Migranti e Ponte: dura la vita di dottor Falcomatà e mister Giuseppe (non Peppe)

Non serve un eccessivo sforzo di fantasia per immaginarli lì, placidi e tronfi al tempo stesso, mentre trascorrevano ore in via Possidonea prima e sul Corso Garibaldi poi, a disegnare le mosse che avrebbero spalancato loro le porte di Palazzo San Giorgio. Non che per alcuni di loro, negli anni dell'"esecrato impero scopellitiano", il portone del Municipio fosse stato invalicabile, tutt'altro, ma ora stava per arrivare l'agognato momento di "andare a comandare". Farlo in prima persona, o in seconda per essere più precisi; assumersi l'onere, da molti scambiato per onore e nulla più, di condurre per mano la città ed accompagnarla sulla strada, accidentata e ricca di insidie, della crescita consapevole e dello sviluppo adatto alle sue peculiari caratteristiche. Perché ciò si concretizzasse era, però, necessario armarsi di quelle competenze, amministrative, politiche e caratteriali di cui è impossibile rintracciare anche solo l'ombra. E non sorprende, pertanto, che, due anni dopo l'insediamento, Giuseppe Falcomatà e gran parte della sua squadra appaiano ancora, incredibilmente, in una fase di rodaggio ormai ingiustificabile. La cartina di tornasole, dall'esito oggettivo e non adatto ad interpretazioni di comodo, è rappresentata dall'assenza, assoluta, di manutenzione in ogni angolo della città. E' questo aspetto, assai poco decoroso, a rendere indifendibile l'Amministrazione. Uno sciatto stato di abbandono spadroneggia in centro come in periferia, sul Lungomare e ad Arghillà. Nel presunto "salotto buono" del Corso Garibaldi e nella traversa più distante dai luccichii del tempo che fu. Più volte questo giornale ha puntato l'indice sulle gravissime responsabilità del sindaco e dei suoi sodali, alcuni dei quali, se consci dell'inesorabile avvicinarsi del baratro in cui, giorno dopo giorno, sono trascinati, per forza d'inerzia e loro debolezza, dal Primo Cittadino di Reggio Calabria, farebbero bene ad alzare la testa e pretendere un cambio di marcia da imprimere rapidamente prima che il buio oscuri per sempre la città. Quel che è peggio, tuttavia, è la cieca navigazione a vista su un canotto perforato dai buchi del più bieco opportunismo. Nel brevissimo arco temporale di pochi giorni, infatti, Falcomatà ha trovato il modo per salire due volte sulla nave dentro cui trovano posto coloro che, approfittando della massima secondo cui "la coerenza è la virtù degli imbecilli", si tuffano nelle perigliose acque del vuoto pneumatico di idee, mettendosi così nelle condizioni di pescare spunti di piccolo cabotaggio validi solo per incipriare programmi elettorali da essi stessi trattati come inservibile carta straccia. Primum non affondare le proprie ambizioni di carriera: è questo il mantra che seguono i tanti adepti del "nuovismo" oltranzista. Spogliati di qualsiasi riferimento ideologico, si agitano, insieme timorosi ed arroganti,  tra tutto ed il contrario di tutto, barcollando sotto i durissimi colpi inferti loro dall'ostinazione dei fatti. Una vita politica palesemente virtuale che tentano disperatamente di costruirsi a spese della loro stessa serietà, della loro stessa dignità. Convinzioni di ieri talmente salde da potersi trasformare oggi nel loro  esatto contrario. Per esempio, di fronte al dramma epocale del terzo millennio, il sindaco di Reggio Calabria, in piena campagna elettorale, storia dell'estate di due anni addietro, banalizzò la terribile tragedia dell'immigrazione, proponendo di "ripopolare l'entroterra" con i profughi che sbarcano sulle coste reggine. Considerazioni buttate a casaccio per rimpinguare un documento in altre parti copiaincollato da quello stilato da Matteo Renzi all'epoca in cui l'attuale presidente del Consiglio ricopriva l'incarico di sindaco di Firenze. Vero è che solo le vie del Signore sono infinite, mentre quelle della politica rimangono dentro i confini del volere del Sovrano cui i sudditi, senza forzature di sorta, si piegano per natura ed indole, ma  piagnucolare adesso lamentando l'esistenza del problema "migranti" è indicativo del valore che il Primo Cittadino di Reggio nutre, lui per primo, nei confronti dei suoi pensieri e delle sue parole. E, a porre il sigillo all'assunto di cui sopra ci sta pensando in queste ore lo stesso Falcomata a proposito della secolare querelle legata alla costruzione del Ponte sullo Stretto. E' bastato che il premier, al pari di quasi tutti gli ex inquilini di Palazzo Chigi, ritirasse fuori dal cilindro lo stesso coniglio di sempre, per convincere il "giovin signore" di Palazzo San Giorgio a rinnegare, ancora una volta, i suoi convincimenti evidentemente poco convinti. Perché, quel "no secco" alla realizzazione della grande opera messo nero su bianco nel famoso programma elettorale si è prontamente tramutato in un comico "dobbiamo essere visionari". Peso piuma dal pensiero debole, il sindaco Metropolitano surfa sulle onde delle contraddizioni fino ad annegare nell'acqua profonda dei vaneggiamenti. Sulla riva, nel frattempo, il "cerchietto magico" si spella le mani applaudendo le acrobazie dialettiche del "capo" e, quando non applaude emettendo gridolini di fanatico giubilo, si diverte a costruire castelli di sabbia. 

 

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