La storia di Danny Mangone, il calabrese morto tragicamente negli Stati Uniti


"Danny” Mangone nacque a Zagarise, provincia di Catanzaro, il 29 gennaio del 1921 da Paolo (nato a Zagarise il 20 marzo del 1894) e Carmela Folino (nata Zagarise il 12 febbraio del 1904). Il padre Paolo decise di emigrare per gli Stati Uniti, portando con se tutta la famiglia, alla ricerca del “sogno americano”. La famiglia Mangone giunse ad “Ellis Island”, nel 1923, dopo aver attraversato l’oceano sul piroscafo “Guglielmo Pairce”. Il padre, Paolo, trovò lavoro come minatore a Caspian, Contea di Iron Country, nel Michigan. Un piccolo villaggio minerario abitato da una numerosa comunità italo-americana. Il piccolo “Danny” frequentò le scuole pubbliche inizialmente nella stessa Caspian e poi nella vicina  Stambaugh. Appena maggiorenne anche per “Danny” si aprirono le porte della miniera. Fu assunto dalla “Hanna Mining Company”.

 Lavorò anche 14 ore al giorno pur di guadagnare il necessario per aiutare la famiglia (composta dai genitori,  da lui e da altre 5 sorelle ed un fratello). Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale anche per lui arrivò la “chiamata alle armi”.

Tornato dall’esperienza militare, dove si fece onore ottenendo vari riconoscimenti, sposò Larraine Turner. Per migliorare l’economia famigliare, oltre al lavoro della miniera,  aprì un negozio di frutta il “Danny's Fruit Market”. Il suo negozio divenne un punto di riferimento e anche d’incontro per la intera comunità. Intanto a rallegrare la sua famiglia arrivarono tre figli: Dan J., Paul e Diane. Tutto sembrava andare per il meglio.

Tra l’altro, lavoratore instancabile, aveva ottenuto diversi riconoscimenti dalla proprietà mineraria per i risultati ottenuti nell’estrazione di carbone. Era anche un responsabile della “American Legion Reino Post No21” . Tutto sembrava andare per il meglio. Ma, purtroppo, la tragedia era in agguato.

La mattina del 2 maggio del 1963, un brutto lunedì, “Danny”  si stava recando a lavoro. Lungo la strada per Selden un autostoppista, Charles Guzowski, gli chiese un passaggio. “Danny” si fermò per caricarlo sul suo camioncino. Proprio in quel momento sopraggiunse, a forte velocità, un auto guidata da Adam Zorzin, Capo dei Vigili del Fuoco di Capian, che tamponò violentemente il camioncino.

Il povero “Danny” fu sbalzato fuori dall’abitacolo e le sue condizioni apparvero immediatamente gravi. Trasportato alStambaugh General Hospital” morì poche ore dopo. Fu sepolto, per i suoi coraggiosi trascorsi in guerra, con gli onori militari. La solidarietà dei cittadini di Caspian aiutò, almeno per qualche tempo, la moglie a sostenere la famiglia.

 *Presidente onorario “Ambasciatori della fame"

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Pruriti sessuali e divieti puritani

Strano paese, gli Stati Uniti d’America. I primi a metterci piede furono i Puritani e Quacqueri e altri protestanti bacchettonissimi e sessuofobi; poi arrivarono gli avventurieri e galeotti, e, per fornire loro delle femmine, i tribunali inglesi condannavano a tutto spiano donne colpevoli o innocenti, proponendo loro, in cambio della galera, di andare come schiave temporanee in America. C’era poco da andare per il sottile, in quei posti inesplorati e tra Indiani e belve; e le signore/ine schiave non erano esattamente la Casta Susanna anche quando stavano in patria.

 Poi gli Usa si vantarono di aver inventato la libertà sessuale; e capita di vedere dei film, non film porno, normalissimi film commedia o polizieschi, in cui due si conoscono al bar, e dopo mezz'ora grugniscono sopra un letto come infoiatissimi cinghiali. Unica garanzia, che lei abbia un minuto più di anni 18.

