Sede milanese della Regione, Nicolò condanna l'immobilismo della Giunta Oliverio: "Soldi buttati"

"La sede milanese della Regione è rimasta chiusa per l’intera durata di Expo 2015 e la Calabria ha perso una ulteriore preziosa occasione di visibilità e promozione nell’ambito di un’iniziativa internazionale che ha registrato grande affluenza di visitatori da tutto il mondo e riscosso generale successo". A stigmatizzarlo è il presidente del Gruppo di Forza Italia alla Regione Alessandro Nicolò che "condanna l’immobilismo del Presidente Oliverio e della sua Giunta. Totalmente smentito dai fatti l’annuncio roboante del Presidente della Regione che aveva parlato di 'presenza continuativa' e di volontà di 'recuperare la sede per farne una vetrina nel cuore di Milano per il nostro patrimonio naturalistico, paesaggistico, storico, culturale ed enogastronomico'. Nulla di più falso". "Al di là dell’inaffidabilità nel tenere fede agli impegni assunti platealmente, dobbiamo constatare l’incapacità dell’attuale classe dirigente regionale di sfruttare e capitalizzare le grandi potenzialità di una esposizione universale, occasione irripetibile di marketing e valorizzazione territoriale". "A connotare ancor più negativamente la vicenda è stata la manifestazione di volontà, anche questa rimasta lettera morta, di procedere in breve tempo al recupero e alla riqualificazione della sede. Ormai siamo fuori tempo massimo. E quel che è più grottesco è che la Regione Calabria, e dunque i cittadini calabresi, continuino a pagare il canone di  locazione per un presidio pubblico inutilizzato. Un atteggiamento grave ed irresponsabile che indigna anche i tanti calabresi emigrati al Nord i quali hanno fatto sentire la loro voce in missive piene di rabbia e delusione. Sentimenti di orgoglio tradito per una sede che negli anni ’70-’80 promuoveva le bellezze paesaggistiche e il patrimonio culturale e che ora al contrario, ha le serrande abbassate, le vetrine polverose, 'rendendo una cattiva immagine dell’Istituzione da Lei rappresentata'. Si giunge a chiedere persino un dibattito pubblico adducendo che 'anche in questi mesi il canone (8.000 euro al mese) è stato pagato regolarmente' e che 'in sostanza dalla sua elezione ad oggi abbiamo speso quasi centomila  euro d’affitto per tenere i locali vuoti e chiusi. Almeno un milione di euro buttato al vento contando 10-15 anni di reale inutilizzo della sede"."Su queste questioni – rilancia Alessandro Nicolò - è necessario che si faccia piena chiarezza ed è altresì perentoria la nostra richiesta di assumere le giuste determinazioni scegliendo di attivare la sede e renderla pienamente operativa e funzionale per la Calabria, altrimenti dismetterla, investendo queste somme in diversi progetti di sviluppo che abbiano sicure ricadute per il progresso della nostra regione". 

 

'Ndrangheta, boss condannato per un omicidio del 1976

Il giudice per le udienze preliminari Alessandra Simion, all'epilogo del processo celebrato con rito abbreviato presso il Tribunale di Milano, ha irrogato una condanna a trenta anni di carcere nei confronti del presunto boss Rocco Papalia. E' stato giudicato colpevole dell'assassinio di Giuseppe De Rosa, ammazzato a pistolettate a Milano il 9 ottobre del 1976. Ad inchiodare Papalia, su cui gravava l'accusa di omicidio volontario, è stata una conversazione intercettata dai Carabinieri nell'aprile di tre anni fa. Le indagini sono successivamente sfociate nell'operazione denominata "Platino" e realizzata sotto il coordinamento dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia della città meneghina. 

