Legato al letto con segni di violenza sul corpo, pensionato calabrese trovato morto in Tunisia

Un pensionato catanzarese di 72 anni è stato trovato morto a Monastir, nel nord-est della Tunisia.

Il cadavere dell'uomo, che si recava regolarmente nel paese africano, è stato rinvenuto da un amico, legato al letto, nell'appartamento in cui viveva.

Secondo il sito d'informazione tunisienumerique.com, sul corpo della vittima sarebbero stati trovati segni di violenza; mentre il guardaroba della stanza sarebbe stato messo a soqquadro da qualcuno.

Per le autorità tunisine si tratterebbe di un omicidio compiuto a scopo di rapina.

Il pubblico ministero, ha aggiunto il sito d'informazione, ha autorizzato il trasferimento del corpo in ospedale per eseguire l'autopsia che determinerà le cause del decesso.

 

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È di un giovane calabrese il cadavere rinvenuto nella Capitale

È di un 21enne di Rende, il cadavere trovato lunedì scorso nel vano scale di un palazzo di Roma.

Il corpo del giovane, che si era allontanato da casa la scosa settimana, è stato riconosciuto dal padre.

 I genitori del ragazzo, che era in cura in un centro di salute mentale, ne avevano tempestivamente denunciato la scomparsa.

Al momento, l'ipotesi più accreditata sembra essere quella del suicidio, tuttavia bisognerà attendere l'esito dell'autopsia per averne la certezza.

Sulla vicenda indagano i carabinieri della Stazione Tor Bella Monaca e del Nucleo investigativo di Frascati.

Scossa di terremoto nel Mar Tirreno calabrese

Un terremoto di magnitudo ML 2.1 è stato avvertito, alle 13,40 di oggi, nel mar Tirreno calabrese.

Il sisma, il cui epicentro è stato localizzato ad una profondità di 263 chilometri, ha interessato il mare al largo della costa cosentina.

Tra i centri più vicini al punto in cui ha avuto origine la scossa, gli abitati di Scalea, Santa Maria del Cedro e Praia a Mare.

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'Ndrangheta: sequestrati beni per un valore di un milione e mezzo di euro

Il Nucleo investigativo del Comando provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, in esecuzione di un decreto di sequestro preventivo e successiva integrazione emessi dal Tribunale – Sezione gip di Reggio Calabria, ha proceduto al sequestro dell’impresa edile e del patrimonio aziendale di Antonio Calabrese, 58 anni, di Villa San Giovanni.

 Tra i beni colpiti dal provvedimento figurano, anche, crediti, quote societarie, beni strumentali, etc.

 Il valore stimato dell’azienda si aggira intorno agli 800 mila euro, mentre il patrimonio aziendale composto da sette veicoli, 14 mezzi di cantiere e cinque prodotti finanziari, ammonta a 700 mila euro.

Complessivamente, il valore stimato dei beni sottoposti a sequestro tocca il milione e mezzo di euro.

L’indagine che ha portato all’esecuzione della misura ha preso l’abbrivio in seguito all’operazione “Sansone” eseguita, dai militari del Ros e del Nucleo investigativo del Comando provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, nei confronti di 28 persone ritenute contigue ai sodalizi di ‘ndrangheta, “Condello”, “Buda-Imerti, “Zito-Bertuca” e “Garofalo” operanti nei territori di Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Campo Calabro, Fiumara di Muro e con ramificazione in Italia ed all’estero.

In tale contesto, nel mese di novembre 2016, è stata sottoposta a sequestro l’impresa edile di proprietà del 64enne Pasquale Calabrese. L’impresa, con sede legale a Villa San Giovanni, è stata ritenuta “mafiosa” perché strumentalizzata per l’infiltrazione della cosca “Bertuca” nel settore delle attività economiche del comprensorio di Villa San Giovanni.

Nel corso delle indagini, sarebbero emersi, inoltre, profili di evidente commistione tra la ditta di proprietà di Pasquale Calabrese e quella di Antonio Calabrese.

La commistione deriverebbe dalla condivisione, tra le due aziende, dei siti per il ricovero dei mezzi e dei materiali edili. Inoltre, numerosi appalti sarebbero stati eseguiti su immobili di proprietà comune ed indivisa. Tutto ciò proverebbe la “riconducibilità delle due imprese in un unico centro direzionale ed imprenditoriale con evidente commistione di interessi, strategie operative e patrimonio aziendale”.

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La cucina calabrese conquista il New York Times

Finalmente una buona notizia. La Calabria è stata inserita nella lista dei 52 viaggi consigliati per il nuovo anno dal New York Times.

Nella speciale graduatoria, che vede i primi dieci posti occupati dal Canada, dal deserto di Atacama in Cile, da Agra in India, da Zermatt in Svizzera, dal Botswana, da Dubrovnik in Croazia, dal Grand Teton National Park in Wyoming, da Tijuana in Messico, da Detroit in Michigan e da Amburgo in Germania, la Calabria ha conquistato il 37esimo piazza.

L'ingresso nella prestigiosa classifica è dovuto alle qualità gastronomiche presenti nella regione. "Il cibo italiano oltre le mete tradizionali", titola la giornalista statunitense Danielle Pergament secondo la quale, i piatti migliori d'Italia si trovano proprio nella regione "di punta" dello Stivale.  

"Alcuni dei migliori pasti da consumare in Italia - scrive Pergament - non si trovano a Roma o in Toscana, ma in Calabria, una regione del sud. Nota per le pietanze piccanti e gran parte della produzione mondiale di bergamotto, la Calabria si sta concentrando su piatti leggeri, agricoltura biologica e vino ottenuto da viti locali". Vengono citati poi ristoranti come il Dattilo di Strongoli, il Ruris ad Isola di Capo Rizzuto e l'Antonio Abbruzzino a Catanzaro".

