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Serra: La Pro loco vince l'ennesima sfida

SERRA SAN BRUNO - La Pro Loco di Serra San Bruno, insieme al gruppo scout Serra 1 e all'associazione culturale Il Brigante, vince anche la "scommessa carnevale". Una scommessa difficile, in quanto negli anni passati il carnevale nella cittadina della certosa si caratterizzava per la presenza di maschere anonime. Moltissima gente entusiasta, accogliendo l'invito dei ragazzi della Pro Loco, ha partecipato alla Prima edizione del Carnevale Serrese. Principesse e principi, pirati e pagliacci, il " comodino disordinato" e tante altre originalissime mascherine hanno colorato la domenica di carnevale che da tanto tempo ormai si colorava di un grigio spento e dato vita ad un corteo che ha attraversato le vie principali del paese. Preziosa la collaborazione del gruppo scout Serra 1 e dei ragazzi dell' associazione culturale “Il brigante”, che hanno animato a ritmo di tamburelli, con balli, canti e con la presenza dei giganti Mata e Grifone la grande sfilata per le vie del paese. Insomma, anche questa volta la Pro loco di Serra San Bruno, capitanata dal presidente Franco Giancotti, ha dato dimostrazione che con poche risorse ma tanta buona volontà, lavoro, impegno e sopratutto collaborazione si può dar vita a manifestazioni di successo. Purtroppo a causa della pioggia la premiazione delle maschere più originali é stata rinviata. Finalmente Serra San Bruno rivive, grazie soprattutto alla rinascita dell'entusiasmo dell'intera popolazione che oramai vuol scrollarsi di dosso l'immobilismo e il grigiore degli anni passati.


Quando c'era il carnevale

La festa del Carnevale ha avuto, fino alla seconda metà del Novecento in Calabria, importanza e centralità nelle comunità calabresi e nonostante ciò, lo studio e l’interesse rivolto ad esso è sempre stato marginale rispetto al lavoro dedicato ad altri aspetti della cultura subalterna delle classi popolari. La scomparsa del Carnevale “tradizionale” ne rende ancora più difficile la ricostruzione. Un patrimonio perduto fatto di riti, suoni, sapori e “spirito”. Il Carnevale abbracciava un lungo periodo che solitamente andava dal 17 gennaio, (festa di S. Antonio Abate) identificato nella festa come Sant’Antuoni di lu puorcu al martedì grasso. Marti di lazata (lazari in serrese vuol dire conservare) o marti di l’azata (l’alzata del gomito per salutare le feste carnevalesche e conservare le carni del maiale appena “sacrificato”). Pochi sanno che le domeniche di Carnevale, nelle Serre e nelle pre-Serre erano quattro: quella degli amici, quella dei compari, quella dei parenti (o dei denti) e quella di Carnevale. Grande protagonista della festa restava comunque il maiale. Attorno a lui, simbolo dell’abbondanza alimentare, riserva familiare di carni salate e grassi utilizzati poi nella cucina, quando ancora il colesterolo non si era insinuato nelle nostre vene, la festa veniva costruita. Il grande abate Padula da Acri in una sua raccolta di scritti sociali, ci lascia questo detto popolare :

Amaru chi lu puorcu non s’ammazza,

cà e vide e li desidera i sazizzi.

E ancora

Miegliu criscere ‘u piorcu ca ‘nu figliu

Puru l’ammazzi e ti n’unti lu mussu.

