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Le ferriere calabresi: ascesa e declino di Mongiana /PARTE III

Il pezzo che segue è la prosecuzione di due articoli pubblicati ieri e l'altro ieri ed ai quali è possibile accedere cliccando sui link che seguono:

 https://www.ilredattore.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=1916:la-calabria-e-le-ferriere-itineranti&Itemid=953

https://www.ilredattore.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=1933:dalle-ferriere-itineranti-alle-attivita-protoindustriali&Itemid=953

 Alla fine del Settecento la situazione generale dell’attività siderurgica calabrese è tutt’altro che entusiasmante. Per cercare di risollevarne le sorti il governo, oltre ai tecnici stranieri, invia nelle Serre, Giovanni Conty. La condizione è talmente critica che appena giunto sul posto manda a Napoli una relazione nella quale chiede di essere messo nella condizione di ristrutturare l’intero complesso o, in alternativa, di essere avvicendato. Con l’ultimatum, Conty trasmette la proposta di varare una norma a tutela del bosco ed un dettagliato piano di sviluppo. Il piano contiene la proposta di trasferire l’attività in località Cima, alla confluenza dei fiumi Ninfo e Allaro, al centro di fitti boschi equidistanti dalle due coste. Il Ministero accoglie il piano, avallato da Alessando Persico, diretto superiore di Conty e dà il via libera alla realizzazione della nuova manifattura che, secondo quanto riportato dal quarto e quinto direttore della ferriera, Vincenzo Ritucci e Michele Carascona, sorge a partire dall’8 marzo 1771. Il nucleo intorno al quale nasce l’insediamento che assume il toponimo di Mongiana, un anonimo ruscello tributario del Ninfo, inizialmente è composto da due altiforni, coperti da una rudimentale tettoia e quattro baraccamenti. Nel 1789, Ferdiando IV, che nel 1759 aveva preso il posto di Carlo divenuto re di Spagna, fa bandire un concorso per un viaggio di studio da effettuarsi in Sassonia, Baviera, Austria, Francia ed Inghilterra. “Scopo del viaggio è studiare la composizione chimico fisica dei minerali, conoscere le nuove tecniche estrattive, avvicinarsi al mondo produttivo e, non ultimo, impadronirsi delle nuove tecniche adottate dall’industria europea”. Il viaggio dei sei vincitori, Carmine Lippi, Giovanni Faicchio, Giuseppe Melograni, Vincenzo Raimondi, Andrea Savaresi e Matteo Tondi si concluderà, nel 1797. Ritornati in patria il Governo, determinato a far fruttare le conoscenza acquisite dai suoi tecnici, spedisce in Calabria, Tondi, Melograni, Faicchio e Savaresi che stravolgono tutti i metodi di lavorazione. Le vicende del neonato “stabilimento” s’intrecciano con quelli della Rivoluzione francese. I lavori per la realizzazione della ferriere non erano stati rapidissimi, tanto che solo nel 1778 erano stati portati a compimento i lavori di livellamento dei fiumi, con creazione di cadute adatte ad alimentare il sistema di trombe usate per insufflare aria nei forni. Fino al 1790, anno della sua morte, Giovanni Conty annota solamente le produzione delle ferriere di Paino della Chiesa. Con tutta probabilità, complice il terremoto del 1783, la ferriera di Mongiana non era ancora entrata a regime. Alla morte di Giovanni Conty, l’amministrazione passa nelle mani del figlio, Massimiliano. Le prime produzioni di un certo rilievo risalgo agli ultimi anni del Settecento quando la ferriera produce 3.750 cantaia di ghisa, 1.870  cantaia di ferro fucinato, ovvero 337 tonnellate di ghisa e 168 di ferro. Alla lunga gestazione ed alla esigua produzione si aggiunge, nel 1796, il dato che l’artiglieria lamenta la pessima qualità del ferro, i difettosi calibri dei cannoni e l’approssimativa fattura dei proiettili prodotti in Calabria. Al termine della riconquista ad opera del Cardinal Ruffo, nel 1799 Massimiliano Conty, che si era schierato con la Repubblica, viene estromesso dall’amministrazione della ferriera che viene affidata a Vincenzo Squillace, capomassa delle bande di Cardinale. Ristabilita la situazione a Mongiana rimarranno solamente Faccio e Savarese, mentre Tondi e Melograni vengono allontanati dal Regno per aver sostenuto la repubblica. Nel 1800 il Re sancisce il passaggio delle ferriere dal Ministero delle Finanze a quello della Guerra e Marina. La