E' calabrese uno dei sei borghi più belli d'Italia

C’è una Calabria nascosta che merita di essere visitata almeno una volta nella vita. In particolare, c’é un luogo, lontano dai grandi crocevia turistici, in cui il passato si tuffa ogni giorno nel presente. Si tratta di Bova, piccolo centro dell’area grecanica, dove il tempo sembra essersi fermato. Sarà anche per questo motivo che il piccolo centro del reggino è stato inserito da Google Street View nel novero dei borghi più belli d’Italia. Si tratta di un elenco composto da appena sei località, selezionate nell’ambito di “Italy Highlights”, il progetto attraverso il quale la multinazionale di Mountain View si propone di far conoscere ai viaggiatori di tutto il mondo le bellezze nascoste del Belpaese. A fare compagnia al borgo calabrese ci sono: Etroubles in Val D’Aosta, San Leo in Emilia Romagna, Sermoneta nel Lazio, Castellabate in Campania e Gangi in Sicilia. Tutti e sei i paesi, oltre ad essere ubicati in collina, fanno parte dell’elenco dei 21 borghi cui il ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha assegnato il riconoscimento  “Gioielli d’Italia”, ovvero il marchio turistico con il quale vengono promosse e valorizzate le località più affascinanti del nostro Paese. La selezione è stata fatta sulla base di una valutazioni che ha tenuto conto di diversi fattori, tra i quali, la presenza di bellezze artistiche, architettoniche, culturali ed enogastronomiche. Per verificare quanto il giudizio espresso dagli esperti di Google sia attendibile basta visitare la pagina dedicata agli Italy Highlights (la trovate cliccando qui). Tutti e sei i borghi sono stati mappati palmo a palmo con un’attrezzatura, dotata di 15 fotocamere, che ha catturato migliaia d’immagini grazie alle quali è stato possibile riprodurre integralmente ogni singolo centro storico. Il risultato è davvero notevole, il viaggio virtuale sembra proiettare lo spettatore nelle suggestive stradine dei borghi. Certo, niente di comparabile con l’emozione offerta da un’avvincente visita dal vivo.

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Il messaggio del Presidente Oliverio e dell'Assessore Roccisano agli studenti calabresi

Di seguito il messaggio che il Presidente della giunta Mario Oliverio e l’assessore regionale all’istruzione Federica Roccisano hanno indirizzatto agli studenti calabresi.

“Sappiamo bene che non è facile muoversi in un clima economico generale difficile, in cui aumenta la disoccupazione, soprattutto giovanile, sempre più si allarga il divario fra ricchi e poveri e che produce spesso faticose alternanze fra speranza e preoccupazione. Il ruolo della scuola è fondamentale per la crescita e lo sviluppo di una regione come la nostra perchè è il luogo dove si impara a riconoscere e a sviluppare i propri talenti, nella relazione e nell’incontro con gli altri; ma anche dove si impara a crescere come persone libere, dove si matura la consapevolezza e la pratica dei diritti e dei doveri di cittadinanza e la capacità di contribuire al benessere dell’intera collettività. Creare cambiamento, produrre crescita e sviluppo, cambiare rotta, invertire tendenze, significa assumere e condividere responsabilità. Nessuno ci regalerà nulla. La Calabria cambierà se noi, per primi, ci lasceremo alle spalle vecchie pratiche di un tempo ormai passato. Questo è il messaggio che oggi vogliamo inviare alla scuola calabrese, che è quello di diventare un luogo in cui crescano uomini liberi, appassionati alla propria libertà e alla propria dignità, costruttori di percorsi di legalità e rispetto delle regole. Un luogo che sappia opporsi alle differenze sociali, che sappia essere momento di aggregazione, punto di relazioni, di dialogo e di pace ed in cui ognuno possa sentirsi parte e protagonista di un progetto comune di cambiamento, indipendentemente da condizioni e situazioni particolari. Con questo auspicio, auguriamo buon inizio di anno scolastico a tutti”.