Ai più indigenti infatti, veniva consigliato “Di lardaruolu ‘mpignati ‘u figghjiuolu”, pur di non rimanere senza carne di maiale in questi giorni di festa.  Lardaluoru era il giovedì grasso, giorno in cui il carnevale vero e proprio aveva inizio, festa che si concludeva poi con lo “scoppio” della pancia di Carnilivari rimpilzatosi d’ogni ben di Dio. Una sorta di esorcismo alla fame, agli stenti che erano compagni di viaggio della stragrande maggioranza dei calabresi. La farsa, ( come i Maggi e le Buffonate) è il teatro povero di strada spesso improvvisato e sempre di tradizione orale delle quali le testimonianze scritte sono davvero esigue, era presente in tutte le comunità, essa costituisce un genere antico risalente alle commedie latine.  Imprescindibile per capire lo spirito del Carnevale è l’opera di, Michele De Marco, (Ciardullo) che nei suoi scritti dedica ampio spazio alla festa e allo sfortunato suino “protagonista forzato” della stessa. Amori ostacolati o testamenti scherzosi, figure come Pulcinella o lo studente calabrese (spesso caratterizzato negativamente), propri della commedia napoletana, tornano ricorrenti nelle farse calabresi. In tanti paesi le farse erano riti esercitati dall’intera comunità con modalità espressive di classi sociali diverse. La contrapposizione non era solamente di tipo locale e classista. La satira era diretta a tutte le categorie sociali, ma anche a forestieri, dei quali spesso si prendeva di mira ridicolizzandolo il dialetto diverso, agli abitanti di un paese vicino (esempio lampante in Serra le poesie di Mastro Bruno dedicate ad esempio ai brognaturesi) ma anche agli abitanti di un'altra zona del paese e, spesse volte, ironica nei confronti degli appartenenti al proprio gruppo sociale. Gli attori, che nelle piazze inscenavano anche più atti, con delle vere e proprie scenografie anche se scarnite e minimali, provenivano spesso dagli ambienti più poveri. Non vi erano comici di mestiere ma “stabili recitatori”. I recitatori, i suonatori, erano spesso contadini, braccianti artigiani che una volta appalesata la loro bravura nell’imitare e nel far ridere, erano chiamati in altre occasioni conviviali durante l’anno come matrimoni o battesimi. L’ondata di migrazione degli anni Cinquanta, segna la fine dell’antica festa. La cultura tradizionale subisce un’inarrestabile declino e una grave e profonda trasformazione. Il Carnevale già in quegli anni si disgrega, diventa simbolo dell’erosione radicale dell’antica ritualità contadina. Da qui, parte la trasformazione della festa fino a scivolare in quella che oggi rappresentiamo anche in Calabria alle nuove generazioni.  Un ruolo decisivo svolgono gli emigrati che ritornano e infatti, se da una parte rimangono custodi della tradizione, congelata nei loro ricordi al momento della partenza, dall’altra introducono nuovi usi e diventano inventori di nuove tradizioni. La festa contadina muore quando gli emigrati (e quelli che sono rimasti) realizzano gli antichi sogni alimentari, soddisfano una antica fame di carne e di pane bianco che li perseguita da secoli ottenendo quella quantità di cibo che un tempo eccitava i loro sogni, la loro fantasia, il loro spirito carnevalesco, che gli permetteva di ridere delle propria fame e dei propri bisogni e di sfidare la miseria. Carnilivari, festa dell’abbondanza e del cibo, che aveva valore propiziatorio e fondante, si avvia alla fine, come quando il martedì sera veniva bruciato il suo fantoccio fatto di paglia e di stracci.  

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Serra: "1800 euro per una delibera"

