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Chiaravalle: si cercano le chiavi per risolvere il mistero della scomparsa di Ettore Majorana

Potrebbero nascondersi a Chiaravalle Centrale le chiavi per risolvere uno dei più grandi enigmi della storia italiana: la scomparsa del genio della fisica Ettore Majorana, avvenuta nel 1938 in circostanze del tutto misteriose. Di lui si perse improvvisamente ogni traccia alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Suicidio o fuga: sono state tante le ipotesi formulate negli ultimi 80 anni per tentare di dipanare l'intricato rebus, tuttora insoluto.

Tra  le tesi più recenti, spicca la ricerca, condotta dal medico catanzarese Giovanni Forte, autore del libro “Ettore Majorana, malato non immaginario”, che porta proprio a Chiaravalle. Forte è tornato oggi nella cittadina delle Preserre per un accesso agli archivi comunali. Accolto dal sindaco, Domenico Donato, dalla sua giunta e dai suoi collaboratori, lo studioso ha esposto i contenuti delle sue indagini. Anni di investigazioni documentali e sul campo nel corso dei quali il noto professionista del capoluogo ha meticolosamente ricostruito le tappe del viaggio che Majorana avrebbe compiuto per arrivare in Calabria.

Ma perché? Secondo il dottor Forte, lo scienziato avrebbe contratto la tubercolosi, malattia che non voleva rivelare pubblicamente, e avrebbe così deciso di farsi curare in gran segreto presso il sanatorio specializzato di Chiaravalle. Una struttura che, all'epoca, costituiva un'eccellenza a livello nazionale. Restano, ovviamente, tanti dubbi da chiarire: dalla presunta data di morte di Majorana, che Forte colloca nell'estate del 1939, al destino delle sue spoglie mortali che, sempre secondo il medico catanzarese, tumulate in forma anonima sarebbero state traslate di nascosto da una cappella monumentale di Chiaravalle intorno al 1960 e portate in Sicilia, terra natia dello scienziato.

Proprio su queste eventuali tracce si sta concentrando, adesso, la ricerca di Giovanni Forte che ha ricevuto la massima collaborazione da parte della locale amministrazione comunale.

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Un'opera lirica sulla scomparsa di Ettore Majorana. Lo scienziato è stato più volte accostato alla Certosa di Serra San Bruno

Qualcuno lasciò scritto: “farò più rumore da morto!” È il caso, questo, anche di Ettore Majorana, lo scienziato che anticipò tante teorie che poi meritarono il Nobel ad altri e che misteriosamente, nel 1938, all’età di 32 anni, è scomparso nel nulla. Per paura, per rimorso o chi sa cosa? Forse all’origine della fuga i turbamenti legati alle sue ricerche sulla fisica nucleare che avrebbero portato alla bomba atomica?

In tutti questi anni giornalisti, scrittori e studiosi si sono avvicendati nella ricerca della verità che inevitabilmente porta alla clausura in un chiostro per trovare pace dopo aver inscenato un finto suicidio. La Certosa di Serra San Bruno? La Certosa di Farneta? Con tanto di punto interrogativo, per carità! Molti hanno da sempre associato al nome di Majorana appunto il nostro monastero bruniano.

Di ciò  era convinto anche Leonardo Sciascia che ne aveva parlato e scritto tanto. Anche lo scrittore siciliano entrò nella Certosa  sulla scia di un’informazione che voleva la presenza di “un grande scienziato” all’interno del monastero  calabrese, senza affermare o smentirne la presenza. E non si può sottacere che anche Giovanni Paolo II nella sua visita in Certosa nel 1984 accennò alla presenza del Majorana tra i monaci serresi.

È anche vero che come scriveva Sharo Gambino:“nel corso degli ultimi secoli, la Certosa di Serra San Bruno è rimasta coinvolta in alcuni ‘gialli’…che portano questi tre nomi: Giovanni Boccaccio, Leroy (il supposto bombardiere di Hiroshima) e, buon per ultimo, Ettore Majorana, il giovanissimo fisico catanese di cui tutti parlano per via del ‘giallo filosofico’ scritto da Leonardo Sciascia.”