 

Politici senza idee e passacarte ignoranti, cosi' la Calabria perde i fondi europei

Ottocento milioni di euro, parte seconda Per numerose prove dirette so che Tizio o Caio quando vogliono mi leggono, quando vogliono qualcosa la chiedono; insomma, non è che quello che io scrivo in diversi siti o dico in tv non abbia spettatori e lettori, e anche Illustri Lettori. Ciò premesso, come mai nessuno degli Illustri o meno ha trovato un attimino di tempo per rispondere al mio articoletto sugli ottocento milioni (800.000.000) di euro che la Calabria rischia di perdere? Eh, non dico per dovere, che pure dovrebbero sentire, ma per dispetto, per orgoglio, per vergogna, per bile; sì, proprio per bile, come ironizza pesantemente Archiloco: “cholèn uk echeis”, dice a un nemico che non ha il fegato di replicare. Ragazzi, quante cose farei io, con ottocento milioni; anche con molto meno; quanto lavoro distribuirei, quanti giovani laureati e a spasso metterei a fare qualcosa di utile! Ma non sono presidente di niente, tanto meno di Giunta, non sono vicepresidente di niente, non sono assessore di niente, non sono consigliere regionale, provinciale, comunale di niente; ho delle idee, idee serie e praticabili, mica il canale dell’Istmo o la scuola che combatte la mafia segue cena; ho idee reali e realistiche, e per manifestarle manco mi pago… Già, non sono nemmeno un consulente regionale tipo quelli che nominò Chiaravalloti nell’elenco nel peggio umano; o l’ultima infornata di Oliverio… Attenzione, non sto chiedendo di essere nominato, perché, se lo fossi, non potrei cavarmi il gusto di mandare a farsi benedire (monsignor della Casa, dove sei?) gli inetti e ciarlieri della Regione e di qualsiasi altra diavoleria. A parte che non hanno nessuna intenzione di nominarmi niente e hanno gli amici da sistemare, non ci provino nemmeno. Torniamo agli ottocento. Ripeto che essi soldi non vengono spesi per una sinergia tra politici e funzionari: i funzionari non fanno niente, e i politici non gli fanno nulla fare. Una sinergia perfetta. I politici non hanno idee, i passacarte sono troppo ignoranti e pigri per un progetto o un’iniziativa qualsiasi. Vi prego, rispondetemi, querelatemi, date segni di vita. Magari mi querelassero: farei come la Patente di Pirandello, portando in tribunale i suddetti inutili esseri e ottenendo che debbano rispondere al giudice se non rispondono a me. Sai le risate! Ma è proprio per questo che non mi querelano, i furboni! Con tanti saluti alla Slovacchia o Polonia o chi altri si papperà i nostri ottocento milioni di euro non spesi. No, scusate, settecentonovantotto milioni e mezzo (798.500.000): un milione e mezzo lo devono spendere, è già deciso, per il cimitero di Franco Corbelli. Ottimisti e allegroni, i nostri amici! L’opinione pubblica… buona, quella! Tutti muti, e tutti pronti a votare.

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La Calabria perde i soldi ed i calabresi tacciono

Corre voce che la Calabria rischi di perdere ottocento milioni di fondi europei. Secondo un rapido calcolo, sono euro 53.333,3 periodico, o se preferite 103.000.000 e rotti lire per chilometro quadrato; in termini antropici, quattrocento (400,00) euro a testa per ogni abitante. Dite voi, è una disgrazia cosmica ma tu te la pigli a ridere e ci fai sopra dell’ironia professorale? Beh, ragazzi, manco fosse una novità!  A perdere i fondi europei e nazionali sono stati bravissimi i seguenti signori: di sinistra, A. Guarasci, A. Ferrara, P. Perugini, A. Ferrara di nuovo, B. Dominijanni, F. Principe, R. Olivo, G. Rhodio, D. Veraldi, L. Meduri, A. Loiero, M. Oliverio; di destra (ridete!), G. Nisticò, G. Chiaravalloti, G. B. Caligiuri e G. Scopelliti proseguito in Stasi; oggi li perde Oliverio? Nihil sub sole novi. E tutti i suddetti signori se ne sono fregati rotondissimamente, hanno dormito lo stesso sonni da bimbi; e la popolazione tutta, escluso solo Ulderico Nisticò, non ha mai protestato o eccepito, anzi voti a valanghe, pacche sulle spalle e sorrisi. Di fronte a così inconsistenti eletti ed elettori, volete pure che io mi arrabbi, a rischio di guastarmi il sanissimo fegato?  Sono anni, del resto, che cerco di spiegarvi perché la Regione Calabria non spende i fondi europei; voi non lo volete capire (capireste, ma non volete!), e io ci riprovo:

- da quando Cicco Simonetta commise l’errore di non eliminare Ludovico il Moro e fu il Moro a eliminare lui, cioè dal 1480, gli unici uomini politici calabresi degni di questo nome sono stati Michele Bianchi e Luigi Razza; per il resto, il convento ha passato il cibo che mangiamo;

- ma i fondi europei e di qualsiasi altra stirpe non li devono spendere direttamente i diciamo così politici, bensì funzionari (ridete!) e tecnici: e lasciatemi chiarire che la qualità dei passacarte della Regione è molto, molto inferiore quella dei politici: quanto dire! Essi sono intanto capitati lì per caso o per una delle infinite circostanze che più o meno intuiamo. Essi sono pigri come si conviene a burocrate; e totalmente privi di ogni fantasia e creatività. Essi obbediscono devotamente al primo imperativo della mamma: “Figlio mio, ti raccomando: non firmare mai nemmeno una cartolina illustrata”.

 Per spendere, del resto, servono idee e progetti. Ovvio, dite voi: ma siccome non si spendono, vuol dire che politici e scaldasedie non ne hanno, non gli passano per la mente, non sono dotati di quello che noi dotti chiameremmo sostrato mentale. Sono dei passacarte, dei dattilografi. Eh, ma pensare mica è obbligatorio! Anch’io non so quasi nulla di matematica, e le mie ultime reminiscenze risalgono agli esami di Stato del 1968… Non è colpa mia, facevo un altro mestiere. Ebbene, se mi viene l’uzzolo di sapere qualcosa, che so, di trigonometria, mi onoro di avere dei colleghi e amici di eccezionale valore, e mi faranno la carità di un ripasso. Il mezzemaniche privo di idee, ma furbo, non fa certo così: se chiedesse aiuto, ammetterebbe quello che tutti sappiamo però voi dovete fare finta di ignorare: che è senza idee e senza coraggio. Allora che fa? Non pensa, non stende progetti, rimanda indietro i soldi, e a fine mese si piglia lo stipendio. Lo stipendio, tranquilli, non è mica ladro: solo quello, il mensile, ha consigliato la mamma.  Non provate ad aiutarli, coloro, politici e travetti che siano; soprattutto, non provateci gratis. Ancora ancora, magari, se avete un amico, fatevi nominare consulenti regionali a pagamento, ovviamente esentati da qualsiasi consulenza su qualsiasi argomento; però, se vi pagano, almeno siete inutili ma fate spendere qualche spicciolo. E sono gli unici denari che la Regione sa spendere. Ora che mi sono divertito con uno spruzzo di sarcasmo, non cambia niente, come mai nulla cambiò con di sinistra, A. Guarasci, A. Ferrara, P. Perugini, A. Ferrara di nuovo, B. Dominijanni, F. Principe, R. Olivo, G. Rhodio, D. Veraldi, L. Meduri, A. Loiero, M. Oliverio; di destra, G. Nisticò, G. Chiaravalloti, G. B. Caligiuri e G. Scopelliti proseguito in Stasi; oggi Oliverio.

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Contestato a Trebisacce il commissario alla sanità Massimo Scura

Il commissario alla sanità Massimo Scura è stato duramente contestato nel corso di un consiglio comunale aperto convocato a Trebisacce per discutere del destino del locale presidio ospedaliero. Nel corso della riunione dell'assise cittadina, cui stavano prendendo parte tutti i sindaci dell'Alto Jonio, è giunto a sorpresa proprio il commissario alla sanità. Una partecipazione tutt'altro che passiva, dal momento che Scura ha preso la parola per illustrare i motivi per i quali l'ospedale di Trebisacce sarebbe da considerare superfluo. All'unisono è scattata la protesta dei cittadini che hanno impedito la prosecuzione dell'intervento e costretto il commissario ad allontanarsi scortato dalle forze dell'ordine.