 Se la signorina ne ha invece 17, 11 mesi, 29 giorni e 23 ore e 51 minuti, chi coisce con lei è un pedofilo; dieci minuti dopo, lei può oscurare la fama della figlia del sindaco di Sodoma e del re di Babilonia, e per gli Americani è una degnissima persona da eleggere a una pubblica carica. Mi fa ridere, ma, nell’americanizzazione persino del diritto, c’è chi ragiona così anche in Italia. Da ridere!

 Insomma, il puritanesimo, da quelle parti americane, si è rifugiato nel calendario e nel certificato di nascita.

 Americaneggiando americaneggiando, anche da noi è arrivato che ogni proposta amorosa è una violenza. Se io ammicco, alludo, sorrido, uso l’equivoco, rischio la galera? Il guaio è che se io non ammicco, non alludo, non sorrido, non uso l’equivoco, la mia interlocutrice mi piglia per un babbeo, e va con un altro che invece ammicca, allude, sorride, usa l’equivoco… e magari le mani! E io resto come il perdente del gioco della zara secondo padre Dante.

 Insomma, se dovesse prevalere l’americanizzazione del sesso, dovremmo vietare la Guerra di Troia, il Dolce stil novo, la poesia erotica, e quasi tutti i musei zeppi di donne nude. Però, mentre vietiamo, dovremmo anche essere contenti perché c’è la libertà sessuale!

 Quanto al caso del produttore alquanto sessuofilo, sessuofilo è lui, e sessuofile sono le sue amiche, che poi, dopo qualche decennio dall’essersi vendute in tutti i modi per una brutta parte in qualche film da dozzina, si scoprono verginelle immacolate.

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Aerei Usa bombardano deposito di armi chimiche in Siria, decine di morti

Ennesima strage con armi chimiche in Siria. A causare la morte di diverse decine di civili e miliziani dell’Isis sarebbe stato un raid condotto dall’aviazione degli Stati Uniti.

Secondo le informazioni divulgate da fonti sul campo, tra le 17,30 e le 17,50 di ieri, jet Usa avrebbero colpito un deposito in cui i miliziani del califfato custodivano armi chimiche.

Il massacro sarebbe avvenuto nel villaggio di Hatla, ad est di Deir Ezzor.

La notizia, qualora fosse confermata, ribalterebbe l’accusa mossa ad Assad di aver ordinato l’uso del Sarin contro i ribelli a Khan Sheikhoun il 4 aprile scorso.

Secondo i governi russo e siriano, i miliziani che operano sotto le insegne dell’Isis e di Jabhet al-Nustra, disporrebbero di armi chimiche fornite da Paesi che sostengono i terroristi. Al contrario, le truppe di Damasco non avrebbero più accesso alle sostanze venefiche. L’arsenale chimico siriano è stato, infatti, distrutto sotto la supervisione internazionale nel 2014. Portati nel porto italiano di Gioia Tauro, i gas tossici vennero trasferiti e successivamente distrutti, a bordo della nave americana "Cape Ray".

In un altro raid aereo compiuto da aeri statunitensi nel nord della Siria, sono rimasti uccisi per errore 18 combattenti appartenti alle Forze democratiche siriane impegnati nella lotta all'Isis. Secondo il Comando centrale americano, martedì scorso gli aerei Usa sarebbero stati tratti in errore dalle coordinate errate fornite loro dagli uomini delle Forze democratiche siriane (Sdf), composte prevalentemente da miliziani curdi.

Trump bombarda la Siria

Alle 4,40 della notte scorsa (3,40 in Italia), gli Stati Uniti hanno bombardato con 59 missili 'Tomahawk' la base aerea siriana di Shayrat, nella provincia di Idlib. I missili sono stati lanciati da due navi che incrociano nel Mediterraneo.

L'aggressione è stata motivata dal presidente Trump con l'uso, tutto da dimostrare, di armi chimiche da parte dell'aviazione di Damasco.

Il bombardamento avrebbe causato cinque i morti, tra cui tre soldati e due civili. Lo ha detto Talal Barazi, il governatore della provincia di Homs, aggiungendo che altre 7 persone sono rimaste ferite.

Il Comitato di Difesa della Duma di Stato (la Camera bassa) russa ha espresso preoccupazione per l'attacco missilistico che potrebbe peggiorare i rapporti tra Mosca e Washington, nonché portare a un ampliamento dei conflitti armati in Medio Oriente. 