 

 

L'altra piazza Fontana, ovvero la strage dimenticata

Milano, un’esplosione, morti, feriti. Un città attonita, alla ricerca di un perché. La giustizia non riesce a fare giustizia. Arresti, scarcerazioni, servizi segreti, sicofanti e delatori; innocenti in galera, colpevoli a piede libero. Anni d’indagini, ma nessun responsabile. Un mistero, un autentico buco nero. Una lista di fatti che sulle prime sembra ricondurre alla strage di piazza Fontana. Eppure quella storia, ormai conosciuta, in tutti i suoi risvolti processuali, ha un precedente, meno noto, ma non per questo meno cruento e doloroso. Una vicenda sinistra stranamente consegnata all’oblio. I fatti. Il 12 aprile 1928, Milano si sveglia rischiarata da un tiepido sole primaverile. La città è in fermento, per le 9,45 è atteso l’arrivo di Sua Maestà il re d’Italia, Vittorio Emanuele III. Motivo della visita, l’inaugurazione della IX Fiera Esposizione. I milanesi accorrono in massa. Ben presto, però, il clima di festa si tramuta in tragedia. Non sono ancora le dieci ed un sordo rimbombo costringe il corteo reale ad una inopinata deviazione. Il sovrano apprende il motivo dell’improvviso mutamento di programma solamente una volta giunto a destinazione. Lungo il percorso stabilito, al n. 18 di piazzale Giulio Cesare, il fumo denso e acre si appena diradato quando i superstiti ed i soccorritori assistono ad uno spettacolo da tregenda. Sul selciato, con le carni dilaniate dalle schegge, più di cento persone. Alcune gemono, altre piangono, altre non si muovono più. I morti, alla fine, saranno 20, 100 i feriti gravi ed i mutilati. Che cos’é successo? Approfittando del trambusto dei preparativi, qualcuno, ha aperto un lampione in ghisa e vi ha collocato al suo interno un ordigno congegnato per uccidere. A compiere l’azione sono stati dei professionisti. Come scriverà nella sua relazione, il tenente colonnello Mario Grosso, il perito nominato dalla procura, “l’idea di trasformare il basamento del fanale in una vera e propria granata, è maturata nella mente di uno o più individui che hanno ponderato e studiato bene il sistema e che denotano di possedere la tendenza a congegnare le cose in modo da essere sicuri del fatto loro”. Fin dall’inizio le indagini vengono coordinate dal capo della polizia, Arturo Bocchini. A Milano, dal 1927 a capo dell’Ispettorato generale di polizia, opera Francesco Nudi che, nelle indagini, assumerà un ruolo da protagonista. Gli inquirenti non tralasciano nessuna pista. Bocchini dispone di indagare anche sulle associazioni jugoslave; un filone d’indagine interesserà alcuni esuli armeni, relegati in Puglia, a causa del genocidio perpetrato ai loro danni dalle truppe turche nel corso della Prima guerra mondiale. Come per la bomba alla banca dell’Agricoltura, inizialmente la pista più accreditata sembra essere quella anarchica. Un’ipotesi suffragata da un precedente. Il 23 marzo 1921 alcuni militanti anarchici si erano resi responsabili della strage al teatro Diana. L’attentato, organizzato per assassinare il questore Gatti, considerato il persecutore di Enrico Malatesta, aveva causato la morte di 17 persone ed il ferimento di altre 60. Scartata l’ipotesi anarchica, le indagini si concentreranno sul partito comunista. A questo punto, l’attentato alla fiera conoscerà il suo Valpreda. Romolo Tranquilli, fratello minore del dirigente comunista Secondino, che diverrà, in seguito, noto con lo pseudonimo di Ignazio Silone. Rivelatasi infondata anche la pista comunista, gli inquirenti si indirizzano, dapprima sul gruppo “Pietre” di Lellio Basso, in un secondo momento su alcuni militanti di Giustizia e Libertà. E proprio sul movimento, fondato da Carlo Rosselli, si condenseranno i maggiori sospetti. In particolare, anche grazie alla spiata di un delatore, Carlo Del Re, finiranno nella rete della polizia esponenti di primo piano come: Ernesto Rossi, Riccardo Bauer e Vincenzo Calace. Ad avvalorare il coinvolgimento di esponenti di Gl contribuiranno, tra l’altro, due fatti. Il primo, consumatosi il 15 maggio 1931, quando, alla vigilia del processo al gruppo milanese di Gl, verranno recapitati due pacchi bomba alle sedi del Popolo d’Italia e del Corriere della Sera. Il secondo si consumerà, invece, il 2 luglio dello stesso anno, quando alla stazione di Roma Tiburtina una deflagrazione investe ed uccide due addetti al controllo merci. A causare l’esplosione un  baule proveniente dalla Francia, il paese che ospita il maggior numero di fuorusciti. Tra giugno e settembre verranno messi a segno ben dodici attentati in tre diverse città, Genova, Torino, Bologna. Lo stillicidio verrà fermato solamente ai primi di settembre, quando in un appartamento, del capoluogo ligure, verrà arrestato Domenico Bovone, trovato in possesso di un ingente quantitativo di esplosivo. In seguito all’arresto riprende vigore l’ipotesi che conduce a Giustizia e libertà. Il maggior indiziato diviene, quindi, Dante Fornasari, considerato, tra l’altro, autore di un attentato perpetrato ai danni dell’Arcivescovado di Milano il 28 dicembre 1928. L’inchiesta che coinvolge anche Calace, Bauer, Rossi, Poloni e Giopp momentaneamente si arresta. Le indagini ricevono nuovo impulso nel 1935, ma si arenano subito dopo. Alla caduta del Fascismo si prova, ancora una volta, a fare luce sulla vicenda. Sul banco degli imputati sempre gli stessi esponenti di Giustizia e Libertà. Poi l’oblio, il silenzio. A provare a riempire un vuoto storiografico durato più di mezzo secolo, qualche anno addietro è uscito un libro, “Attentato alla Fiera”, nel quale l’autore, Carlo Giacchin, interrogandosi sulle cause del lungo silenzio, scrive: “ La risposta, probabilmente, è più semplice, di quanto si possa pensare. E’ la paura della verità. La paura di scoprire che, dietro alla bomba di piazzale Giulio Cesare, ci fosse una verità imbarazzante. Imbarazzante perché, al di là delle dichiarazioni, la parte politica che si ispirava all’antifascismo di Giustizia e Libertà temeva di scoprire un qualche suo coinvolgimento”. Vittime senza giustizia, quindi, per paura della verità. Un’altra, forse l’ultima, analogia con la strage di piazza Fontana.