Ed anche il serrese Girolamo Onda nel suo “L’Angelo che custodiva gli atomi” con sottotitolo “Ettore Majorana fra le mura di una certosa?”, mostra di avere qualche dubbio. Come dire che un’altra perla di dubbio  si aggiunge alla già ricca collana dei misteri!

Non ultimo, una rivelazione riferitaci da Roberto Sabatinelli (cartusialoverwordpress.com), parla dello storico dell’arte e pittore, il compianto Silvano Onda. Questi, nell’estate del 1970, nel mentre stava dipingendo la facciata dell’antica chiesa certosina di Serra, ebbe modo di intrattenersi, nel cortile del grande chiostro, con un tal fra’ Antonio che, con modi circospetti, gli parlava di arte, pittura, filosofia, scienza e con un accenno alla bomba atomica. In quel fra’ Antonio, con “la mano sinistra coperta da un guanto” si nascondeva Ettore Majorana? Sta di fatto che, raccontava ancora l’amico Silvano, qualche giorno dopo, alla richiesta del frate, gli si rispondeva: “ma chi è sto frate Antonio?” Si negava l’esistenza. Dubbio dei dubbi!

Comunque sia Sharo Gambino, che fu, per molto tempo, topo della biblioteca certosina, esclude categoricamente la presenza del Majorana nell’eremo di Serra.

Insomma in tutti questi anni si è cercato invano? Verrebbe da dire di sì se proprio Enrico Fermi, che fu maestro del Majorana, proprio ad un anno dalla scomparsa  affermò che “Ettore era così intelligente che se aveva deciso di sparire dal mondo senza farsi trovare è inutile che continuiamo a cercarlo.”

Ma il mistero continua! Ettore Majorana continua a far parlare di sé. Nei giorni scorsi, addirittura, è stato portato in scena con un’opera lirica tutta per lui, dal titolo “Ettore Majorana, cronaca di infinite scomparse”.

Si tratta, appunto, di un’opera musicata da Roberto Vetrano e presentata in prima mondiale al Teatro Sociale di Como, vincitrice del Concorso Internazionale Opera Oggi su progetto di Opera Lombardia volto alla promozione dell’opera lirica contemporanea.

Lo spettacolo musicale farà tappa nei principali teatri lombardi fino ad arrivare, nel 2018, a Magdeburg e a Valencia. È azzardata l’idea di portarla a Serra San Bruno?

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Ettore Majorana, Leonardo Sciascia e la Certosa di Serra San Bruno

Un vero giallo non ha soluzione, tutt’al più può avere soluzioni. Un giallo che si rispetti, infatti, è un rompicapo le cui chiavi di lettura non sono né vere, né false, ma solo verosimili. Una regola cui non sfugge il mistero che aleggia sulla figura di Ettore Majoarana, scomparso nel 1938 e ripetutamente associato alla Certosa di Serra San Bruno.

Proprio nel monastero della cittadina calabrese, negli anni Settanta, Leonardo Sciascia cercò per diversi giorni di trovare qualche indizio riconducibile allo scienziato siciliano.

Una ricerca accompagnata da una serie di articoli pubblicati, tra il 31 agosto ed il 7 settembre 1975, sulla “Stampa” e successivamente raccolti in un volume dal titolo “La scomparsa di Majorana”. 

Un “giallo filosofico” in cui viene messa in relazione la “fuga dal mondo” dello scienziato con una crisi etica e religiosa. Per Sciascia, infatti, il fisico avrebbe deciso di sparire, perché tormentato da dubbi e scrupoli morali derivanti dall’aver intuito, con grande anticipo, gli effetti terrificanti delle ricerche sull’atomo.

Secondo la tesi avanzata dallo scrittore siciliano, Majorana avrebbe accuratamente architettato la scomparsa, prima di placare i propri tormenti interiori dietro la porta di un convento, o meglio di una certosa.