La politica ha i suoi costi, si sa. E’ il prezzo da pagare alla democrazia. Certo, la democrazia non dovrebbe degenerare in oligarchia, ma questo è un altro discorso. L’argomento di cui intendiamo occuparci, è più prosaico, più spicciolo, in linea con i suoi protagonisti. Se non vivessimo a Serra San Bruno, dall’amministrazione comunale ci aspetteremmo un impegno proiettato alla soluzione dei problemi che affliggono la nostra cittadina. Scrivere l’elenco delle cose da fare, rischia di essere un esercizio stucchevole, poiché di cose da fare ce ne sarebbero veramente tante. Ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta. Ma il sindaco e la sua maggioranza non sembrano pensarla allo stesso modo. Felicemente assisi sul trono degli ignavi, si fanno scivolare addosso qualunque critica. Refrattari a soluzioni, proposte o iniziative, assomigliano ai vecchi mercanti dei bazar, che se ne stanno pigramente seduti a crogiolarsi tutto il giorno. Come quei mercanti, non si fanno distrarre da niente e da nessuno, l’unico sussulto di vitalità lo manifestano quando qualcuno si avvicina troppo alla loro mercanzia. Solo allora, si alzano con inusitata rapidità e sono disposti a metter mano al coltello pur di difendere i loro averi. I nostri amministratori, si comportano esattamente allo stesso modo. A guardarli, politicamente parlando, s’intende, sembrano statue esposte al museo delle cere. Fermi, immobili, fino a quando qualcuno non si avvicina troppo alla loro mercanzia. Direte voi, via! Gli amministratori non posseggono mercanzie! Ed, invece, ce l’hanno, eccome se ce l’hanno. Provate a mettere in discussione un assessorato, provate a parlare di avvicendamento e vedrete. Come quel mercante arabo, scatteranno, pronti a difendere con le unghie e con i denti la loro poltrona. Si sarebbe indotti a pensare che lo fanno perché vogliono portare a compimento il loro mandato, che hanno in cantiere chi sa quale progetto o iniziativa. Si potrebbe pensare che, legittimamente, desiderino lasciare il segno della loro attività. Chi dovesse pensarlo, rischierebbe però di incorrere in un clamoroso errore. Perché l’unico motivo per il quale i componenti della giunta cittadina si arroccano a difesa del loro piccolo posto al sole, sembra, essere un più prosaico interesse di bottega. In altre parole, quel che sembra abbiano più a cuore sono gli  euro garantiti dall’indennità di carica, che nel loro caso assomiglia maledettamente ad una vera e propria prebenda. Come definire, altrimenti, uno stipendio percepito, non in nome del lavoro che si svolge, ma solo in ragione del ruolo che si ricopre. Per esserne definitivamente persuasi, è sufficiente mettere mano all’albo pretorio comunale, dove emerge con evidente imbarazzo che, nel primo mese dell’anno, la giunta ha deliberato solo tre volte. Si, avete letto bene. Come se Serra fosse un’isola felice, dove i servizi funzionano e la disoccupazione non esiste, sindaco ed assessori si sono riuniti soltanto tre volte. A questo punto, viene da chiedersi, quanto i cittadini paghino mensilmente, a sindaco ed assessori, per l’espletamento del loro mandato? La risposta è semplice. Si tratta di una cifra non trascurabile che ammonta a, poco meno, di 5.400 euro. Ora, facendo rapidamente due calcoli, si desume che ogni delibera prodotta nel mese di gennaio è costata ben 1.800 euro. Una cifra spropositata, se non fosse, che, oltre alle delibere, sindaco ed assessori, avranno prodotto una mole di lavoro di cui i serrese possono apprezzare quotidianamente i frutti.

*Consigliere comunale - Gruppo "Al lavoro per il cambiamento"

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La "Trasversale" ed i misteri della bretella

Lungo l’asse della sedicente Trasversale, le cui buffe vicende abbiamo già narrato, non sono solo quelli i misteri che nessuno spiega, e tra questi senza dubbio il più strambo è quello della Bretella.

 Dicesi, o piuttosto si dovrebbe dire Bretella un tratto di strada che dovrebbe, diciamo avrebbe dovuto collegare Gagliato con Petrizzi. Le motivazioni per cui i due borghi avvertano l’urgenza di essere collegati, mi sono ignote, stante la rarefazione della popolazione gagliatese, e poco meno quella di Petrizzi, che comunque non va a Gagliato. Primo mistero: a che serviva una strada.

 D’ora in poi vado a memoria: non ho documenti, e temo che anche il commissario Montalbano in persona stenterebbe a trovarli. Una decina di anni fa si sparse la voce che la Bretella avrebbe seguito il percorso Gagliato – Turriti – Campo; e avvennero degli espropri di terreni, con relativi ricorsi eccetera. Poi si seppe che niente valle, tutto a monte. Secondo mistero: perché cambiare strada.

 Lasciata dunque la valle del Turriti, che fine hanno fatto gli espropri? Terzo mistero: gli espropri.

 Iniziano i lavori a monte, con piloni, sbancamenti, tubi, ferro, muri di contenimento, e soldi, soldi, soldi, tantissimi soldi. Quarto mistero: quanti soldi?

 A questo punto, circa sei o sette anni fa, mi pare, muri ferro sbancamenti piloni tubi eccetera, tutto finisce nel nulla eterno, e l’erba, potente segno della Natura, si sta mangiando tutto. Quinto mistero: perché sono finiti nel nulla i sedicenti lavori?

 Sesto mistero, che non c’entra con la Bretella, ma è sempre da quelle parti: c’è una rampa all’ingresso di Gagliato che non porta da nessuna parte, però sono stati spesi denari.

ANAS, governo, regione, provincia, sindaci, giornali, intellettuali, imprenditori, agricoltori, e la magistratura, con particolare riguardo alla Corte dei conti, tutti muti eccetto Ulderico Nisticò con cui sono tutti d’accordo e poi se ne fregano. Settimo mistero.

