Alarico, mito e leggenda del re dei Visigoti

Quando mi si rompe l’auto, vado dal meccanico, e lascio fare a lui senza intervenire; idem, se sto male, col medico. Perciò, lasciate fare agli storici. Chi sono gli storici? Non sono quelli che leggono le fonti, ma quelli che le sanno leggere: non è lo stesso, credetemi.

 Sulla morte di Alarico, le fonti sono due: un cenno di Isidoro di Siviglia, autore morto nel 636, il quale dice solo che il re morì in Italia; ma il suo è un punto di vista iberico, e studia i Goti in Spagna; e un brano di Jordanes, all’incirca contemporaneo, il quale narra che Alarico, saccheggiata nel 410 Roma e altre città, raggiunse lo Stretto per passare in Africa, ma una tempesta lo indusse a tornare indietro, e morì presso Cosenza.

 Nessuno dei due autori ci tramanda il millantato peso di venticinque (25!) tonnellate d’oro, di cui a Cosenza del 2016 tutti sono sicurissimi come se l’avessero personalmente pesato; né che in tanta ricchezza fosse compreso, nel 410, un candelabro ebraico preso nel 70; né tanto meno che tutto il bottino fosse sepolto assieme al re.

 Anzi, e mi stupisco (oggi sono educato!) che nessun megastorico se ne sia accorto, è già eccezionale che Alarico sia stato sepolto con rito barbarico e con degli oggetti: i Goti erano, infatti, da molto tempo cristiani, sia pure ariani. Nulla di tanto anomalo che il re abbia ricevuto un trattamento secondo antiche tradizioni germaniche; e che la salma sia stata fornita di corredo funebre: ma non certo con l’immane tesoro, che logica vuole sia stato portato in Spagna da Ataulfo e Galla Placidia. Lì avrà seguito le complicate vicende dei molti e conflittuali Regni visigotici; e in gran parte finito in mano araba dopo il 711; eccetera in secoli di guerre e ogni altra immaginabile vicissitudine.

 Perciò, levatevi dalla testa che l’eventuale ritrovamento del sepolcro di Alarico apra la strada alla riesumazione di tutto quel denaro e sua utilizzazione a vantaggio di Cosenza e della Calabria; non c’è, a parte che sarebbe dello Stato, e finirebbe in un museo, come è giusto che sia.

 Idem per bufale come le ricerche di Himmler. Nel 1938, l’esponente nazionalsocialista, tornando da una vacanza in Sicilia, pare si sia fermato qualche ora a Cosenza per curiosità: tutto qui, e non era certo nelle condizioni di effettuare qualsiasi operazione se non chiedere notizie a qualcuno, senza ottenerne; e rimase con la poesia del Platen, in italiano tradotta dal Carducci.

 E allora, che interesse suscita, Alarico? Tanto, a dire il vero.

1.       È uno dei molti invasori di Cosenza che pagarono con la morte: Alessandro Molosso, Sesto Pompeo, Ibrahim, Cola Tosto, Geniliatz… Se non sapete chi furono, scrivetemi una bella lettera ufficiale e ve lo rivelo. Ma guardate che fascinoso mito, se lo sappiamo raccontare!

2.       È una figura storica di grande rilievo in sé, e circondato da figure non meno interessanti: Stilicone, e i suddetti Ataulfo e Galla. Se non sapete chi furono, scrivetemi una bella lettera ufficiale e ve lo rivelo.

3.       Studiare il periodo è interessante per un’epoca poco nota della storia calabrese: i sette prosperi e lenti secoli della III regio romana, Lucania et Bruttiorum, di cui Cosenza fu una città notevole, e tappa importante di una strada consolare.

Che fare, per lavorare sul serio?

a.       Ricognizione della toponomastica;

b.      Recupero di eventuali leggende popolari credibili;

c.       Assaggi archeologici rigorosamente scientifici.

Quanto alla “statua”, è decisamente umoristica: Alarico faceva il re, non l’equilibrista circense.

 Si può creare un mito, sopra Alarico? Farci un film? Ma sì: un mito si crea su tutto. Vi faccio un esempione: il romanzo storico britannico del XIX secolo s’è inventato di sana pianta un carattere inglese per Riccardo Plantageneto Cuor di leone, il quale era un normanno di lingua francese e scriveva belle poesie in provenzale, e, come tutti gli eredi di Guglielmo, disprezzava qualunque cosa sapesse di anglosassone. Ma oggi tutto il mondo pensa fosse inglese come la regina Vittoria; la quale, del resto, era tedesca con una remota antenata scozzese.

 Si può inventare, eccome. Provate a chiedermelo, con foglio protocollato e indicazione del compenso.

