L'ex direttore del Fatto Quotidiano, Antonio Padellaro al Tropea Festival

A Vibo Valentia, nell'ambito della terza giornata del Tropea Festival Leggere&Scrivere 2016, il fondatore del Fatto Quotidiano, Antonio Padellaro ha commentato le ultime dichiarazioni di Roberto Benigni sul referendum (“il no sarebbe peggio della Brexit”). "Roberto Benigni è un grande e può dire quello che vuole. Mi dispiace - ha detto Padellaro - non che vota per il sì, ma che utilizza questo linguaggio, io credo che non giovi a nessuno. Mi sarei aspettato da lui una sdrammatizzazione. Ma segue, sicuramente, la campagna propagandistica del premier Matteo Renzi". In riferimento al referendum costituzionale, il giornalista  ha poi aggiunto: "Non è una priorità, ma condivido alcune cose di questa riforma. In ogni caso sono materie che dovrebbero essere delegate alla politica. Non è sufficiente un sì o un no". Padellaro ha, quindi, presentato il suo ultimo libro: “Il Fatto personale” (PaperFIRST, 2016).  L'ex direttore del Fatto Quotidiano ha raccontato la sua lunga esperienza giornalistica. Dall'Ansa al Corriere della Sera, poi la direzione dell'Unità e la creazione del Fatto Quotidiano nel 2009. "Ho cercato di raccontare nel libro – ha detto – il dietro le quinte, sono testimone di fatti importanti accaduti in Italia". Nel volume, Padellaro ripercorre, con stile irriverente, le tante notizie che hanno accompagnato la vita del cronista: dall'uccisione di Pier Paolo Pasolini alla bufera che colpì il CorSera quando furono pubblicate le liste della P2 di Licio Gelli. "Io seguivo la vicenda P2 per il Corriere della Sera – ha spiegato Padellaro –. Nell'elenco era presente il direttore del giornale, Franco di Bella. Lo informai di questa notizia. Decise di dimettersi ma ci disse di pubblicare la notizia".Infine, ha parlato alla fondazione del Fatto Quotidiano, "siamo nati come un giornale antiberlusconiano, era premier e uno tra le persone, secondo Forbes, più ricche al mondo. Quando giravamo l'Italia con Marco Travaglio e Peter Gomez ci accoglievano come rock star. Dal 2011 la crisi dell'editoria ha colpito anche noi del Fatto".

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Serre: la tragedia dimenticata della madre e dei tre figli bruciati nel sonno

L’emozione prodotta dalle tragedie è sempre effimera; inizia a spegnersi nello stesso momento in cui sembra destinata a durare per sempre. Ad estinguerla è la quotidianità, la routine, l’inconscio desiderio di dimenticare. Passata la commozione, un velo, dapprima, leggero, poi sempre più opaco, copre tutto ed in pochi anni, di alcune sciagure, non rimane neppure il ricordo. L’oblio è quasi scontato, poi, quanto le vittime sono persone umili, uomini e donne che non hanno avuto nulla dalla vita e che hanno ancor meno dalla morte. I poveri, gli indigenti, i diseredati, infatti, non hanno amici né cantori. I piccoli centri, quelli in cui, in apparenza, la rete della solidarietà e più forte che altrove, non fanno eccezione. Prova ne è, la tragica fine di un’intera famiglia, divorata dalle fiamme a Simbario, nel luglio di 24 anni fa. Un fatto che, all’epoca, scosse l’intera comunità, ma di cui, a distanza di un quarto di secolo, non è rimasto neppure uno sbiadito ricordo. Era la notte a cavallo tra l’11 ed il 12 luglio del 1992, quando, un rogo divampato in una modesta abitazione del rione Cittanova, strappò la vita ad una madre ed ai suoi tre figli. La tragedia ebbe eco a livello nazionale, tanto da trovare spazio sulle pagine del Corriere della Sera e della Stampa. A provocare l’incendio fu, molto probabilmente, “una sigaretta”, una maledetta “bionda” che, in pochi minuti, sterminò quasi tutta la famiglia Rullo. Nella casa avvolta dalle fiamme, trovarono la morte, una vedova 44enne, Carmela Bono ed i figli, Antonio (19 anni), Giuseppina (13 anni) e Dante (8 anni). Come riportano le cronache del tempo: “Con ogni probabilità Antonio, il maggiore dei figli di Carmela Vono, si è addormentato nel suo letto con la sigaretta accesa fra le dita”. Ghermito da Morefo, quindi, il povero Antonio non si avvide di quel mozzicone rimasto acceso che, scivolando sulle lenzuola, avrebbe innescato il rogo. A far passare dal sonno, alla morte, gli abitanti della modesta dimora, molto probabilmente, non furono le fiamme, bensì “l’ossido di carbonio”. Un’ipotesi confermata dalla posizione in cui vennero rinvenuti i corpi. Dopo aver lavorato tutta la notte per domare l’incendio, una volta entrati in quel che rimaneva della casa, i vigili del fuoco trovarono i corpi carbonizzati nei rispettivi letti. Qualora fosse stato possibile, ad aggiungere ancor più orrore al dramma, un dettaglio; l’unico ad accorgersi di ciò che stava accadendo fu il piccolo Dante. Nel disperato tentativo di sfuggire all’immane destino, il bambino aveva cercato scampo sotto il letto materno, dove il suo corpicino venne ritrovato rannicchiato. Fatalità volle che alla tragedia scampasse Rosetta, la figlia diciottenne di Carmela e Fiorino Rullo. Invero, per usare un eufemismo, con lei il fato fu piuttosto beffardo. L’appuntamento con la morte le fu, infatti,  rimandato solo di qualche anno, quando venne travolta ed uccisa da un’automobile. Una sorte non meno infame di quella toccata ai suoi congiunti.  

