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Dalla fabbrica d’armi al Museo delle reali ferriere borboniche: Mongiana fra passato e futuro

Se si scava nelle proprie radici, si scoprono tesori (in termini soprattutto di patrimonio culturale) che poi accompagnano il cammino di ogni singolo e rafforzano il senso di appartenenza ad una specifica collettività. Ma fra i monti delle Serre, c’è una comunità - quella di Mongiana - che con i frammenti del passato ci convive e, ad ogni sorso di quotidianità, riassapora l’orgoglio dei propri fasti. Fino ad un secolo e mezzo fa, in questo fazzoletto di Calabria, fiorivano le attività di una fabbrica d’armi che riusciva a soddisfare un quarto della richiesta del Regno di Napoli (inglobato nel Regno delle due Sicilie). Il complesso strutturale, sorto nel 1813 e riedificato in seguito all’alluvione del 1850, fornì armi bianche e da sparo di riconosciuta qualità: le risorse del territorio vennero, dunque, utilizzate a scopi produttivi movimentando l’economia. Il ferro lavorato in questa sede fu adoperato anche per scopi civili divenendo elemento essenziale per la ghisa o l’acciaio dei ponti. Gli addetti giunsero a superare il migliaio e ciò dimostra come la fiorente attività contribuì in maniera decisiva alla rilevanza dell’intera area. Ma l’unità d’Italia si trasformò in un autentico spartiacque: l’aumento della tassazione abbinato al crollo delle commesse statali si tradusse nella drastica riduzione della produzione. L’abbandono statale prese inoltre forma con la mancata concretizzazione di interventi migliorativi e di ammodernamento e con la vendita all’asta. L’aggiudicazione a vantaggio del senatore Achille Fazzari ed il sopraggiunto disinteresse di quest’ultimo segnarono la fine delle ferriere, smantellate e spedite verso il nuovo polo siderurgico di Terni. Cessata l’attività produttiva, la zona visse poi quella depressione che l’ha condotta fino ai giorni nostri. Gli studiosi ipotizzano che le vicende concernenti la fonderia di Mongiana siano la plastica rappresentazione di una strategia nazionale volta a rimodellare l’apparato industriale italiano. Oggi, la testimonianza di quegli anni gloriosi è contenuta nel Museo delle reali ferriere borboniche che, attraverso l’archeologica industriale, ripropone un modello che rappresentò la crescita economica. La strada dello sviluppo prende così altre direzioni a partire dalla valorizzazione della storia: sta ai cittadini incanalare le esperienze e le energie positive verso competitivi sistemi orientati futuro.

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Serre: il turismo può attendere, nessun sito storico alle Giornate internazionali della guida turistica

Ancora una dimenticanza? Una distrazione? Una mancata segnalazione? O più semplicemente disconoscimento? Già nel recente passato ciò è accaduto, quando nell’ottobre dello scorso anno il FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) con l’iniziativa “Ricordiamoci di salvare l’Italia” andò a visitare diversi siti di gran pregio storico – artistico – paesaggistico presenti in Calabria. Ma non Serra San Bruno! Il fenomeno si ripete. Come se non bastassero le continue spoliazioni di uffici e presidi di grande utilità per il territorio. Ieri ed oggi si è celebrata la 27^ Giornata internazionale della guida turistica, istituita dalla World Federation of Tourist Guide Associations e promossa dall’Associazione delle guide turistiche nazionale e calabrese. Una due giorni dedicata alle visite guidate per scoprire i vari siti della nostra regione e  volta alla formazione delle guide turistiche. Orbene, i partecipanti hanno visitato: il castello di Vibo Valentia e l’annesso Museo “Vito Capialbi”;  le chiese di Rossano e il Codex Purpureus;  il castello e la concattedrale di Santa Severina; l’area archeologica di Capo Colonna; la chiesa del Rosario e la casa-museo di Bernardino Grimaldi a Catanzaro; la biblioteca De Nava a Reggio Calabria; il palazzo Sanseverino a Marcellinara. Insomma ce n’è stato per tutti i gusti nei cinque territori provinciali. Di Serra San Bruno, Mongiana e Soriano neanche a pensarci! Amministratori che ne dite? O non siete propositivi o siete inascoltati! Attendiamo gradito riscontro!