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Simbario, quando a carnevale si festeggiava la nascita del figlio

Ogni popolo ha le sue tradizioni, ogni paese i suoi costumi. Una regola ferrea, soprattutto, in una nazione, come l’Italia, dove, a tratti, la diversità sembra essere l’unico, vero, elemento unificante.

Una millenaria diversità che emerge, con prepotenza, nella rappresentazione delle festività, nel corso delle quali, attorno ad un elemento archetipico unificante, si sono sviluppati modelli celebrativi totalmente diversi.

A questa regola, generale, non fa eccezione, neppure, il carnevale che pur finendo, per tutti, alla mezzanotte del martedì grasso, inizia in giorni e tempi differenti a seconda delle diverse zone.

Una ricorrenza che per molti rimanda ai Saturnalia romani, anche se, in realtà, rappresenta la reinterpretazione cristiana di una festa di passaggio da un anno all’altro, che si ritrova in varie tradizioni, sia orientali, che occidentali.

Sull’origine del nome, poi, c’è una pluralità di ipotesi, alcune delle quali riconducono al latino medievale “carni levatem”, ovvero “sollievo per la carne”, nel senso di temporanea liberazione dagl’istinti più elementari.

Altre, invece, come segnala Alfredo Cattabiani, nel suo “Lunario”, la interpretano come “carnes levare, cioè togliere le carni, o da carni vale!, “carne addio”, perché una volta in questo periodo si esaurivano in orge gastronomiche le ultime scorte di carni prima della primavera”.

In ogni caso, filo conduttore del periodo carnascialesco, erano le follie, gli scherzi e le beffe. Così, attorno al carnevale, ogni comunità ha costruito la sua tradizione ed ogni paese lo celebra alla sua maniera, secondo un canovaccio che, in molti casi, rimanda a qualche, non sempre documentato, episodio storico. Prova ne è, ad esempio, il celebre carnevale d’Ivrea, con la sua tradizionale battaglia delle arance, nel corso della quale viene ricordata la medievale rivolta della popolazione contro i feudatari.

In altri casi, invece, la tradizione ha lasciato il passo ad un nichilistico progresso, che nel volgere di pochi anni, ha portato alla dispersione di un patrimonio che affondava le sue radici in secoli di storia.

Tra le tradizioni, più eccentriche e bizzarre, svanite del nulla, quella che si celebrava a Simbario, dove il carnevale era l’occasione per festeggiare la nascita del primo figlio.

Una “costumanza” riportata da Bruno Maria Tedeschi, in una delle relazione contenute nel “Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato – Distretto di Monteleone di Calabria”, pubblicato nel 1859, nella quale, il sacerdote serrese scrive: “Il genitore […] non può esimersi dalla obbligazione di far festa, che ordinariamente si riserba pei giorni di carnovale. Allora si riuniscono tutti gli amici, che non sono pochi, e assaltano schiamazzando, con le maniere più rozze del mondo, il nuovo padre di famiglia, il quale già preparatosi a quell’attacco, come vuole l’uso, deve abbandonarsi ad una fuga precipitosa, e quelli ad inseguirlo, menando furiosamente le calcagna”.

La folle corsa per le vie del paese aveva un suo scopo preciso, non a caso, finiva sempre allo stesso modo.

Una volta raggiunto, il novello padre “viene coperto di mantelli e di lenzuola in modo da rimanerne schiacciato; poscia posto a cavalcioni sopra pertiche incrociate in guisa di barella, viene trasportato in mezzo ad un baccano di risa”, manco a dirlo, “nella taverna, ov’è nell’obbligo di far gli onori a tutti quei compagnoni”. Iniziata la festa, com’è facilmente intuibile, i rumorosi ospiti “non mancano di alleggerire il commestibile, e dar fondo a un competente numero di barili di vino, alternando le libazioni con canzoni, brindisi e balli grotteschi, che appena la notte interrompe”.

Una festa caratterizzata, quindi, dalla spropositata assunzione di cibo e vino, da parte di uomini che, con il neo padre, festeggiavano il carnevale, ovvero, quel limes oltre il quale iniziavano i rigori della quaresima, con i suoi giorni di “magro”, senza carne e senza stravizi.

