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Minorenne calabrese stuprata dal branco di farabutti: siamo tutti carnefici, siamo tutti vittime

Siamo tutti carnefici, siamo tutti vittime: ammutoliti da ciò che, con una tesi di comodo buona solo a difenderci da noi stessi, immaginiamo lontano ed ignoto, afferriamo con rapidità le parole ed i pensieri in grado di allargare le distanze con la sporcizia dell'essere umano. Come se non ci appartenesse, come se le turpitudini della vita fossero qualcosa di cui ignoriamo i rudimenti. No, non è così. Sappiamo bene di cosa stiamo parlando e lo sappiamo perché ciascuno di noi, attivamente o abbassando le saracinesche dello sguardo, porta il suo granellino di sabbia alla decomposizione di una società che produce tutto il male possibile, anche quello che genera travolgenti ondate di indignazione. Tredici anni, aveva solo tredici anni, la bambina (perché sì, è di una bambina che stiamo parlando) che a Melito Porto Salvo, ad un tiro di schioppo dalla Città Metropolitana (?) di Reggio Calabria, è stata piegata dalla brutalità di cui sono capaci i suoi simili. Teatro delle atrocità è stata la prima cittadina che, partendo dal capoluogo, si costeggia prima di arrivare nel cuore della fascia jonica. E' il profumo del mare a spadroneggiare, un profumo diventato olezzo insopportabile per la sventurata fanciulla che per due lunghissimi anni è stata assoggetta e resa schiava delle bestiali voglie di un branco di giovani e giovanissimi farabutti: tra loro il ragazzo a cui lei aveva affidato il proprio cordone sentimentale. Un vincolo che lui ha reciso con le forbici dell'infamia approfittando della condizione di dipendenza psicologica di cui era prigioniera la vittima. Venuto a galla il caso delle continue violenze sessuali di gruppo ai danni della giovanissima sventurata, è iniziata la corsa, da parte di commentatori ed opinione pubblica, alla lapidazione contro gli indegni balordi. Capiamoci, è un bene che ciò avvenga, purché non ci senta, per grazia divina, impermeabili alla vigliaccheria. In tanti, nelle ore successive, si sono scagliati contro la comunità di Melito Porto Salvo, rea di non essersi accorta di quel che stava succedendo sotto il proprio naso. Ma immaginiamo davvero che l'orrido abiti un pianeta diverso da quello nel quale ci muoviamo, tra barbarie quotidiana e pervicace schiacciamento dei valori? Pensiamo veramente che la donna, di qualunque età, goda oggi della dovuta protezione, del dovuto rispetto? O, lavandocene le mani, tranquillizziamo il nostro maschilismo culturale riducendo qualsiasi riflessione a quanto essa si sia emancipata nel corso dei decenni? Ed anche in questo caso, quante volte il riflesso condizionato ci conduce verso la scorciatoia dell'assoluta mancanza di riguardo, con le parole, i pensieri, le azioni? Sì, nel Terzo Millennio, siamo ancora lì a domandarci dove debba essere fissato il limite dell'autonomia della donna, quasi fosse da misurare con un metro, buono per delimitare il recinto dentro cui la sua libertà può essere affermata, purché non lo travalichi. E' un abuso ingiustificabile anche questo, uno stupro della dignità, perpetrato da menti che vivono nel buio della paura fabbricata dalla debolezza e dall'insicurezza. Il "maschio, che terrorizzato dalle ampie falcate dell'intelligenza femminile, si fa scudo con la becera forza fisica trovando riparo sotto il fragile tetto dell'incultura. A differenza delle "anime candide" che si sono stracciate le vesti mettendo in risalto la presenza, prepotente, di un rampollo della cosca Iamonte, questa storia ha in ballo qualcosa di molto più rilevante del condizionamento esercitato dalla 'ndrangheta: l'affermazione di un dominio senza freni, la scarsa considerazione dell'universo femminile che, brillando di luce propria, emana raggi talmente potenti da non essere sopportati dall'occhio spento dell'uomo. Fatta a brandelli la primitiva concezione dell'"appartenenza", lo scalcinato esercito maschile prova così a scavare trincee, oltre che con le infamie di cui si sono resi protagonisti i giovani di Melito, maneggiando sarcasmo e le leve del potere, ancora follemente nelle mani poco salde degli uomini. Intimidazioni e ricatti, proprio al pari di quelli compiuti dalle canaglie finite in manette, sono fulmini che ogni giorno rischiano di colpire le donne nel mezzo di tempeste scatenate da un patologico senso dell'orgoglio ferito. Se, e quando, riusciremo, a concepire ombrelli sufficientemente ampi da poter tutelare le donne dalla grandinata di rozza ignoranza, potremo, tutti, dirci al sicuro. Fino ad allora, la pioggia di vergogna non cesserà di cadere. 

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