"Mafia Capitale", la legge non è uguale per tutti

San Luca e Badolato e vari altri paesi meridionali e persino di altrove sono stati fatti oggetto di commissioni di accesso, e sciolti per mafia; e qualche volta è successo che il sindaco si sia rilevato solo partecipante a normalissime cene con tanta gente promiscua, e prosciolto… Tante altre volte le infiltrazioni mafiose e camorristiche eccetera erano vere, e ben venga lo scioglimento. San Luca d’Aspromonte, paese chiacchieratissimo, conta poco meno di quattromila anime; ha un territorio di 105,35 kmq, quindi una densità di 37 abitanti per kmq, molto meno di un’oasi del Sahara. Ammesso che i 105,35 siano campi fecondi come la California, e non, come sono, calanchi e boschi, che mafia volete che ci sia, a San Luca? A chi chiedono la tangente, i loschi figuri, ai boscaioli: un fungo ogni dieci? Lo stesso per Badolato, scrigno di tesori artistici e memorie storiche, però scarsissimamente utilizzate, perciò di modesto rendimento finanziario. Insomma, una mafia da quattro soldi. Però, ragazzi, dura legge ma legge! I Comuni infiltrati dalla mafia devono essere sciolti. Legge draconiana! E allora, che mi dite, che mi dite di Roma? Roma, sostiene la magistratura (la magistratura, non i pettegoli) è come quando Sallustio, nel I secolo aC, scrisse “Romae omnia venalia”, a Roma tutto è in vendita. C’è anche la mafia con la camorra, ma si aggiunge alla tavola imbandita, al mangia mangia a trecentosessanta gradi di politici e associativi, senza salvare né destra né sinistra né centro né sopra né sotto. Non serve la mafia, a giudicare Roma una cloaca massima di corruzione; ma c’è anche la mafia in senso letterale, se vogliamo essere pignoli. E allora, perché non sciolgono il Comune di Roma come quello di Badolato, di San Luca eccetera? Qualcuno balbetta spiegazioni formalistiche, sofismi avvocateschi, arrampicate sugli specchi… ma la verità, si sussurra, sarebbe più banale: non si scioglie Roma perché è la capitale, e l’Italia farebbe una brutta figura al cospetto dell’intero pianeta. Una in più! E che ragionamento è? Ci sono forse alcuni milioni di Italiani per cui la legge non vale per il solo fatto che stanno a Roma? A Roma si può rubare diversamente da Milano, Palermo, Sassari, Bari, Venezia, San Luca eccetera, e ciò per il solo essere Roma, ovvero la capitale? O Roma può indebitarsi più di Catania, Torino, Soverato; e non pagare i debiti perché è la capitale? Assurdo. Se una città capitale vuole dei privilegi, dovrebbe essere disposta a pagarli nella maniera più ovvia: rendendosi disponibile a rinunciare a consiglio comunale e sindaco, e venendo retta dal governo centrale proprio per la sua natura di centro della Nazione e dello Stato. Lo fece il fascismo istituendo il governatore di Roma di nomina ministeriale (lo fu il nostro conterraneo Edoardo Salerno); e non è solo un’invenzione mussoliniana: Parigi ha un sindaco solo dal 1975. Ma se Roma vuole un sindaco e un consiglio comunale come Brognaturo e Cardeto, allora il sindaco di Roma è uguale preciso a quello di Borgia: soggetto a commissione d’accesso e, se ricorrono gli estremi, a scioglimento per mafia, o a scioglimento e basta.  “Roma – scrive Tacito – dove confluisce tutto ciò che di peggio c’è nell’Impero”.

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I danni dell'antimafia e l'ingiustizia della giustizia

L’antimafia di moda fa, assieme a comodi a qualcuno, molti danni alla Calabria; e di tanto in tanto sfiora l’isteria. Se piove, ci sarà subito un gruppetto di esagitati che griderà alla mafia; e così in caso di siccità. La mafia c’è, ovvio, e bisogna batterla senza pietà: ma non è questo il modo.  Il sindaco di Badolato è stato prosciolto “perché il fatto non sussiste”: non per prescrizione, non per cavilli legali, non con qualche dubbio, ma “perché il fatto non sussiste”; e se non sussiste, non sussisteva manco tanto quando il Consiglio comunale è stato sciolto e il paese additato al mondo come covo di mafia. Per carità, la magistratura deve fare il suo dovere, e con essa anche i prefetti lo devono; e sì, però con buon senso, con prudenza. Ma Tizio si è incontrato con Caio… alzi la mano chi, trovandosi in una festa, una cena, un convegno, una processione, una festa, non ha trovato al suo fianco don Questo e don Quello in odore di mafia; odore, però a spasso, però non arrestato, però non condannato, e perciò libero di partecipare alla processione o alla cena. A me è capitato più volte.  Non è compito, non è nemmeno potere del cittadino di chiedere al commensale della tavolata a fianco il certificato antimafia, che del resto, fino a condanna definitiva… E se li avessi accusati di mafia, magari quelli… mi sparavano, pensate? No, molto peggio, sporgevano querela, e, con i tempi della magistratura, da quel 1980 sarei ancora sub iudice!  Qui dunque rischiamo tutti un processo eccetera, non appena sbagliamo ristorante o festa di santo; e se al primo esagitato viene a mente che con un convegno segue cena o un articoletto di giornale deve combattere a spese mie la mafia e risolvere d’un lampo il problema del Mezzogiorno. Spese anche in senso letterale, se dovrò profumatamente pagarmi l’avvocato. Insomma, la magistratura e le prefetture farebbero bene a contare fino a dieci, prima di assumere provvedimenti preventivi. Già, sono preventivi, sulla base di indizi e supposizioni, che poi qualche volta finiscono in una bolla di sapone “perché il fatto non sussiste”. Oppure, si sbrighino: niente rinvii perché la nonna del cancelliere ha il menarca e necessita di conforto morale. Se un sindaco è mafioso o meno, lo si appuri subito, e ci sono i mezzi; se lo è, finisca di corsa ai lavori forzati sotto il sole d’agosto nelle miniere di Sardegna; se no, gli si chieda scusa a lui e al paese, e si obblighino i giornali a dare risalto al “fatto non sussiste” come l’hanno data alla non notizia mafiosa.

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