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Serra: Rosi il tempo è scaduto

SERRA SAN BRUNO - La matassa, si sa, è difficile da dipanare. Il groviglio dei veti incrociati e le rivendicazioni personali di alcuni membri della guarnigione azzurra, il cui traguardo è una poltrona, stanno impantanando il sindaco Bruno Rosi. Ma nella palude c’è piombata anche l’intera cittadina che da mesi, ormai, aspetta un nuovo esecutivo e sconta la cattiva salute di una maggioranza che non riesce ad uscire dall’empasse. Se da un lato, infatti, il sindaco ostenta fiducia nella ricomposizione del governo cittadino, dall’altro il tempo stringe la borsa e la necessità di dare una svolta all’ultimo anno di amministrazione prima della tornata elettorale è quanto mai indispensabile. In ballo non c’è soltanto l’attività amministrativa, ma anche la ricandidatura di Rosi. Il primo cittadino non fa mistero di voler essere ricandidato ma nel contempo sarebbe pronto a farsi da parte qualora non dovesse portare a termine alcuni degli obiettivi che si è prefissato. Quali? La fine della sospensione del taglio dei lotti boschivi che dovrebbe portare nelle casse comunali una boccata d’ossigeno e la soluzione del problema dell’acqua. Questi, dunque, i punti sui quali Rosi ha intenzione di giocarsi il suo futuro amministrativo. Ma, come si suol dire, ha fatto i conti senza l’oste. Cioè non ha fatto i conti con la scelta dei membri dell’esecutivo cittadino che dovrebbero affiancarlo in quella che si presenta come una lotta contro il tempo. Mai, così come in questo frangente, il sindaco, ha bisogno di uomini all’altezza della situazione. Come diceva Eduardo De Filippo: «Il presepio è bello ma i pastori non sono buoni». L’Avvento è finito ed ora è tempo di cambiarli.

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Serra e la crisi: ecco cosa è cambiato nell’ultimo lustro

SERRA SAN BRUNO – La sensazione, confermata dai numeri, è che la cittadina della Certosa si stia trasformando, diversificando la sua popolazione e, nel contempo, perdendo risorse umane. Basta “vivere” le strade per notare il soffio di un vento cosmopolita e il mutare delle esigenze dei giovani serresi che, sempre più frequentemente, scelgono di lasciare la propria terra per giungere alla realizzazione professionale. Questa situazione, che più o  meno ogni famiglia tocca con mano, si deduce anche dai dati, che confortano l’ipotesi di un processo di cambiamento avvertito – con diversa intensità a seconda delle aree - in tutta la Penisola. Ma scendiamo nei dettagli per verificare quanto sta avvenendo.

Innanzitutto, la popolazione sostanzialmente non cresce perché in un contesto socio-economico con troppe incertezze le coppie sembrano restie a tradurre il loro sentimento nella nascita di un figlio. Ragionamento comprensibile visti i rischi derivanti dall’atavico ritardo di sviluppo a cui si sono andati a sommare gli effetti nefasti della congiuntura economica.

 

 TAB. 1 – DINAMICHE DEMOGRAFICHE SERRA SAN BRUNO

 

2010

2011

2012

2013

2014

Nati

79

53

85

65

51

Morti

60

60

66

62

69

Diff. (A)

19

-7

19

3

-18

 

Preoccupa inoltre il trend delle persone che si trasferiscono altrove (residenze cancellate): rimane alto il livello di chi emigra per motivi di studio o di lavoro ed è facile desumere che nell’entroterra vibonese venga percepita una sorta di assenza di opportunità di crescita. E chi parte spesso non torna perché evidentemente la differenza di benessere, al netto della mancanza degli affetti familiari, è elevata.

Altalenante, ma con picchi significati, è il flusso delle persone che arrivano a Serra e vi pongono la loro residenza (nuove residenze). Non si tratta di lavoratori provenienti dai centri confinanti (come riscontrato nei decenni precedenti) e, d’altronde, non ve ne sarebbe motivo in considerazione della graduale chiusura o del ridimensionamento degli uffici pubblici. Sono piuttosto abitanti dell’Est europeo o extracomunitari che sperano in condizioni di vita più favorevoli. E sono coloro che arrivano nella nostra regione ponendo in essere nuove attività commerciali o essendo disponibili a compiere lavori più umili non sempre accettati dai residenti.

 

TAB. 2 – FLUSSI MIGRATORI SERRA SAN BRUNO

 

2010

2011

2012

2013

2014

Nuove residenze

104

112

88

179

81

Residenze cancellate

107

131

141

151

121

Diff. (B)

-3

-19

-53

28

-40

 

Il risultato di questi fattori è il progressivo svuotarsi dei tratti caratterizzanti di un paese che, con la sua gente, perde le sue tradizioni senza adeguarsi correttamente alla globalizzazione.

