività commerciali nelle province di Catanzaro, Reggio Calabria e Cosenza.
Sulla base del quadro accusatorio sinora delineatosi, le ipotesi investigative allo stato contestate a sei indagati di origine calabrese, di cui uno sottoposto alla misura restrittiva della libertà personale, vanno, a vario titolo, dalla violenza privata alle lesioni personali e  agli atti persecutori, dalla detenzione e porto abusivo di arma da fuoco con munizioni all’estorsione, dalla ricettazione al tentativo di rapina e al furto in abitazione, fino a un episodio di danneggiamento seguito da incendio, reati perpetrati, con l’aggravante del metodo mafioso, nella Provincia di Padova.

L’attività investigativa trae origine dalla denuncia sporta da una persona, nel dicembre 2019, per presunti atti di violenza subiti dall’ex compagno, imprenditore calabrese operante da diversi anni nel catanzarese nel settore del commercio della carne.

  • Published in Cronaca

A 28 anni dall'omicidio, l'Arma ricorda gli appuntati Fava e Garofalo

Il 18 gennaio 1994, a Scilla, sull'autostrada Sa-Rc, si immolarono sull'altare del dovere gli appuntati dei Carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, rispettivamente di 37 e 34 anni.

I due militari caddero sotto i colpi d'arma da fuoco esplosi durante il controllo di un'auto sospetta. Le successive indagini consentirono di ricondurre l’agguato a una strategia criminale che, negli anni Novanta, venne condotta dalle cosche calabresi e siciliane contro le istituzioni.

Per il loro altissimo senso del dovere, a Fava e Garofolo venne assegnata la medaglia d'oro al valor militare, con la seguente motivazione: «Capo equipaggio / Conduttore di autoradio di nucleo radiomobile in area ad elevata densità mafiosa, nel corso di predisposto servizio di controllo del territorio, intimava in movimento l'alt ad autovettura sospetta. Fatto segno a reiterata azione di fuoco da parte dei malviventi che non arrestavano la marcia, li affrontava con insigne coraggio e grande determinazione replicando con l'arma in dotazione finché, colpito in più parti del corpo, si accasciava esanime. Le successive indagini consentivano di arrestare gli autori, identificati in cinque pericolosi pregiudicati appartenenti ad agguerrita organizzazione criminosa, e di recuperare le armi e
l'autovettura di illecita provenienza utilizzate dai malfattori. Fulgido esempio di elette virtù militari e di altissimo senso del dovere spinto fino all'estremo sacrificio».

Questa mattina, nel 28° anniversario del duplice omicidio, nel tratto autostradale della A-2 Salerno-Reggio Calabria, poco prima dell’uscita per Scilla, dove un monumento ricorda il sacrificio dei due Carabinieri, i militari, alla presenza del comandante provinciale di Reggio Calabria, colonnello Marco Guerrini e dei familiari delle vittime, hanno ricordato i loro colleghi caduti.

Blitz contro la 'ndrangheta: arresti in Calabria, Lombardia e Piemonte

È scattato alle prime luci dell’alba di oggi l’intervento dei militari del Comando provinciale della Guardia di finanza di Pavia che, con la collaborazione del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata di Roma e il supporto dei reparti di Lombardia, Piemonte e Calabria, hanno eseguito, tra l’altro, 13 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del Tribunale di Milano nei confronti di altrettante persone, alcune delle quali sarebbero contigue a storiche famiglie ‘ndranghetiste originarie di Platì (Rc) e radicatesi nel Nord Italia nei territori a cavallo tra le province di Pavia, Milano e Monza Brianza nonché nel torinese.

Agli arrestati la Procura Distrettuale antimafia milanese contesta, a vario titolo, l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti alla detenzione e porto di armi da sparo fino a episodi di estorsione perpetrati in Lombardia con l’aggravante del metodo mafioso.

Le fiamme gialle pavesi, con il supporto dei reparti territoriali, di decine di unità anti terrorismo pronto impiego (Atpi), l’impiego di unità cinofile e dei mezzi aerei del Corpo sono state impegnate nella ricerca e cattura dei destinatari della misura, interessando anche la roccaforte di Platì dove i principali responsabili del sodalizio si erano spostati, facendo poi la spola con la Lombardia.

L’attività investigativa, iniziata nella primavera del 2019 e conclusasi oggi con l’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare, è stata caratterizzata dal costante monitoraggio dei soggetti originari del Reggino e da tempo stanziati nei territori compresi tra le province di Pavia e Milano, dove avrebbero operato seguendo condotte tipicamente mafiose. Infatti, le attività investigative hanno registrato ripetute attività estorsive nei confronti di soggetti che ritardavano a pagare lo stupefacente, ricorrendo alla forza intimidatrice, sovente manifestata con la prospettazione nei confronti delle loro vittime di gravi conseguenze ove non avessero saldato i propri debiti nei tempi richiesti dai sodali.

Il sodalizio avrebbe trattato considerevoli quantitativi di cocaina e marijuana, anche con l’intento di rifornire gruppi criminali a loro collegati in Lombardia,  Piemonte, Liguria e Toscana. Non sarebbero risultate estranee a queste ultime dinamiche criminali alcune figure femminili, congiunte dei principali indagati, che pur svolgendo una funzione secondaria, avrebbero comunque dato il loro contributo per la commissione dei reati. Infatti, in più occasioni, è stato rilevato il loro supporto durante le operazioni di prelievo, consegna e confezionamento dello stupefacente nonché durante le operazioni di conteggio dei proventi illeciti incassati. Per una di loro, come per altri due fiancheggiatori del sodalizio, il gip del Tribunale di Milano ha disposto la misura dell’obbligo di presentazione davanti alla pg e per un quarto la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel territorio del comune di residenza.

Il clan, per supportare le proprie capacità operative, per perpetrare le estorsioni ed il traffico di droga o anche per fronteggiare qualsiasi tipo di minaccia proveniente dall’esterno del sodalizio, aveva la disponibilità di armi automatiche, come fucili mitragliatori Kalashnikov, forniti da una cellula calabrese collegata.

Al fine di rendere, poi, difficile l’individuazione dei proventi delle attività delittuose così da poter sfuggire ad una eventuale aggressione patrimoniale da parte dello Stato, il sodalizio criminale avrebbe utilizzato società di servizi ed imprese edili, costituite ad hoc, ma di fatto inattive, che tramite l’emissione di fatture false avrebbero potuto occultare i proventi illeciti sfruttando anche la complicità di almeno un professionista per presentare bilanci e dichiarazione dei redditi opportunamente “adattati”.

Subscribe to this RSS feed