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Paesi di Calabria: Mongiana

 Mongiana, la “montis jianua”, la “Porta della montagna”, l’ingresso dell’incantevole scenario impreziosito di boschi di conifere delle Serre vibonesi. Circa l’etimologia del toponimo ci sono diverse interpretazioni: per il serrese Mons. Bruno Tedeschi deriverebbe dall’omonimo ruscello che scorre in località Ninfo; secondo altri, dal latino “montis janui” (monte di Giano per la probabile presenza, nei dintorni di un tempio dedicato al dio della guerra; oppure potrebbe trattarsi di “montis gens” (gente di montagna) e altri ancora, molto improbabile, la vogliono derivare dal nome di ingegneri francesi che lavoravano nelle locali ferriere e che si chiamavano “Mong” o “Mongeon”. Oggi questo ridente paesino, a quattro passi dalla più famosa Serra San Bruno è meta di flussi turistici per i suoi incantevoli paesaggi naturali e perché conserva il fascino del suo passato borbonico. Le origini di Mongiana, non molto antiche, risalgono alla fine del ‘700 e sono collegate alla costruzione delle Reali Ferriere per la lavorazione del ferro volute dai Monarchi borbonici, secondo il Piano di Alessandro Persico, amministratore degli arredamenti della Calabria Ulteriore e su disegno dello spagnolo Giovanni Francesco Contò. Della fabbrica restano i ruderi dell’antico ingresso fatto di belle colonne in ghisa e altri manufatti. Tutto il complesso di archeologia industriale è stato sottoposto, di recente, a restauro conservativo e i lavori già ultimati ne mostrano l’antico splendore ed importanza con museo e sale per congressi e studi. Le officine di Mongiana insistevano in un unico stabile esteso per oltre 2 km e lungo il corso dei fiumi Ninfo e Allaro. La ferriera comprendeva 3 altiforni detti di Santa Barbara, San Francesco e San Ferdinando e vi si lavoravano circa 30 mila cantaia di ghisa all’anno con un consumo di 40 mila cantaia di carbone di faggio; inoltre vi erano 2 forni di seconda fusione detti di Wilkinson che producevano 60 cantaia giornaliere di oggetti figurati e la macchina di Robinson per tirare ferri, scomparsa nel 1855 a seguito di un’alluvione. All’interno del complesso c’era anche la fabbrica di armi costituita da un imponente edificio di tre piani abbellito, all’epoca, dalle statue del re e della consorte sovrana.  All’interno dell’edificio industriale vi erano le officine dei forgiatori di canne di fucili, baionette e piastrine con 26 fuochi. Le officine fornivano alla Casa regia napoletana: 12 mila cantaia di proiettili, mortai e bombe; vi si costruivano enormi ruote di ferro fuso, pezzi di macchine, docce, tubi, campane, attrezzi militari e rotaie. Tutto il complesso comprendeva, anche, 26 alloggi per gli impiegati, 6 caserme per gli operai ed altre 3 per semplici manovali ed un quartiere per la truppa ivi di stanza. I manufatti per Napoli prendevano la via del mare dal porto di Pizzo che qui vi arrivavano a dorso di muli attraverso un sentiero che poi sarebbe diventato la “strada nazionale borbonica”, la stessa che ancora oggi dallo snodo dell’Angitola si arrampica fino ai centri montani delle Serre. Per molti anni le fabbriche non conobbero soluzione di continuità ed anche con i francesi di Murat. Anzi, quest’ultimo incrementò la lavorazione del ferro battuto nelle circa 300 fabbriche della vicina Serra dove il minerale veniva trattato con una particolare vernice dorata, per cui i nostri lavori risultavano più appetibili dei napoletani. Insomma grandi cose per tre secoli orsono, poi venne l’Unità d’Italia! Della grande operosità di Mongiana e paesi limitrofi, per fortuna, è rimasta la tradizione dei cosiddetti “ferraioli” che hanno arricchito chiese, palazzi e monumenti vari e non solo in Calabria.. È rimasto famoso il detto “la maestranza di la Serra” estesa naturalmente anche ai centri vicini. La tradizione non è andata perduta, anzi ancora oggi proliferano i lavoratori del ferro battuto e negli anni ’20 del secolo scorso molti “ferraioli”  operai, manovali, tecnici, attratti dall’Eldorado “Montecatini”, sono emigrati verso Crotone in fitta schiera e solo da  Mongiana, tantissimi, basta dare uno sguardo ai cognomi ancora presenti nel capoluogo pitagorico: Bava, Ciccarelli, La Grotteria, Panucci, Pisani, Totino, Canfora ed altri. Mongiana non è solo Ferriere. C’è Villa Vittoria sede dell’Amministrazione Forestale, la riserva naturale biogenetica di Cropani – Micone, tutto attorno un vasto orto botanico che è parte integrante del Parco regionale delle Serre. Ma senza tema di essere smentito, la rinascita di Mongiana la si deve a lui, don Peppino Scopacasa che negli anni ’90 ha intrattenuto residenti, emigranti, turisti e uomini di cultura con l’irripetibile “Agosto per il ritorno degli emigrati”. Un mese, ma anche durante l’anno, ricco di mostre di pittura e fotografiche, sagre di prodotti tipici e soprattutto gli incontri letterari con poeti e scrittori provenienti da ogni dove. Per i Beni culturali ricordo le tante sculture in legno, ferro, granito e bronzo, in particolare il monumento funerario a Luigi Morabito e quello ai Caduti con la statua in bronzo fuso, entrambe opere dello scultore Giovanni Salvatore Pisani (Mongiana 1859 – Milano 1920), lo stesso che ha lasciato tante opere scultoree in tutta Italia e nel cimitero monumentale di Serra San Bruno la statua bronzea del “Redentore” e il busto marmoreo del serrese Mons. Giuseppe Barillari, vescovo di Cariati. E nella chiesa parrocchiale è custodita una pregevole statua lignea della Madonna  delle Grazie di scuola serrese. Oggi cosa resta a Mongiana? Di sicuro le Ferriere borboniche restituite alla fruizione di studiosi e turisti e tanta tranquillità e bellezze paesaggistiche  e soprattutto, come scriveva l’indimenticabile don Peppino: “qui l’animo umano, che il meccanismo della vita moderna sembra aver inaridito sotto una scorza di freddo materialismo, si spoglia d’amarezza e preoccupazione, per liberarsi leggero nella contemplazione delle bellezze naturali, in un mondo incontaminato dall’affanno terreno.”

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