 

TAB. 3 – VARIAZIONI NELLA POPOLAZIONE SERRA SAN BRUNO

 

2010

2011

2012

2013

2014

Diff. (A)

19

-7

19

3

-18

Diff. (B)

-3

-19

-53

28

-40

Variazione tot.

16

-26

-34

31

-58

 

A riprova delle difficoltà a permanere nel centro montano vi è la crescente disoccupazione generata, oltre che dal crollo dell’economia reale che ha aggravato lo stato di un apparato produttivo già asfittico, dalla combinazione della scomparsa dei vecchi mestieri e della formazione di giovani con competenze universitarie di fatto inutilizzabili nell’ambiente lavorativo del comprensorio serrese. Lampante, a tal proposito, è l’aumento dei soggetti disoccupati nella zona di competenza del Centro per l’Impiego di Serra.

 

TAB. 4 – DISOCCUPATI NEL COMPRENSORIO DI COMPETENZA DEL CENTRO PER L’IMPIEGO DI SERRA SAN BRUNO

 

2010

2011

2012

2013

2014

Disoccupati

1505

1796

1966

2199

2394

 

La crisi, comunque presente in ogni dove, produce poi il distacco dalle Istituzioni e dalla vita pubblica ed il segno inconfondibile è la sempre minore partecipazione alle vicende politiche.

La delusione si manifesta soprattutto negli appuntamenti elettorali: tutti i partiti perdono consensi e gli elettori dimostrano la disapprovazione non recandosi alle urne o non esprimendo alcuna preferenza. Come riferimento possono essere prese le elezioni regionali, in quanto più recente consultazione elettorale e quindi con un dato più attendibile rispetto all’analisi proposta.

 

TAB. 5 – VOTANTI ALLE ELEZIONI REGIONALI A SERRA SAN BRUNO

 

2010

2014

Votanti

4228

3409

Aventi diritto

7206

7264

% Votanti

58,67

46,93

 

Serra non è più la stessa: è doveroso prendere atto del cambiamento ed intervenire con le strategie e le azioni più opportune per non disperdere un patrimonio umano di inestimabile valore.

 

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Serra: gioiello di arte, fede e natura. Ma il presente è grigio...