"La Russia prima di tutto chiederà una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questo può essere consideratocome un atto di aggressione da parte degli Stati Uniti contro uno Stato dell'Onu", ha detto ai media russi Viktor Ozerov, presidente del comitato di Difesa e sicurezza del Consiglio federale (Parlamento) russo.

L'attacco americano sulla base militare siriana "viola la legge internazionale. Washington ha compiuto un atto di aggressione contro uno Stato sovrano", ha sottolineato il presidente russo Vladimir Putin, citato dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, secondo i media russi. 

 

Gli Stati Uniti hanno usato proiettili all'uranio impoverito in Siria

Il Pentagono ha ufficialmente confermato l’impiego di munizioni all’uranio impoverito contro obiettivi dello Stato islamico, in Siria, verso la fine del 2015.

La notizia giunge dopo una serie di smentite con le quali i vertici militari Usa avevano ripetutamente dichiarato di non aver più usato proiettili all'uranio dai tempi dell'invasione dell'Iraq, nel 2003.

Il munizionamento all'uranio impoverito, sarebbe stato impiegato nel corso di due raid compiuti il 16 ed il 22 novembre del 2015 nel deserto orientale della Siria. Durante gli attacchi, gli A-10 avrebbero esploso proiettili DU, Depleted Uranium, da 30 millimetri, distruggendo oltre 250 veicoli dello Stato islamico.

Nel marzo del 2015, il portavoce della coalizione John Moore aveva dichiarato che “Stati Uniti ed alleati non avrebbero utilizzato munizioni all’uranio impoverito durante Inherent Resolve”.

Gli A-10 schierati in Siria, quindi, non avrebbero dovuto ricevere le munizioni perforanti DU, tanto più che lo Stato islamico non dispone di forze corazzata pesanti, le uniche contro le quali è necessario impiegare proiettili all'uranio.

Trump e la dittatura dell'oligarchia

Sono tre le forme di governo storicamente più comuni. Senza scomodare i classici e praticando una semplificazione, le si può distinguere in: dittatura, oligarchia e democrazia. Fin dalle elementari  insegnano che la dittatura è il potere di un solo uomo, l’oligarchia il potere di una minoranza, la democrazia il potere di tutti.

Se ne deduce, quindi, che la democrazia dovrebbe rispecchiare la volontà della maggioranza.

Nelle democrazie moderne, le scelte si esprimono attraverso libere elezioni. Lo schema è piuttosto noto, ma di questi tempi molti sembrano averlo dimenticato. Il leader di un partito si candida e sottopone agli elettori un programma, ovvero un elenco di cose da fare.

I cittadini scelgono, quindi, chi propone ciò che vorrebbero fosse realizzato. Capita spesso, però, che dimentico del programma, il politico, una volta eletto, faccia tutt’altro. In Italia, di esempi del genere se ne potrebbero citare a iosa. Quanto la pratica sia diffusa lo dimostra il ricorso, sempre più frequente, al cosiddetto fact checking. L’analisi della corrispondenza tra ciò che si è detto e ciò che si è realizzato restituisce l’indice di affidabilità di un uomo politico.

Va da sé che chi non mantiene la parola data, in politica, come nella vita, dovrebbe veder scemare rapidamente la propria credibilità.

Tuttavia, può capitare esattamente l’opposto

È il caso, ad esempio, di Barack Obama la cui popolarità, a livello mediatico, è rimasta sempre immutata.

A suo beneficio, infatti, nonostante le tante promesse non mantenute, la fanfara del pensiero unico ha continuato ad intonare inni di giubilo.

All’estremo opposto, c’è invece Trump. Il neo presidente Usa è entrato stabilmente nel mirino dei cecchini del politicamente corretto. Ogniqualvolta firma un provvedimento, la consorteria radical chic lancia un peana.

Eppure, essere democratici dovrebbe voler dire rispettare il responso delle urne ed accettare, pur non condividendolo, il pensiero degli altri.