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Il mistero di Alarico e la leggenda del tesoro sepolto a Cosenza

Vittorio Sgarbi ha decretato che è una leggenda. Non mi pare di aver mai letto che lo Sgarbi sia un filologo, da darci lumi sugli scritti di Isidoro e Iordanes e sull’ipotizzata opera cassiodorea a tale proposito; né uno storiografo; è un critico d’arte, e faccia il critico d’arte. E anche quando Battista Sangineto eccepisce che Iordanes scrive duecento anni dopo, e il ritenuto scritto di Cassiodoro sarebbe di settant’anni dopo la morte del re, l’argomento è palesemente debole, giacché tutta la storiografia, per definizione, parla di qualcosa di passato. In archeologia, l’ultima parola è quella del piccone: se verrà alla luce qualche traccia di Alarico, lo sapremo solo a cose finite. Le fonti antiche sulla morte di Alarico sono una sintetica notizia di Isidoro, che registra solo la morte, genericamente “in Italia”. Più preciso lo storico Iordanes, che si vuole, accennavamo, riassumere un lavoro perduto di Cassiodoro sulla storia dei Goti. Il grande scilletino, come si sa, fu ministro di Teodorico e dei suoi successori: essi erano ostrogoti, uno dei due rami della stirpe gotica. Anche Isidoro, del resto, vive nella Spagna dei Visigoti. Questi, sotto la guida del successore di Alarico, Ataulfo, e di Galla Placidia, lasciarono l’Italia per la Penisola Iberica. Qualche nozione del genere non dovrebbe mancare, se si vuole parlare di storia dei Goti! Riprende la notizia anche Paolo Diacono nella Storia dei Longobardi. Così racconta Iordanes: “Infine entrati in Roma, per ordine di Alarico la saccheggiano soltanto, non la bruciano, come sogliono quei popoli, e non permettono di recare offesa ai luoghi sacri. Uscitine, e provocando la stessa devastazione in Campania e Lucania penetrarono tra i Bruzi; e rimasti lì a lungo, decidono di passare in Sicilia e poi Africa. La regione dei Bruzi è posta all’estremo meridionale dell’Italia; il suo angolo inizia dal monte Appennino, e come spingendo una lingua al mare Adriatico dal Tirreno, preso il nome dalla regina Bruzia. Là giunto, Alarico re dei Visigoti con le ricchezze di tutta Italia, che aveva predato, poi, come si è detto, voleva ottenere una sede sicura attraverso la Sicilia in Africa. Ma poiché non è libero l’uomo di far cosa che non sia secondo la volontà di Dio, quello Stretto orribile fece affondare alquante navi, ne danneggiò moltissime. Respinto dunque da questo funesto evento, Alarico, mentre stava decidendo che fare, colto da improvvisa immatura morte uscì di vita. Piangendolo per grande amore, deviando il fiume Busento presso Cosenza dall’alveo, - infatti, tale fiume dal piede del monte scendendo fino alla città scorre per salutare onda – radunati dunque in mezzo all’alveo le schiere di prigionieri scavano il luogo della sepoltura, e nel seno di quella fossa coprono Alarico con molte ricchezze, e di nuovo facendo precipitare le acque nel loro corso, e perché il luogo non fosse riconosciuto mai, uccidono tutti quelli che lo avevano scavato…” Queste sono le fonti. Le riscoprirono, molti secoli dopo, i romantici tedeschi del XVIII e XIX secolo, nella loro ricerca di radici. Fu celebre la poesia del Platen, tradotta in italiano dal Carducci. Quanto alla tradizione locale, l’Andreotti riprende Iordanes anche citando delle cronache antiche cosentine. Non so se siano state trasmesse leggende popolari genuine, segno di memoria storica. Nuove leggende dotte, non ne servono. Una fugace visita del gerarca nazionalsocialista Himmler s’inquadra nel suddetto fenomeno culturale di riscoperta delle vere o immaginarie antichità germaniche, che portarono altri in Provenza e altri nel lontano Tibet. Niente ci autorizza a valutare addirittura il peso e la qualità dei tesori di Alarico in vita e in morte; o, in base a fantasiosi ragionamenti deduttivi, a dar per certa la presenza nel Busento di simboli religiosi portati via da Roma. Se la sepoltura avvenne davvero, non è necessario pensare che la salma sia stata accompagnata dall’intero immane bottino, e mi si consenta di dubitarne moltissimo: i tesori saccheggiati avranno seguito in massima parte il trasferimento dei Visigoti fino in Spagna. Lì il popolo si divise in molti regni, tutti conquistati nel 711 dagli Arabi: seguirono altri secoli di guerre; ed è facile immaginare quali sorti abbiano subito i preziosi. Tuttavia, la sepoltura di Alarico è verosimile. Essa risponde intanto a riti di cui abbiamo notizia presso tutti i popoli seminomadi e guerrieri, con sepoltura, o altri onori funebri, particolarmente solenni e tragici per il re, con cui il popolo sente un’identificazione religiosa e magica. I morti in genere devono essere accompagnati nel loro trapasso ad altra vita; e se ciò non si compie nelle debite forme, divengono “mìasma” e corruzione della famiglia, del territorio e della nazione. Spesso il re viene seguito da altri morti, alcuni dei quali a volte anche volontari. Erodoto afferma che le mogli del re dei Traci gareggiavano per l’onore di morire con lui. Le spoglie del morto devono essere protette, perché potrebbe impadronirsene chi vorrebbe vilipenderle, o farne un oggetto di teurgie e maledizioni. Ci sono dunque buone ragioni per ritenere verosimile la notizia di Iordanes. Se vera, potrebbe confermarlo una fortunata scoperta; la mancata scoperta, ovviamente, non porrebbe fine a rinnovate speranze.

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