Un luogo che Sciascia visita e del quale, nell’ultimo dei sette articoli dal titolo, “Nella Certosa la rivelazione”, scrive: “[…] siamo entrati in questa cittadella dei certosini, per seguire una sottile, inquietante traccia di Ettore Majorana. Una sera, a Palermo, parlavamo della sua misteriosa scomparsa con Vittorio Nisticò, direttore del giornale “L’ora”. Improvvisamente Nisticò ebbe un preciso ricordo: giovanissimo, negli anni della guerra o dell’immediato dopoguerra, insomma intorno al 1945, aveva visitato, in compagnia di un amico, un convento certosino; e ad un certo punto della visita, da un “fratello” […] avevano avuto la confidenza che nel convento, tra i “padri”, si trovava un grande scienziato”.

La certosa di cui parla lo scrittore, ben presto verrà associata a quella di Serra San Bruno. Eppure, Sciascia non ne fa mai menzione. In nessuno dei suoi scritti, infatti, viene esplicitamente indicata la località in cui si sarebbe rifugiato Majorana. Si parla, genericamente, di “una cittadella dei certosini” senza, mai, associarla al luogo in cui San Bruno trascorse gli ultimi anni della propria esistenza terrena.

Come si giunse, quindi, ad identificare il luogo descritto da Sciascia con la Certosa di Serra San Bruno? Il “giallo”, a dire il vero, non durò molto, a rivelarlo, fu un giornalista della “Stampa”, Lorenzo Mondo, in un’intervista del 5 ottobre 1975, nella quale, per la prima volta, Sciascia rivela il luogo in cui ha condotto la sua indagine.

Il titolo: “Parlando con Sciascia del fisico e di altre cose”, è corredato da un catenaccio quanto mai esaustivo: “Lo scrittore fa per la prima volta il nome del convento dove sarebbe fuggito lo scienziato: la certosa di Serra San Bruno”.

Secondo l’estensore del pezzo: “A Sciascia venne in mente d'occuparsi di Majorana, di fargli posto tra le sue storie siciliane, quattro o cinque anni fa, sulla base di un'intervista rilasciata da Erasmo Recami. […]. Recami lo mise in rapporto con Maria Majorana, la sorella superstite dello scienziato: i documenti - lettere, appunti, testimonianze di amici - sui quali la singolare scomparsa gettava una forte luce di ambiguità, furono un grosso regalo per la disposizione investigatrice e raziocinante di Sciascia. Nei lettori del suo racconto resta però insoddisfatta la curiosità sulle conclusioni. Si sospetta che, dopo avere smontato la tesi del suicidio. Sciascia abbia imboccato, come dire, una « scorciatoia » poetica. « No - dice - sono convinto che sia andata così come ho scritto, che Majorana si sia ritirato in un convento». E’ disposto anche, per la prima volta, a fare il nome della certosa in cui Majorana avrebbe sepolto la sua angoscia per il terrificante potere, appena intravisto, di «una manciata di atomi». Si tratta della certosa di Serra San Bruno, in Calabria, provincia dì Catanzaro. Sciascia c'è stato davvero: ha visto i boschi verdissimi che la circondano e i resti del portico secentesco scampato al terremoto del 1783, ha indugiato nel piccolo cimitero con i trenta tumuli e le trenta croci nere senza nome. Lo ha accompagnato proprio un vecchio, enigmatico frate straniero dallo « sguardo chiaro in cui trascorrono diffidenza e ironia».  […] a Serra San Bruno era passato, inseguito dalle sue furie, il colonnello Paul W. Tibbets, l'uomo che il 6 agosto 1945 guidò la missione dell'Eriola Gay su Hiroshima. Quest'ultima storia i certosini, e particolarmente il nuovo priore Dom Anquez, l'hanno smentita più volte, ma continua a sedurre, a muovere visitatori anche da lontano. Per Sciascia questo strano accostamento, preparato dal destino o forse dalla leggenda, tra il primo uomo che diede la « morte per atomo » e un altro che se ne ritrasse inorridito, ebbe il valore di una folgorazione. « Anche se la storia non fosse vera e la certosa di Serra San Bruno non c'entrasse - spiega - l'identificazione da me proposta avrebbe una sua verità”.

