L'enigma Filangieri e la valle dell'Ancinale

L’editore d’Amico ha pubblicato, in anastatica, la biografia “Carlo Filangieri” di Pietro Calà Ulloa, che fu ministro di Francesco II in esilio, e si dedicò agli studi storici. Il volume, per quanto palesemente datato, va letto per cogliere diverse notizie sulle vicende non solo e non tanto del Filangieri, quanto della storia del Reame da Murat al 1860. Troviamo Carlo Filangieri da Austerlitz a Lipsia alla Spagna al Congresso di Vienna, e via via fino alla fine del Regno. Qui io voglio trattare un aspetto che, a dire il vero, nel Calà Ulloa non compare, ed è invece di una certa importanza: Carlo Filangieri e la Valle dell’Ancinale. Nel 1817 egli ottenne, per i buoni uffici di una zia maritata Ravaschieri, i titoli, ormai solo nominali, di principe di Satriano e duca di Cardinale. Nelle cronache dell’Ottocento è conosciuto, secondo l’uso, come Satriano. Nel borgo affacciato sullo Ionio, i Ravaschieri avevano posseduto una fortezza, donde il nome dialettale di “Picocca” (bicocca) per indicare Satriano; e un grande palazzo a stento riconoscibile per abbandono, riuso e superfetazioni. Nel territorio di Cardinale il loro cespite più notevole era la Razzona, azienda in spagnolo, castelletto di caccia con attorno un vastissimo bosco. Vi si trovarono, nei secoli, pietre lavorate del neolitico, e ritenute magiche e cadute dal cielo: “i cugni e tronu”; si conservano in musei di Napoli, Crotone e Catanzaro. L’industria boschiva era esercitata con seghe idrauliche: “a serr’e l’acqua”.  Filangieri, che appare legato più a Cardinale, dove si recava spesso, che a Satriano, diede vita nella Razzona a una ferriera (“magone”). Il ferro era, diciamo così, la plastica dell’Ottocento, materiale solido e duttile. Si vuole che il primo ponte di ferro d’Italia e uno dei primissimi d’Europa, quello di Minturno sul Garigliano, sia stato prefuso a Razzona, e non, come di ripete, nella fabbrica statale di Mongiana. Ma le leggi del Regno, sempre troppo protezioniste, vietavano ai privati l’uso del ferro calabrese (Bivongi, Stilo, dal 1846 anche Agnana… ), riservato allo Stato; Filangieri importava il grezzo dall’Elba. Nel 1849 accettò l’incarico di riconquistare la Sicilia ribelle, e lo portò a termine alternando decise operazioni militari e accortezza politica, mirando ad accattivarsi la potente e superba nobiltà isolana. Urtò contro la grettezza di Ferdinando II e la palese ostilità di un Cassisi, la cui nomina a ministro della Sicilia stando a Napoli era un’offesa e per l’isola e per lo stesso Filangieri. Questi spese del suo, non ricevendo aiuti dal governo. Rinunciò infine, e si ritirò a vita privata. Nel 1851 Razzona aveva subito i danni di un’alluvione. Filangieri la offrì in vendita agli abbienti di Cardinale, e la comprò un Pelagi, i cui numerosi discendenti la posseggono molto parcellizzata. Molto tardivamente, e venendo a morte assai prima che non si aspettasse, Ferdinando affidò a Filangieri il figlio ed erede Francesco II. Qui si apre l’enigma Filangieri: egli assunse il governo, consigliò il ripristino della costituzione “sospesa”, ma anche trattative con il Regno di Sardegna e la Francia. Lasciò infine l’incarico e lo stesso Regno, passando a Marsiglia, da dove tornò solo a Due Sicilie cadute; morì nel 1867. Il titolo di principe di Satriano è estinto; quello di duca di Cardinale è tornato, per matrimonio, nel Ravaschieri. Forse Carlo si era convinto che la soluzione unitaria era non dico la migliore, ma la meno peggio, di fronte al pericolo di una repubblica mazziniana che doveva essere stroncata da interventi stranieri ben più duri. O non credette più alla possibilità che il Regno sopravvivesse. Resta allo storico di immaginare una grande battaglia nella pianura di Salerno tra il guerrigliero Garibaldi e l’uomo di scuola napoleonica Filangieri: e chissà chi avrebbe vinto; Filangieri non era Landi, Lanza, Ghio, e nemmeno il fedele e inetto Ritucci, bensì un grande soldato e uomo di coraggio; ma la storia reale la giocarono Cavour e Napoleone III, e il Regno e Garibaldi erano superati dai fatti. Una lapide, ritrovata da Mario Monteverdi, ricorda l’avventura industriale di Razzona: A Carlo Filangieri / Principe di Satriano / per animo e per ingegno / non dissimile a Gaetano svo padre / e per gli egregi svoi fatti di gverra / gloria e decoro delle napolitane milizie / il cavaliere Saverio Amirante / rettore di queste magone / in testimonio / di grato e devoto animo / l'anno 1856 / Francesco Antonio Stagliano' / esegvi'

 

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