Sul Corriere della Sera, gli otto chef calabresi di “Cooking Soon”

La vera ricchezza della Calabria sono i piatti poveri. Pietanze preparate con ingredienti semplici, portate alla ribalta da giovani chef che con estro e fantasia riescono a trasformare in leccornie tutto ciò che toccano.  La capacità di creare la giusta alchimia tra gli ingredienti rappresenta, però, solo la prima tappa per il successo. Quel che serve, infatti, è anche altro, la capacità di promuoversi, di fare rete, di  aprirsi al mondo. E’ ciò che hanno fatto gli otto giovanissimi chef calabresi che hanno aderito a “Cooking Soon”, il progetto che punta a “valorizzare il patrimonio culturale, artigianale e umano che vanta l’agroalimentare calabrese”. Che il format funzioni, lo testimonia lo spazio dedicato dall’inserto “La cucina” del Corriere della Sera che ha dato ampio risalto all’iniziativa. Ad attirare l’attenzione del più importante quotidiano nazionale, non solo la qualità dei prodotti proposti e la capacità di elaborarli, ma anche “la voglia di fare squadra”, il desiderio di “far diventare la Calabria una tendenza nello scenario nazionale e internazionale” mettendo  “in rete i piccoli produttori”. A comporre la squadra che anima il progetto, ci sono: Caterina Ceraudo del ristorante stellato «Dattilo» di Strongoli, Luca Abbruzzino di «Arte e cucina locale» di Catanzaro, Antonio Biafora del «Biafora Restaurant» di San Giovanni in Fiore, Gennaro Di Pace di «Osteria Porta del Vaglio» di Saracena, Emanuele Lecce de «La Tavernetta» di Camigliatello Silano, Nino Rossi di «Villa Rossi» di Santa Cristina d’Aspromonte, Emanuele Strigaro del «Novezerodue» di Crotone, Bruno Tassone del «San Domenico» di Pizzo. Si tratta di chef giovanissimi che non hanno aspettato l’aiuto della Provvidenza. Si sono messi in gioco e pur tra mille difficoltà sono riusciti ad emergere. Qualcuno, come Luca Abbruzzino ha conquistato il premio della “«Guida Espresso» come giovane chef dell’anno”. Qualcun altro, come Bruno Tassone, originario di Sorianello (VV), un paesino incastonato sull’altopiano delle Serre, ha alimentato la passione seguendo i corsi di Alma, la scuola internazionale di cucina. Oltre al “capitale umano”, nel suo inserto il Corriere ha inserito “gli otto prodotti tipici calabresi da riscoprire”. Si tratta di prodotti molto diversi tra loro, ma che vale la pena assaggiare. 

Di seguito gli otto prodotti, così come descritti su “ La cucina”

 “1)Le pesche merendelle sono un incrocio tra pesche e mele, una varietà dalla pelle liscia e colore bianco-verde-rosso;

2)La Brasilena. È una bibita gasata al gusto di caffè, prodotta in Calabria dagli anni Cinquanta;

3)I fichi d’India. Protagonista in cucina, dalla polpa gialla o rossastra. I fichi d’India si utilizzano per preparare marmellate ma anche in accompagnamento a formaggi, insalate, yogurth o secondi di carne o di pesce;

4) La ‘nduja. Regina degli insaccati calabri, è forse il prodotto più famoso della regione: un salame morbido e ultra piccante;

5) Il peperoncino. si mangia crudo, sott’olio o essiccato;

6) Tartufo gelato. Gelato artigianale tipico di Pizzo Calabro. La forma ricorda un vero tartufo ma è a base di gelato alla nocciola con un cuore di cioccolato fondente.

7) Pipi e patati. Un contorno estivo a base di peperoni (o pipi, come si dice in Calabria) e patate fritti in olio per lo più extravergine d’oliva

8) Stroncatura. Un primo dalle origine antiche: pasta di segale condita con gli ingredienti poveri della tradizione contadina calabra tra cui aglio, olio e peperoncino”