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Serra, se Ettore Majorana scompare (anche) dalla toponomastica: la memoria dimenticata

Sono ormai diversi gli scritti sulla scomparsa di Ettore Majorana, illustre studioso di fisica nucleare e meccanica quantistica relativistica. Alcune ricostruzioni hanno portato ad ipotizzare che la sua sparizione sia la “traduzione” del suo ingresso nella Certosa di Serra San Bruno. E il principale centro montano del Vibonese gli ha dedicato l’intitolazione di una via: solo che in questo angolo della Calabria la memoria non sembra avere certo un ruolo da protagonista. Della tabella riportante l’indicazione non si hanno infatti notizie da più di un anno; nel luogo designato è rimasto solo un triste palo metallico. Umoristicamente qualcuno afferma che Majorana è davvero scomparso a Serra: la realtà induce, invece, a pensare che a scomparire sia stato il senso civico.

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Il certosino che parlava di arte e scienza / II PARTE

Non è dato sapere se i misteri giacenti entro la cinta turrita dove i monaci pregano in solitudine corrispondano con alcuni segreti che la storia non è ancora riuscita a svelare. Ma ci sono sensazioni che non sembrano poter svanire facilmente. Come quelle relative al destino di Ettore Majorana. A 68 anni dalla scomparsa del fisico, e precisamente il 28 di marzo del 2006, si svolse la “Giornata di studio sulla figura e l'opera di Ettore Majorana” presso l'Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti di Padova; tra gli intervenuti vi era il professor Silvano Onda, di origini serresi, che fu invitato ad esporre la sua testimonianza. Di seguito proponiamo il suo racconto dai dettagli particolarmente interessanti:

“Negli ultimi anni diversi libri sono stati pubblicati sui possibili e più autentici retroscena della scomparsa di Ettore Majorana, famoso fisico nucleare siciliano, avvenuta in un momento storico turbato dai fermenti dell’imminente conflitto mondiale. Alla questione non sono mai stato interessato particolarmente, e ne sapevo più o meno quanto la maggioranza delle persone a me vicine. Avevo letto il libro di Sciascia: ‘La scomparsa di Majorana’, perché nell’ultima parte, lo scrittore, suppone che lo scienziato si sia ritirato nella Certosa di Serra San Bruno per fuggire dal mondo e dedicarsi a vita contemplativa. Nel corso di questi ultimi anni, misi insieme una serie di ricordi relativi ai miei periodi trascorsi a Serra, soprattutto nei mesi estivi, quando rientravo da Roma dove frequentavo l’Accademia di Belle Arti. Ho esitato a lungo prima di decidermi a far conoscere questi miei lontani ricordi perché, l’argomento di cui riferirò, è molto delicato e riguarda il sospetto di aver incontrato e parlato con Ettore Majorana, conosciuto nei panni di frate Antonio. La decisione di rendere pubblici questi ricordi è dovuta all’amore che nutro per la Verità, o se si preferisce per la ricerca di essa. Lo stesso Cristo diceva: ‘conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi’. Era l’anno 1970 quando, nel mese di luglio, chiesi il permesso al Priore della Certosa Villibrordo Pjnenburg di poter dipingere i ruderi dell’antica chiesa distrutta dal terremoto del 1783. Ottenuto il permesso, di buon’ora, un mattino…mi recai in Certosa dove ero atteso dal guardiano: un certosino di origine tedesca che mi aprì il pesante e alto portone. Appena dentro posizionai il mio cavalletto davanti ai ruderi e poggiai tutte le mie cose su di un basso muretto vicino all’antico chiostro. Sistemai la tela preparata il giorno prima e con un carboncino iniziai a tracciare il disegno. Poco distante mi accorsi della presenza di un monaco che, tra due pilastri di un chiostro, seminascosto, mi faceva cenno con la mano come se volesse salutare, gli risposi e con fare guardingo mi venne incontro. Quando fu vicino mi strinse la mano e si presentò come frate Antonio. Si appoggiò al muretto e, divertito, osservava il procedere dei tratti del mio disegno. Notò che la superficie della tela non era liscia ma presentava delle striature irregolari a rilievi. Precisai che preparare la tela in quel modo era una  mia scelta e che in seguito avrei steso il colore con l’uso di spatole a diversa grandezza. Curioso mi chiese la composizione di quella imprimitura, risposi che si trattava di un mestico a base di cementite solida di colore bianco mista ad un collante tipo vinavil. Rimase in silenzio per alcuni minuti poi mi chiese se conoscevo il De diversis artibus del monaco Teofilo. Con imbarazzo risposi di no e lui aggiunse che si trattava di un testo scritto nel XII secolo sulle tecniche artistiche. Gli dissi, per giustificare le mie lacune, che ero iscritto al primo anno dell’Accademia di Belle Arti di Roma e ancora che ero troppo giovane per certe letture specifiche. In effetti quel monaco mi metteva un po’ di soggezione. Aveva un’età di circa sessant’anni, lo sguardo penetrante, magro dai capelli cortissimi, orecchie un po’ grandi, labbra carnose e una lunga barba nera a tratti brizzolata. Fui colpito da un particolare; aveva la mano sinistra coperta da un guanto. Di colpo scappò via senza neanche salutare, per un breve tratto lo seguii con lo sguardo poi sparì dietro alcuni vigneti. Dall’altro lato della strada vidi sopraggiungere il Priore e quindi capii che non voleva farsi sorprendere in mia compagnia. Questi si era accorto della sua presenza e, avvicinandosi, mi chiese di cosa stavamo parlando risposi: del modo di come si preparano le tele. Il Religioso, uomo dalla natura molto timida, abbozzò un sorriso e…allontanandosi disse : ‘forse si vuole mettere a dipingere’. Il giorno dopo alla stessa ora ritornai in Certosa per continuare il lavoro e con mia grande sorpresa trovai già sul posto frate Antonio sorridente e contento di rivedermi. Notai che era più calmo e meno guardingo del giorno precedente. Misi la tela sul cavalletto e lui, ansioso di osservarla, si piazzò subito di fronte e senza indugi disse : ‘bene! bene! adesso capisco la funzione di quella superficie scabra, in realtà produce, graffiando con la spatola sulla tela, un effetto gradevole e interessante. Complimenti!’. Lo ringraziai e provai come un senso di rivincita sull’ignorato monaco Teofilo del giorno prima. Mi chiese quali discipline si studiavano all’Accademia di Roma, città che lui conosceva molto bene, risposi che oltre alla Pittura si studiava: Anatomia artistica, Incisione e  Storia dell’arte ma si potevano seguire anche lezioni di Psicologia tenute a Magistero dal professor Ferrarotti. Mentre io seguitavo a dipingere lui fece una serie di riflessioni sull’arte che trovai molto interessanti, al punto che per non dimenticarle, giunto a casa, li riportai  su un quaderno che ancora conservo. Diceva, ad esempio, che non c’era esistenza e non c’era durata nelle opere d’arte moderna, ma soltanto ‘atti deliberati’ che restituivano forme casuali senza legami con il mondo circostante. Si riferiva, forse, all’arte astratta oppure ai surrealisti. Sosteneva che l’uomo d’oggi ha una coscienza sfaccettata, che le cose non hanno più forma stabile nella coscienza, che l’arte contemporanea, per le sue forme straziate corrispondeva alla realtà straziata e quindi allo strazio della coscienza. Timidamente risposi che l’artista partecipa al suo tempo e ad esso corrisponde con la propria arte. Il frate ribadì che l’artista, oggi, rappresenta forme atomizzate, crea delle forme disfatte, come se egli si sentisse a suo agio nella distruzione, aldilà di rendere alle cose la loro essenza invece che deformarle. Aggiunse che in un’opera deve emergere sempre qualche cosa che rinnova e risana e che, per opera sua, le cose debbono acquistare la loro integrità. Il fenomeno del disfacimento, precisò, produce consunzione che oltrepassa di gran lunga l’oggetto disfatto. Poi, con espressione molto triste, concluse: ‘in fondo al disfacimento sta la bomba atomica che non tollera accanto a sé cosa che non sia spezzata’. Cosciente di non essere all’altezza di quel dialogo, per non essere obbligato a rispondere, provai a fargli il ritratto dietro la copertina di un libro che avevo con me nella borsa. Ma ad un tratto mi disse che doveva rientrare nella sua cella perché da li a poco, il Priore sarebbe ritornato da Catanzaro dove si era recato in macchina con il suo autista. Mi confidò che il Superiore più di una volta gli aveva raccomandato di non parlare con gli estranei. Promisi che sarei tornato a finire il suo ritratto e ad ascoltare ancora le sue interessanti riflessioni sull’arte, ma lui mi salutò con aria triste dicendomi: ‘non so se tutto ciò sarà possibile’. In seguito, quando ebbi occasione di tornare in Certosa, di frate Antonio nessuno serbava ricordo…mi si rispondeva : ‘ma chi è sto’ frate Antonio?’. Appunto, me lo sono sempre chiesto anch’io. Ma chi era quel frate Antonio che parlava di arte e scienza tra le mura della Certosa?”.