Quando si scrive Serra San Bruno si legge Certosa. È già abbastanza ricca la letteratura e la manualistica certosina. Da ogni parte del mondo: poeti, storici, scrittori, giornalisti, scienziati, teologi si sono avvicendati attorno alla storia di questo preziosissimo bene culturale che Serra custodisce gelosamente, orgogliosa com’è di essere stata eletta primogenita della scelta di San Bruno, quando venne in Calabria al seguito del suo discepolo, il Papa Urbano II al quale rifiutò la nomina di vescovo di Reggio Calabria e soprattutto gelosa di custodire e venerare le reliquie del Santo che qui vi morì il 6 ottobre 1101. Tra i tanti studiosi della Certosa mi piace ricordare: Benedetto Tromby, Domenico Taccone Gallucci, Benedetto Croce, Andrè Ravier, Bruno Maria Tedeschi, Agostino Ribecchi, Cesare Mulè, Corrado Iannino, Tonino Ceravolo, Sharo Gambino, Ilario Principe, Enzo Romeo, Pietro De Leo ed altri;  tra i visitatori illustri cito: il re borbonico Ferdinando II, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, lo statista Alcide De Gasperi, molti viaggiatori stranieri del ‘700-800, il Cardinale Carlo Maria Martini, oltre Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI. Oggi finalmente la Certosa vive il suo millenario silenzio e la sua clausura come voluto dalla sua Regola cartesiana, senza più invasioni di turisti o semplici curiosi. Infatti nell’estate del 1994 è stato inaugurato il Museo della Certosa allestito all’interno dello stesso muro di cinta e ai piedi dell’antico torrione sopravvissuto al terremoto. Si tratta di una struttura di 1200 mq che ricostruisce quasi fedelmente l’atmosfera della vita claustrale dei Certosini. Ma Serra San Bruno non è solo Certosa: è la città dell’arte nel verde. Entrando in Serra è d’obbligo visitare, perché no, il cimitero monumentale ricco di quattro artistiche chiesette e di tanti monumenti sepolcrali in granito, marmo e bronzo e tra i tanti spicca il monumento granitico dell’artista serrese Biagio Lo Moro e la statua bronzea del Redentore dello scultore Salvatore Pisani di Mongiana. Percorrendo, poi, il centro storico visitiamo le quattro chiese che, come ha scritto Enzo Vellone, “sono la prova del nove di un grande retaggio architettonico ben innestato in un contesto paesaggistico e ambientale quasi unico”. La prima di queste è la chiesa arcipretale, la Matrice, detta anche di San Biagio, con artistica facciata in granito a tre navate ed edificata nel 1785; all’interno sono conservate pregevoli opere marmoree, lignee ed oggetti sacri in metalli preziosi, molti di questi provengono dalla Certosa rinascimentale. La seconda è il prezioso tempietto dell’Addolorata di architettura barocca del 1721, ad una sola navata con portale esterno in bronzo del serrese Giuseppe Maria Pisani ed il ricco portale interno ligneo del “professore” Salvatore Tripodi. Pochi metri più in là, la chiesa, la più antica, dell’Assunta detta anche di San Giovanni.  Infine la chiesa, anche questa, dell’Assunta, è detta dello Spinetto dal nome del nuovo quartiere sorto dopo il terremoto del 1783, che custodisce un’artistica e raffinata statua lignea  dell’omonima Madonna, di scuola napoletana. Oltre alle citate chiese, a Serra si possono ammirare nobiliari palazzi con portali artistici e soffitti riccamente lavorati, fontane, obelischi e tantissime altre opere d’arte. Insomma un vero museo a cielo aperto immerso nel vede. È doveroso, qui, precisare, che tutto il ricco ed abbondante patrimonio artistico è creatura di artisti serresi: scultori, scalpellini del granito, ebanisti, architetti, pittori ed artisti del ferro battuto. Sono artisti figli di tante dinastie che vanno dai Pisani agli Scrivo, ai Barillari e ai De Francesco, dagli Scaramozzino agli Zaffino, ai Reggio e ai Lo Moro e Tripodi già citati. Sono quegli uomini d’arte che hanno costituito la leggendaria “Maestranza di la Serra” che ha arricchito, anche, tante chiese sparse in Calabria: Nicotera, Vibo, Catanzaro, Stilo, Roccabernarda, Petronà, Santa Severina ed altri e financo a Napoli dove ha operato Biagio Scaramozzino. Di sicuro, oggi, però il vero fiore all’occhiello, in termini di fede, arte e natura è il Santuario mariano regionale di Santa Maria del Bosco, forte richiamo turistico in ogni stagione dell’anno. Siamo a due chilometri dalla Certosa, nell’antico eremo certosino dove sono evidenti i luoghi abitati e vissuti dal Santo. Nello splendido scenario incorniciato da alte conifere di abeti bianchi, faggi, pini ed altre singolari piante, non solo spicca la chiesa che custodisce una bella statua della Madonna, ma di fronte a questa troviamo la cappella che ricorda la grotta dove viveva e dormiva il Santo e per testimoniarlo vi è posta la statua marmorea di san Bruno dormiente. Scendendo la caratteristica scalinata di Giuseppe Maria Pisani, vediamo il laghetto con il santo tedesco genuflesso e immerso nell’acqua a ricordo dei suoi momenti penitenziali. Questa è Serra San Bruno: città di arte, fede e natura, città testimonianza ed opera del Divino. Ma tutto questo ben di Dio par che voglia morire seppellito dall’indifferenza e dall’inettitudine degli uomini. Per dirla bruscamente, c’è gente che non ci ritorna più o che preferisce altre mete meglio raggiungibili e più accoglienti. Della  tanto cantata e suonata Trasversale delle Serre, dopo più di mezzo secolo (sic!) aperti solo alcuni tratti e pericolanti con una segnaletica che fa venire i brividi. A Serra il turista non si disseta più all’acqua limpida, cristallina e minerale ma a quella dell’Alaco. A Serra e dintorni non si può parlare più di montagna incontaminata: chi sa quali e quanti veleni sono interrati. A Serra non trovi un locale per incontri culturali manco a pagarlo a peso d’oro se non il solo Palazzo Chimirri ma spesso occupato da politici e politicanti. E quella bella struttura che è stato il Kursaal, l’hanno lasciato lentamente ed inesorabilmente decadere. Insomma ce n’è per far dire a turisti o visitatori della domenica: chi me la fa fare ad andare a Serra San Bruno?

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