Il frutto sacro della Calabria

Sono i viaggiatori stranieri del Grand Tour a darci notizie certe di come la cedricoltura fosse fiorente e florida in Calabria a partire da tardo cinquecento (XVI -XVIII sec.). Questi autori riferiscono della presenza di “citroni, aranci e limoni di più sorti”. Di questi frutti si apprezzavano il sapore e la succosità della polpa ma anche l’aspetto ornamentale. Gli agrumi erano molto usati, anche, per l’estrazione di essenze da cui si ricavavano polveri “da mescolare ai vini per ammazzare i vermi e preservare dalla peste”, ma anche per “ dare gusto alle bevande e ai cibi”. Una vera e propria manna dal cielo! Prima però di capire il perché il comparto perì nel '700 bisogna spiegare che quella del cedro fu la prima coltivazione agrumicola nelle Calabrie. Considerato  un frutto sacro viene utilizzato dagli ebrei per la cerimonia del sukkot. Le cedriere facevano bella vista in molte zone della Calabria. Spargendo il profumo tipico dovuto alle foglie coriacee ricche di oli essenziali..  Oggi la coltivazione del cedro in Calabria presenta una marcata concentrazione territoriale. E’, infatti, localizzata nella “Riviera dei Cedri”, la fascia costiera dell’Alto Tirreno cosentino tra i comuni di Tortora e Sangineto.  L’economia dell’area, che ha il fulcro nel comune di Santa Maria del Cedro, ruota intorno all’agrume, alla sua coltivazione, alla sua trasformazione, affidata alle piccole imprese, alla commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ed a tutta una serie di attività connesse quali ristorazione, artigianato, turismo ed agriturismo.  La fortuna della cedricoltura è stata senza ombra di dubbio la presenza degli ebrei (ca. il 10% della popolazione residente) ma l’intolleranza religiosa dei dominatori spagnoli indusse la progressiva scomparsa delle colonie e, conseguentemente, delle coltivazioni. Oggi come un tempo viene impiegato in cucina per preparare le carni ed i dolci. Il prodotto alimentare tradizionale a base di cedro è rappresentato, in Calabria, dai panicelli, di cui fu grande estimatore  D’Annunzio e prima di lui Giacomo Casanova che, ospite a Martirano del vescovo De Bernardis, ebbe occasione di apprezzarli definendoli “nettare di Cirella”. I panicelli sono fagottini di foglia di cedro, contenenti uva passita di zibibbo aromatizzata con pezzi di cedro candito legati con vermene di ginestra e quindi infornati. Otre a questo tipo di antica delizia c’è poi il cedro candito di cui la Calabria è leader nel settore. La fantasia degli artigiani locali ha nel tempo, creato una vasta gamma di prodotti e ricette: il liquore ottenuto da macerati di scorze di frutti a diversi stadi di maturazione, che conferiscono al prodotto finito aromi differenti e colorazioni variabili nelle tonalità dal verde fino al giallo dorato. Numerose sono le preparazioni dolciarie e liquoristiche tradizionali e di nuova invenzione nati dall’evoluzione della tradizione attraverso la contaminazione creativa: dai canditi alle confetture, dalle caramelle, agli sciroppi, liquori, rosoli, ratafià e grappe e ancora crostate e pastiere, cannoli e sfogliate fino allo yoghurt. E poi il gelato artigianale, la granita, la dissetante cedrata e il digestivo Zafarà, a base di cedro e peperoncino piccante. Le tradizionali crucette di fichi secchi di Cosenza sono aromatizzate con la scorza del cedro, così come torte e cannoli, cassate e mostaccioli. Negli ultimi decenni il cedro è stato riscoperto quale ingrediente per ricette salate, per preparazioni aromatizzate con carni bianche e pesce, polpette alle foglie di cedro e fegato di vitello con salsa al cedro e prezzemolo, fusilli in salsa di capra aromatizzata al cedro il tutto condito con olio extravergine di oliva aromatizzato al cedro, l’apoteosi della dieta mediterranea. In realtà non esiste una vera e propria industria estrattiva dell’olio essenziale di cedro, anche perché le rese sono assolutamente basse. Sono frequenti sul mercato, invece, molti prodotti adulterati con olio essenziale di limone e/o arancia. Studi recenti confermano, anche per il cedro, così come per gli altri agrumi, una interessante azione biologica degli estratti che hanno dato vita ad ulteriori ricerca mirate alla messa a punto di tecnologie di estrazione con le quali è possibile ottenere intermedi arricchiti in sostanze biologicamente attive da impiegare quali basi per integratori alimentari ad azione antiossidante, antinvecchiamento, chemioprotettiva o ingredienti per fortificare alcuni alimenti.