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Majorana e i suoi misteri. Il parere dell’esperto / I PARTE

Erasmo Recami è da considerare il massimo studioso del fisico italiano Ettore Majorana; che è misteriosamente scomparso il 28 marzo del 1938. Docente di Fisica all’Università di Bergamo, si documentò sulla sparizione e sugli studi di Majorana e scrisse un libro pubblicato da Mondadori nel 1987 con il titolo: “Il Caso Majorana: Epistolario, documenti, testimonianze”, attualmente giunto alla IV edizione. L'opera di Recami è l'elemento indispensabile per chi si appresta alla seria conoscenza della vicenda del grande fisico siciliano. Egli non ha lavorato di fantasia, ha elaborato i fatti con l'aiuto diretto della famiglia Majorana e ha raccolto i documenti più importanti e confacenti alla vicenda descritta (fotografie, lettere, quaderni di lavoro, testimonianze). Il suo libro è un viaggio suggestivo e documentato della vita, degli studi e delle intuizioni scientifiche avveniristiche di uno dei maggiori geni della storia italiana. In una recente intervista concessa allo scrittore Edoardo D'Elia, che riportiamo di seguito e che nasce dalla presunta presenza di Majorana in Venezuela tra il 1955 ed il 1959, emergono passaggi illuminanti:

 “Con tutto il rispetto per il lavoro del RIS dei CC di Roma e della Procura della Repubblica, devo ricordare che un cuoco, o un sommelier, per valutare un risultato si basano più sulla propria esperienza e il proprio intuito, che non sui dati forniti da analisi chimiche o tecniche. In base alla mia lunga esperienza (nel 1970 ho iniziato a scoprire o raccogliere del Majorana epistolario, documenti, testimonianze, fotografie: praticamente il 90% dei documenti seri esistenti su vita e opere di Ettore Majorana), non credo affatto che il Nostro coincida col ‘vecchietto’ Mr. Bini di Caracas. Ho visto in questi giorni che la mia conclusione è condivisa dai pochi veri esperti... Se poi l’archiviazione della Procura significasse che il Majorana non è stato a suo tempo ucciso o rapito la situazione diverrebbe ridicola. Ipotesi cervellotiche di quel tipo sono state ventilate solo da chi era totalmente all’oscuro dei dati certi, e dotato invece di fantasie morbose. A quel tempo (1938) i fisici teorici non interessavano a nessuno... Basta poi guardare le ultime lettere lasciate il 25 e 26 marzo del 1938 dal Majorana, per riconoscerle scritte con la maggior calma e personale determinazione possibili: tali lettere sono state riprodotte in forma anastatica nel mio libro ‘Il Caso Majorana: Epistolario, Documenti, Testimonianze’. Io ricevo ancora, continuamente, notizie a volte eclatanti sul fatto di Ettore Majorana: ma non ne posso parlare dato che non ho più tempo o modo di verificarle. I documenti più probanti che ho raccolto negli anni indicavano un rifugio in Argentina: ma pure tale pista argentina non è certa. A priori il Majorana, che con la sua sensibilità e genialità [il grande Enrico Fermi lo considerava il maggior fisico teorico del tempo; e come è noto lo paragonò a Galileo e Newton] poteva forse sentirsi un po’ sprecato a questo mondo, avrebbe potuto scegliere di cercare rifugio tra le braccia della Somma Sapienza. Ma per ora non ci sono conferme sicure neppure della scelta del monastero. Comunque credo che la scomparsa di Majorana non fosse legata ai timori di una futura bomba atomica; lui avrebbe potuto contribuire alla causa più da vivo, che da morto o scomparso. Semmai poteva avere in mente possibili applicazioni ancora più rivoluzionarie...Ma scomparve abbandonando non solo il Gruppo di Fermi (quello dei ragazzi di Via Panisperna), ma anche la propria famiglia. E’ probabile che al Majorana costasse troppo fare vivere i propri ‘pupi pirandelliani’ di bravo membro di un Gruppo di ricerca, e più ancora di bravo figlio in una famiglia del Sud Italia con una madre di carattere dominante. E’ possibile quindi che il Majorana abbia abbandonato ogni cosa per le proprie esigenze interne e intime di equilibrio e pace. In una delle sue ultime lettere Majorana scrisse: ‘Ho preso una decisione che era oramai inevitabile. Non c’è in essa un solo granello di egoismo’...”