Ma, per i fautori della democrazia ad intermittenza, non sembra avere alcuna importanza il fatto che Trump abbia vinto le elezioni, non nel Medioevo, ma due mesi fa. Ancora meno importante, sembra essere la circostanza che stia mettendo in pratica le misure per cui è stato votato.

Ancorché in disaccordo con lui, gli epigoni della democrazia liberale dovrebbero rallegrarsi. Per costoro, un presidente che rispetta il sacro patto sottoscritto con gli elettori dovrebbe essere un esempio da citare.

Al contrario, si assiste alle quotidiane levate di scudi di un’oligarchia che, in nome della democrazia, vorrebbe imporre la dittatura della minoranza.

Articolo pubblicato su: mirkotassone.it

Obama - Trump e i poli estremi del pregiudizio

 Quando Obama fu eletto, gli diedero subito il Nobel per la pace, senza aspettare che facesse qualcosa per meritarselo. Poi ha fatto, sì, ma un mare di guerre, e anche maldestramente; ed ha oggettivamente favorito califfi e terroristi islamici.

 Ripeto ancora che il sedicente Premio Nobel per la pace NON ha niente a che vedere con i Nobel assegnati dall’Accademia di Svezia; ma è un’operazione di politicanti del parlamento della Norvegia. Lo ripeto perché la gente, se no, pensa sia un Nobel sul serio.

 Obama è la dimostrazione che “Non chi grida Signore Signore entrerà nel Regno dei cieli”: a sentire lui e compagni, sono un’inesauribile antologia di sante intenzioni, quasi tutte contraddette dai fatti. Solo che c’è una cultura parolaia che dà, appunto, importanza alle parole; e se uno parla di pace pensa che faccia la pace. Chiedetelo a Libia, Iraq, Siria, cosa ne pensino della pace di Obama… e ai tentativi di Obama di provocare alla guerra la Russia. Il primo atto di Trump sarà incontrarsi con Putin: chi dei due cerca la pace?

 Le donne? Trump ha poco rispetto per la castità delle donne? Beh, almeno non lo fa alla Casa Bianca, e nel ben noto modo preferito da Clinton marito sotto gli occhi compiacenti della Clinton moglie. O vogliamo ricordare gli amori dei Kennedy?

Gli immigrati? Ma secondo voi c’è davvero qualcuno, in tutti gli Stati Uniti, che desidera un’inondazione di messicani? O, in Italia, di “profughi” e “minori non accompagnati” e ampiamente diciottenni?

 O qualcuno al mondo pensa che se un cantante è bravo a cantare (ammesso, e “de gustibus…”), io prenda in alcuna considerazione il suo parere sulla letteratura greca o sulla presidenza degli Stati Uniti? Canti, si paghi, poi stia zitto.

 Ciò premesso, non è che io straveda per Trump: ma vogliamo concedergli i cento giorni canonici che non si negano a nessuno? Aspettiamo dunque almeno Pasqua, per giudicare. Giudicare dai fatti, non dalle chiacchiere.

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Siria: autobomba al mercato di Azaz, decine di morti

I morti sono almeno sessanta, mentre i feriti sono oltre 150. Questo il bilancio, provvisorio, del drammatico attentato compiuto oggi in Siria.

La notizia è stata diffusa dalla televisione libanese degli Hezbollah Al Manar e dall'emittente panaraba satellitare Al Arabiya.

Secondo i due organi d'informazione, che hanno citato fondi vicine alle opposizioni,  la strage è stata compiuta in un affollato mercato di Azaz, città controllata da gruppi ribelli che dista una cinquantina di chilometri da Aleppo. Per seminare morte e distruzione, i terroristi si sono serviti di un'autobomba che hanno fatto esplodere all'ora di punta.

Altro sangue è stato versato, inoltre, nella provincia di Raqqa dove 11 civili, di cui cinque minori appartenenti alla stessa famiglia, sono stati uccisi nei bombardamenti aerei compiuti dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti. Secondo l'Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), i cinque minori sono morti insieme  due donne della famiglia in un raid portato sul villaggio di Al Swidiyyeh.

Per l'Ondus, nel corso del 2016, la coalizione a guida americana avrebbe provocato 467 vittime civili, 108 delle quali sarebbero minori.

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