direzione d’artiglieria invia i suoi ufficiali a sorvegliare. Nel 1801 arriva il capitano Ribas che abolisce il sistema del getto detto a conchiglia e lo sostituisce con lo staffaggio in sabbia. Sotto l’amministrazione di Squillace, vengono perfezionati gli altiforni ed alle quattro ferriere (san Carlo, san Bruno, san Ferdinando, e Real Principe) sono assegnati compiti diversificati e complementari. Aumenta il prodotto annuale lordo che sale a 4.100 cantaia di ghisa e 2.293 di ferro. L’amministrazione Squillace va avanti fino al 1807 quando, sul trono di Napoli, arriva Giuseppe Bonaparte. Dal 1 gennaio 1808 lo stabilimento passa interamente nelle mani dei militari e rimarrà sotto il Ministero della guerra e marina per i successivi cinquant’anni. Viene nominato direttore Ritucci, mentre Squillace diventa cassiere. In pochi anni Ritucci ingrandisce e riorganizza lo stabilimento e pianifica la produzione. Intorno agli edifici di produzione sorgono le prime abitazioni destinate ai tecnici ed ai soldati. Vincenzo Ritucci rimane in carica fino al 1811, al suo posto viene inviato il capitano Michele Carascosa. La gestione Ritucci aveva sfornato prodotti buoni ma non sempre a buon mercato, Carascosa deve cercare, quindi, di abbassare i costi di produzione. Incarico che riesce a svolgere egregiamente. Nel 1814 Carascosa assicura che la produzione può superare agevolmente le 16.000 cantaia di ferro in barre. All’inizio del 1814 arriva alla direzione il capo squadrone d’artiglieria a cavallo Nicola Landi. Nel biennio successivo vengono prodotte 25.197 cantaia di ghisa e 5240 di ferro. Il risultato è notevole, raggiunto con 200 uomini in una fonderia di 31 metri per 15 da due malandati altiforni. In seguito alla Restaurazione la produzione scende sotto  4000 cantaia di ghisa, ma la produzione si specializza. Nel 1814 entrata in funzione la Fabbrica delle Canne ribattezzata dai Borbone Real Manifettura e Armeria. A partire dal 1815 le canne di fucile vengono spedite  alla manifattura di Torre Annunziata. Dopo la Restaurazione, oltre alle armi, Mongiana si specializza in produzioni destinate all’industria civile. Il successo dell’impresa induce il ministero ad inviare in Calabria un tecnico salernitano, Domenico Fortunato Savino che, in seguito all’alluvione del 1849 che danneggia pesantemente il complesso, rivoluziona la produzione e progetta, tra le altre cose, la nuova fabbrica d’armi e le fonderie. Savino aumenta e specializza ulteriormente la produzione, introducendo un nuovo metodo di fusione ed installando la “Tiraferri”, un laminatoio acquistato in Inghilterra. Intanto, dalla fabbrica d’armi, inaugurata nel 1852, partono i semilavorati destinati a Torre Annunziata e Poggioreale. Nel contempo, viene avviata la produzione di un fucile interamente costruito in loco, il modello “Mongiana”. In seguito ad un’inaspettata visita di Re Ferdinando II, nel 1852, Mongiana diventerà una colonia militare ed il direttore assumerà i poteri di sindaco. Nasce, così, il comune di Mongiana. A novembre del 1855, una nuova alluvione danneggia la fonderia. Dalla ricostruzione sorgeranno due altiforni gemelli, il san Ferdinando ed il san Francesco, i più grandi attivi in Italia. La rinascita è immediata. Grazie alle nuove infrastrutture ed ai 1550 addetti, nel 1857, la produzione, supera i 25 mila cantaia di ghisa. Il 28 agosto 1860, una colonna garibaldina, guidata dal capitano Antonio Garcea raggiunge Mongiana e ne assume il controllo. Ad appena un anno dall’Unità, la produzione si riduce drasticamente. Nonostante l’ottima qualità dei manufatti che, nel 1861, conquistano una medaglia ed un diploma all’esposizione universale di Firenze e nel 1862 una medaglia d’oro all’esposizione universale di Londra, con la legge n. 793, del 21 agosto 1862, Mongiana viene inserita tra i beni demaniali da alienare. Ad acquistarla, sarà un ex sarto catanzarese, un garibaldino giunto per la prima volta a Mongiana, con la colonna di Garcea, Achille Fazzari. La nuova proprietà riavvierà la produzione nel 1881, ma si tratterà di un fuoco di paglia. Dopo soli tre mesi, infatti, l’altoforno verrà spento. Con esso si spegnerà, anche, la speranza di una terra, ancora oggi, alla ricerca di se stessa.

Fine


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