Folletti di Calabria, il "Fajettu"

Che la Calabria sia la terra del mito e della leggenda oltre che della storia questo è risaputo. Esistono così tanti miti tramandati da generazioni in generazioni da poter riempire pagine e pagine di libri. Alcuni sono davvero singolari. Tra le tante leggende che hanno popolato i racconti fatti dai calabresi davanti al focolare, quella più incredibile riguarda il “Fajettu”, ovvero un simpatico e burlone omino che abitava le nostre montagne e che durante le notti di pioggia s’introduceva furtivamente nelle stalle, dove si dilettava a intrecciare le chiome ai muli e ai cavalli. Si dice però che l'esserino non facesse solo questo, che viveva in nutrite comunità difficili da vedere perché attive esclusivamente durante le ore notturne. Uomini e “fajetti” vivevano, quindi, in un mondo separato da una sottile barriera diacronica. Una barriera che delimitava non solo il giorno dalla notte ma il mondo della realtà da quello della fantasia. A parlarci di loro sono sempre stati i carbonari ed pastori. Si tratta di due categorie di uomini abituati a vivere all’aria aperta ed a lavorare nelle ore notturne. Alcuni, raccontavano addirittura di averli incontrati e di aver chiacchierato con loro durante le fredde notti d’inverno. Altri narravano di aver trascorso serate davanti alla luce di un focolare rurale ad arrostire castagne, bere vino e raccontarsi gli uni i mondi e le abitudini degli altri; con l’impegno, naturalmente da parte di entrambi, di non rivelare ciò di cui erano venuti a conoscenza. Mentre noi comuni mortali li immaginiamo come esserini vestiti variopinti e col cappello a punta, sono stati, invece, descritti come goffe creature dal colore della pelle olivastra, per alcuni paragonabili ad umani di piccole dimensioni, per altri ad un gatto, ad uno scoiattolo o addirittura ad un grosso gufo. Quello che invece sembra certo è che questi curiosi esserini amavano le burle. Nei motteti aspromontati rappresentavano una figura molto importante. Una leggenda narra di un “Fajettu” che in segno di gratitudine rivela al pastore un importante segreto. Gli svelava, infatti, il punto esatto (nel tratto un tempo conosciuto come la Via dell’argento, precisamente tra Samo e Ferruzzano) dove giace sotterrato un forziere colmo di monete d’oro. La leggenda vuole che in una fredda notte di febbraio – l’Aspromonte sonnecchiasse adagiato sopra una fitta coltre di neve  quando, un folletto di ritorno da una fattoria, dove aveva perpetrato le sue burle a danno di alcuni animali domestici, venne assalito da un branco di lupi. Ridotto in fin di vita riuscì a salvarsi arrampicandosi sopra un albero. Ma sarebbe morto comunque, forse assiderato o per le ferite riportate, se non fosse stato che un pastore, avvertendo la presenza dei lupi, temendo che stessero per assalire il gregge, li cacciò via a fucilate. Fu dopo quel trambusto che il folletto si lasciò cadere dall’albero e che il pastore si accorse di lui. Il povero mandriano, benché non avesse idea di cosa si trattasse, portò il folletto dentro il suo capanno per sottoporlo alle relative cure. Ci mise una decina di giorni  il folletto per riprendersi; ed altrettanti per arrivare ad essere nelle condizioni di lasciare lo spiazzo. Ma prima di farlo volle riparare il disturbo causato al pastore. E lo fece in maniera brillante, e cioè rivelandogli il luogo dove era seppellito un forziere contenente una cospicua somma in monete d’oro. Forziere che, in seguito, fu realmente recuperato dal pastore, e che nell’arco di poco tempo fece di lui uno degli uomini più ricchi dell’entroterra aspromontano. Benché abbiamo la quasi certezza che si tratti di una fiaba, ci piace lasciare uno spiraglio aperto all’altra realtà, quella che fino ad oggi ci ha visto accostati a un mondo che sin dai tempi d’Omero, e forse anche prima, ha costellato di fascino e magia le nostre misere esistenze.

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