Per comprendere la figura, può inoltre essere d’aiuto una umana e rispettosa descrizione che Maria Majorana, sorella di Ettore, concesse alla stampa:

“Era schivo e timido, di spirito arguto; con un vivo senso dell'umorismo, e una enorme sensibilità umana... Io ero la sua sorellina più piccola, e mi voleva molto bene. Era così gentile che mi faceva anche i compiti di matematica... Ho molti ricordi d'infanzia. D'autunno andavamo in villeggiatura sull'Etna. Nelle notti senza luna Ettore mi indicava il cielo, le stelle, i pianeti: ogni volta era una piccola lezione di astronomia. Le sue parole mi tornano alla mente ancora oggi, quando alzo lo sguardo verso il cielo stellato... Mi piace ricordarlo così, mentre mi invita a guardare il cielo e mi insegna a chiamare per nome le stelle”.

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De Raffele: “Legare Ettore Majorana a Serra San Bruno”

“Alla luce delle precedenti ricerche e di quanto sta emergendo in questi giorni riguardo al fatto che Ettore Majorana sarebbe stato ospitato e sepolto  nella Certosa, ritengo opportuno approfondire la questione e proporre ogni iniziativa utile per valorizzare una figura dall’indubbia valenza storica per l’intera nazione”. Lo afferma il presidente del consiglio comunale in pectore Giuseppe De Raffele che probabilmente punta a risvegliare l’attenzione verso il principale centro montano del Vibonese. “In particolare – sostiene l’esponente di Forza Italia - la scelta dello scienziato di ritirarsi, dopo aver capito le potenzialità delle sue scoperte, in un convento per distaccarsi dal mondo, farebbe riscoprire il valore umano di Majorana e potrebbe stimolare una riflessione sugli effetti della frenesia dell’epoca moderna. Credo che Serra San Bruno debba concentrarsi su questa vicenda e mettere in campo una serie di studi per andare a fondo su tutti i segreti che avvolgono il monastero del Santo di Colonia. Non si tratta di un sistema per autopromuoversi a nuova realtà culturale – precisa De Raffele - ma di un atto doveroso nei confronti delle diverse generazioni che hanno il diritto di sapere cosa sia accaduto, nel corso dei secoli, entro la cinta turrita. A mio parere, si deve partire da una dettagliata valutazione delle decisioni di Majorana cercando di rendere merito alla sua intelligenza e alla sua lucidità. Pertanto – conclude il rappresentante della maggioranza - mi attiverò da subito invitando la commissione Toponomastica ed il Consiglio comunale ad intitolare una piazza o un parco verde (una via esiste già) al professore di Fisica teorica e promuovendo un apposito convegno per cominciare ad avvicinare la cittadinanza a questo luminare”. Si intensificano, dunque, le indagini sulla vita di Ettore Majorana dopo i libri “L’Angelo che custodiva gli atomi” e “Dieci misteri certosini”, elaborati rispettivamente da Lomorandagio (Girolamo Onda) e Mirko Tassone.

 

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