La classifica è considerata una sorta di guida ufficiale in cui vengono segnalati i luoghi più interessanti del momento. Tuttavia, nelle intenzioni di chi la compila  c'è anche l’idea di indicare luoghi che non ci si aspetta e mete insolite.

L'anno scorso l'unica località italiana segnalata era stata Torino, mentre nel 2015 – anno dell’Expo – la vincitrice della classifica era stata Milano. Sarà adesso interessante osservare se la guida contribuirà ad incrementare il turismo americano in Calabria.

 

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Calabria: scossa di terremoto nel mar Tirreno

Un terremoto di magnitudo ML 2.8 è stato localizzato dalla sala sismica dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia nel mar Tirreno meridionale, al largo della costa Calabrese.

Il punto in cui ha avuto origine la scossa è stato individuato non lontano da Cetraro, in provincia di Cosenza.

La scossa si è sviluppata alle 5,17 di oggi, ad una profondità di 285 chilometri in un tratto di mare in cui nelle scorse settimane i sismografi dell'Ingv avevano rilevato una discreta attività tellurica.

 

 

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Terremoto, scossa al largo della costa calabrese

Un terremoto di magnitudo ML 2.4 è stato registrato dalla sala sismica dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia al largo della costa jonica reggina. Il sisma si è sviluppato ad una profonditàdi 36 chilometri alle 4,32 della notte appena trascorsa.

Nello stesso tratto di mare, lo scorso 26 settembre, era stata rilevata una scossa d'intensità uguale a quella di questa notte.

L'antica arte serrese del sanguinaccio

Lungo ed indissolubile è il legame che unisce la Calabria ed i calabresi al maiale. Al ”porco” andrebbe dedicata un’elegia nella quale decantare le sue incommensurabili virtù.

Ogni paese calabrese dovrebbe elevargli un monumento.

Per secoli, infatti, è stato proprio lui a restituire con gli interessi ciò che aveva ricevuto nel corso dell’anno. I beneficiati di una tale provvidenza, a tutte le latitudini, si sono ingegnati a conservare, per i tempi grami, tutto ciò che si potesse deteriorare. Ma, poiché, del buon suino non si butta via niente, la fantasia e la fame si sono coalizzate per trasformare in leccornie, anche le parti apparentemente meno appetibili.

Così, ad esempio, il sangue che oggi renderebbe insonni le notti di tanti schizzinosi, per decenni ha garantito un buon apporto calorico agli strati popolari.

Quando l’arte culinaria non veniva ancora esercitata in asettici studi televisivi, ma sulla fiamma del focolare, tante donne s’industriavano a trasformare il sangue del maiale in sanguinaccio.

Non stiamo parlando, ovviamente, della versione dolce, bensì di quella destinata ai palati più audaci.

Un’arte che a Serra trovava espressione nelle rivendite, generalmente le macellerie, dove era possibile acquistare “nu capu di sangunazzu”. All’uscita dalla messa domenicale di “la Curunedha”, i serresi di un tempo non andavano a fare colazione al bar; si recavano, piuttosto, a comprare un pezzo di sanguinaccio, che veniva portato a casa per essere condiviso con il resto della famiglia. Il più delle volte, però, prendeva un'altra strada per finire associato ad almeno un quarto di vino in una delle tante osterie che popolavano il centro storico.

La genesi del sanguinaccio iniziava, ovviamente, con l’uccisione del maiale quando qualche “novizio” veniva incaricato di raccogliere in un contenitore ogni stilla di sangue fuoriuscita dalla ferita prodotta dalle mani esperti di chi si faceva carico di mandare all’altro mondo il miglior amico dei calabresi. A quel punto, con l’ausilio di un cucchiaio di legno, o più semplicemente con una mano s’iniziava a girare vigorosamente il liquido appena raccolto affinché non coagulasse. Lasciato qualche ora a riposare, poteva prendere due strade. La prima, vedeva protagonisti i rivenditori che passavano per le case a proporre mestoli di sangue che finiva in una padella, fritto con un filo d’olio. L’altra, quella più elaborata, portava direttamente nelle cucine in cui le abili mani di donne esperte iniziavano a mette in fila gli ingredienti necessari a produrre il prelibato sanguinaccio.

S’iniziava facendo friggere il grasso di maiale tagliato a pezzettini minuscoli, frattanto, seguendo le giuste proporzioni, il sangue veniva miscelato ad acqua. Era poi la volta del sale e del pepe nero, il tutto, una volta unito, finiva nelle budella, le stesse utilizzate per insaccare le salsicce. A quel punto, iniziava il lavoro più delicato, la cottura. Si trattava di un processo per il quale serviva una perizia di lungo corso. Bisognava, infatti, riconoscere la giusta temperatura per evitare che, nel caso l’acqua fosse troppo calda, le budella si rompessero, facendo fuoriuscire il contenuto. Al contrario, una temperatura non adeguata, avrebbe impedito al sangue di coagulare, rendendolo immangiabile. Inconvenienti nei quali, tuttavia, non incorreva chi riusciva a guadagnarsi da vivere con un mestiere oggi impensabile. Completata la cottura, iniziava la vendita.

Gli avventori avviavano, così, il loro lento pellegrinaggio per “reclamare” una parte di sanguinaccio. Consuetudine imponeva che lo si mangiasse infilandolo in bocca e sfilandone lentamente il contenuto. Una delizia, oggi quasi del tutto estinta, che ha allietato per decenni i rustici palati di persone che, a Cracco ed ai vegani, avrebbero fatto una sonora pernacchia.

 

 

 

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