I "discoboli" del formaggio

SPADOLA – Con l’approssimarsi del carnevale, il borgo della Minerva mette in scena, ogni anno, una delle sue tradizioni più avvincenti e popolari, il gioco del formaggio. Poco o nulla si sa circa l’epoca in cui gli spadolesi hanno iniziato ad usare il formaggio a scopo ludico. Non meno incerte le origini del gioco che, alcuni studiosi fanno risalire addirittura all’epoca etrusca. Un’ipotesi avanzata sulla base del ritrovamento nella “Tomba dell’ olimpiade”, a Tarquinia, di un affresco nel quale è ritratto un atleta nell’atto di lanciare una forma di formaggio. Fonti meno aleatorie ed interpretative ne attestano la diffusione presso gli antichi romani che lo praticavano con il nome di “tronchus”. I discendenti di Enea utilizzavano, infatti, quale surrogato del formaggio, un disco di legno. La pratica, seppur a macchia di leopardo, si è diffusa in molti paesi dell’Italia centro meridionale, nel corso del medioevo, quando a praticarlo erano prevalentemente le persone appartenenti agli strati più umili della popolazione, tanto da essere considerato lo “sport dei poveri”. Al di là delle notizie di carattere storico, quel che più conta è il rinnovarsi di una tradizione che, a Spadola, prende il via nel giorno di carnevale. La lunga serie di dispute, che anima ed appassiona decine di spadolesi appartenenti a tutte le classi d’età entra nel vivo con il ritrovarsi dei  giocatori in prossimità della “Cona”, l’ara votiva, dedicata alla Madonna, situata al centro del paese. Seguendo il collaudato canovaccio composto da regole non scritte, i protagonisti iniziano le loro partite con la selezione dei giocatori necessari a formare le due squadre che danno luogo ad ogni singola sfida. Una selezione che avviene per mezzo “ di lu tuaccu”, ovvero la conta. Una volta formate le squadre, composte, in genere, da quattro giocatori, prende il via la contesa. Ciascun concorrente, inizia il proprio turno di lancio servendosi di un lungo laccio, le cui estremità sono avvolte, da una parte, attorno al formaggio e dall’altra attorno al dito indice del lanciatore. Grazie all’ausilio del legaccio, il formaggio sfrutta al meglio l’energia cinetica ed inizia la propria corsa appena tocca terra. A turno, i tiratori delle due squadre cercano di spingere il formaggio il più lontano possibile. I concorrenti successivi ai primi due, iniziano il lancio dal punto esatto in cui si è arrestato il tiro del compagno di squadra che l’ha preceduto. La compagine che per prima, a parità di lanci, raggiunge la meta, collocata alle porte del centro abitato di Simbario, si aggiudica la prima manche. Durante la seconda frazione di gioco, viene coperto il percorso inverso. Per aggiudicarsi la sfida è necessario vincere entrambe le manche. In caso di pareggio, invece, si da luogo ad vero e proprio spareggio che consiste nell’effettuare  un lancio per ogni componente delle due squadre. A parità di lanci, vince chi è riuscito a portare il formaggio nel punto più lontano. Il gioco, come spesso succede, subisce anche delle brusche interruzioni. Oltre alle avversità atmosferiche che, comunque, non fermano i giocatori, uno degli inconvenienti più frequenti e fastidiosi è rappresentato dalla rottura della forma di formaggio. Capita, non di rado, che la forma di formaggio, generalmente pecorino, non sia sufficientemente stagionata, quindi, poco adatta a sopportare le numerose sollecitazioni cui è sottoposta. La conseguenza, ovvia, è che sovente va in frantumi, prima che le squadre abbiano portato a termine la sfida. In tal caso, è necessario ricorrere a “lu ruadhu”, una riproduzione esatta, ma in legno, della forma di formaggio. Nel rispetto della tradizione, le sfide vanno avanti, tutti i giorni, fino a martedì “di l’azata”, ovvero martedì grasso. Come ogni anno, concorrenti e spettatori saluteranno la fine dei giochi davanti ad un ricco e movimentato desco sul quale, l’immancabile formaggio, rappresenterà solo l’antipasto di una luculliana cena, caratterizzata dalle immancabili e appetitose polpette di carne al sugo.

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