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Calabria, ovvero la grande malata d'Italia

E’ la grande malata d’Italia. Una malata al cui capezzale si alternano medici le cui ricette, miracolose, prima di assumere l’incarico, diventano inutili palliativi all’atto pratico. La Calabria assomiglia, sempre più, ad un moribondo i cui rantoli vengono percepiti soltanto attraverso i dati e gli indicatori divulgati da qualche istituto di ricerca. Numeri che inesorabilmente inchiodano l’estremità meridionale dello Stivale agli ultimi posti di qualunque graduatoria. Prima della pausa agostana a fotografare la condizione di estrema arretratezza della regione era stato lo Svimez. A distanza di poco meno di un mese, ad offrire la dimensione di una terra che arranca, ci hanno pensato Unioncamere e Ref che, attraverso un’indagine sulla qualità dei servizi pubblici erogati nelle città italiane, hanno dimostrato la scarsa attrattività economica dei centri calabresi. La classifica, pubblicata ieri dal Corriere della Sera, incrocia le valutazioni sulla qualità ed il costo dei servizi con le esigenze di otto categorie di attività economiche. Al termine dell’indagine è stata stilata una classifica che, neppure a dirlo, relega all’ultimo posto un capoluogo di provincia calabrese, Cosenza. La città dei Bruzi, però, non rappresenta l’eccezione, bensì la regola. Sulle 101 aree urbane esaminate, Reggio Calabria occupa il 98° posto e Catanzaro il 96°. In altre parole, le maggiori città calabresi non riescono ad esercitare alcuna capacità attrattiva nei confronti di eventuali investitori. Sia che si tratti di impianti industriali che di attività commerciali, chi vuole fare impresa si guarda bene dal farlo in Calabria. I motivi, questa volta, non sono legati alla vetustà della rete infrastrutturale, alla presenza della ‘ndrangheta o alla distanza dei mercati. Si tratta di ragioni molto più semplici, ovvero la scarsa qualità ed il costo elevato dei servizi, alcuni dei quali, erogati dagli enti locali. Difficile, quindi, attribuire la responsabilità alla mala sorte, a Garibaldi o al disinteresse della politica romana. Chi governa Regione, Province e Comuni, sono calabresi, scelti da calabresi. Non si tratta di marziani piovuti dal cielo. Con chi prendersela, dunque, se le città calabresi spiccano per l’esiguità della raccolta differenziata? Se negli ultimi dieci posti della graduatoria relativa alla gestione della rete idrica figurano tutti e cinque capoluoghi di provincia calabresi, la colpa non può certo essere attribuita al destino cinico e baro. Si tratta di due esempi che offrono la plastica dimostrazione di come buona parte dell’arretratezza della Calabria dipenda proprio da noi. Quanto la situazione generale sia compromessa lo testimonia, la cronica incapacità di gestire ciò che altrove non rappresenta altro che l’ordinaria amministrazione. In un contesto del genere è difficile immaginare un futuro meno grigio del presente, a meno che non vengano compiute scelte rivoluzionarie, anche se, in Calabria la vera rivoluzione è trovare la normalità

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Le meraviglie delle montagne delle Serre sul Corriere della Sera

Un inveterato e duro a morire luogo comune vuole che la Calabria sia solo mare. Certo ci sono chilometri di coste, ma in realtà l’estrema propaggine meridionale dello Stivale assomiglia ad una montagna seduta sul mare. La storia della Calabria è sostanzialmente scritta nella sua parte più interna. La discesa al mare, se si eccettuano alcuni centri, per i calabresi è un fatto recente. La malaria e la paura delle scorrerie turche, per secoli, hanno fatto associare al mare l’idea del pericolo. Quando la paura è stata esorcizzata, i calabresi hanno iniziato la loro discesa verso la costa, ma lo hanno fatto non con lo spirito D’Annunziato di chi “arma la prora e salpa verso il mondo”, ma piuttosto con la rilassatezza di chi continua a tenere lo sguardo ben ancorato verso la collina e la montagna dove ha lasciato le radici, le tradizioni e la storia. Lontano da uno sguardo  stereotipato e superficiale c’è, quindi, chi sa che la montagna calabrese custodisce uno scrigno di tesori che seppur non sufficientemente valorizzati meritano di essere conosciuti. A sopperire alla mancanza di un’adeguata divulgazione da parte degli attori che dovrebbero farlo, di tanto in tanto ci pensa qualche penna “illuminata”. L’ultima della serie è quella di Antonella Spinelli che, sulle colonne della rubrica Dove del Corriere della Sera, qualche settimana addietro ha tratteggiato un itinerario tutto da scoprire dell’entroterra calabrese. Un itinerario nel quale è entrato a pieno titolo anche il territorio del Parco delle Serre e la cascata del Marmarico, che con i “suoi 114 metri” è “la più alta di tutto l’Appennino meridionale”. Un capolavoro della natura accanto al quale, per rimanere nella provincia di Vibo Valentia, viene accostata la fiumara della Ruffa che “si può risalire a partire dalla spiaggia di Ricadi “attraverso un percorso “stretto e sinuoso” che “nasconde luoghi pieni di fascino” come “le grotte basiliane di Santu Liu”. Le bellezze naturalistiche dell’entroterra calabrese spaziano ben oltre il territorio vibonese. Inevitabile, quindi, che nell’elenco di meraviglie da esplorare ci sia il canyon delle Valli Cupe a Sersale o le gole del fiume Lao che solca il Pollino. Si tratta di un  vero e proprio itinerario “nascosto nei boschi” che offre “l’occasione di passare una giornata diversa e avventurosa, rispetto a quella, più tranquilla e canonica, passata al mare”.

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