 

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'Ndrangheta: condannati i 40 imputati del processo "Rinnovamento"

Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano ha condannato i quaranta imputati che sette mesi fa erano stati tratti in arresto nel contesto delle indagini sfociate nell'operazione "Rinnovamento". Un'inchiesta che aveva messo nel mirino gli interessi criminali dei clan della 'ndrangheta nella città meneghina. Le pene comminate dal magistrato sono arrivate a toccare i 20 anni di carcere. La punizione più elevata è stata disposta a carico di Giulio Martino, considerato il boss del clan legato al gruppo delinquenziale di Reggio Calabria De Stefano-Libri-Tegano. Cristiano Sala, imprenditore interessato al catering allestito in occasione dei match disputati dal Milan allo stadio San Siro, dovrà scontare 4 anni e 4 mesi di reclusione. Corruzione, estorsione, traffico di droga ed infiltrazioni nelle gare d'appalto sono stati i comportamenti illeciti contestati dagli inquirenti. Associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico internazionale illecito di sostanze stupefacenti, corruzione di pubblico ufficiale, estorsione, traffico di armi, i reati, a vario titolo, di cui sono stati riconosciuti colpevoli i soggetti finiti a processo. 

Lavoro: 500 assunzioni per l'Expo

Multi Time, società milanese attiva nel settore del marketing operativo, ha lanciato una campagna di reclutamento per 500 fra hostess e steward, che opereranno per sei mesi nell’ambito dei tantissimi eventi legati all'Expo. Date le caratteristiche degli eventi, si tratta di lavoro su turni, compresi sabati e domeniche. Le candidature si possono inviare tramite il sito www.multitime.it.

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