Attenzione
  • JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 983

Un Centro studi bruniani per Serra

Un Centro Studi Bruniani a Serra? Perché no! Si avvicina, ormai, dirompente il tempo ( aprile 2016) delle celebrazioni per il IX centenario della morte del Beato Lanuino, l’immediato successore del Santo Patriarca Brunone di Colonia ed è come rinnovare lo spirito e l’ansia di conoscere e studiare ancor di più. Beh, per questo importante appuntamento storico – religioso, perché non regalare ai Certosini, ai Serresi, ai Calabresi, al mondo intero un Centro di divulgazione del pensiero e della figura del nostro Santo e di Lanuino e approfondimento di mille anni di storia certosina e serrese insieme. È tanta e qualificata, ormai, la letteratura attorno alla Certosa che necessiterebbe maggiori studi e più propriamente un regesto di tutte le opere anche di quelle archeologiche già in nostro possesso e di quelle future. Appunto, un Centro Studi Bruniani. Per la verità, l’idea era stata già avanzata durante i giorni dell’ “Anno Bruniano” del 2001-02 e il sindaco del tempo ebbe a dire che era giunto il tempo di “cominciare a riflettere seriamente sulla possibilità di valorizzare la nostra cultura, promuovendo tutte le iniziative necessarie”, tradotto, “istituire nel nostro comune un centro di studi bruniani capace di aggregare quanti intendono seriamente dedicarsi alla ricerca sul Santo di Colonia.” In modo permanente. L’idea era stata accolta con entusiasmo anche dal comitato scientifico nazionale coordinato dal prof. Pietro De Leo. Ma a quanto pare è intervenuto il dimenticatoio! Orsù, riprendiamo il discorso, rimettiamo in moto l’iter cominciando a coinvolgere anche e soprattutto l’Università della Calabria e i tanti soggetti iniziatori. Non se ne dimentichi quel sindaco del tempo che oggi siede in Parlamento e riprenda il cammino! Che non vada perduto quanto fin qui realizzato e studiato, perché il tutto è un prezioso scrigno per la cultura calabrese altrimenti si rischia che mai “si po’ vidiri l’arva!”

  • Published in Diorama

Il miracolo della "Manna" e il ritorno dei certosini

Non è un rapporto temporalmente lineare quello tra la Certosa e Serra. Ci sono state, infatti, fasi storiche in cui i discepoli di san Bruno sono stati costretti dagli eventi avversi a lasciare la “cittadella dello spirito” eretta dal fondatore del loro ordine. Dopo il passaggio ai cistercensi, nel 1192, i certosini dovettero, per la seconda volta, lasciare le Serre in seguito al decreto di Giuseppe Bonaparte del 13 febbraio 1807 con il quale, tra l’altro, erano stati chiusi i conventi con meno di 12 frati. Già minata dalla terribili e disastrose conseguenze del terremoto del 1783, la Certosa rimarrà disabitata fino a quando, l’Arcivescovo di Rossano, il serrese Bruno Maria Tedeschi, non attiverà tutte le sue conoscenze per agevolarne la riapertura. L’iniziativa, come riportato da Taccone e Gallucci nelle Memorie storiche della Certosa de’ Santi Stefano e Brunone in Calabria, trova il favore del “gran Priore Generale della Certosa di Grenoble P.D. Giov. Battista Mortaiz e del Capitolo Generale Certosino. Laonde stabilite le relative pratiche, finalmente l'egregio Arcivescovo accompagnò egli stesso in Serra il P.D. Paolo m. Gerard, Priore della Certosa di S. M. degli Angeli in Roma e Procuratore Generale dell’Ordine, nonché i suoi compagni Fr. Domenico Terzuoli e Fr. Alessio Moschettini. Qual delegato Pontificio per Regio, diede il Tedeschi ai 29 marzo 1840 solenne e legale possesso della Certosa di S. Stefano, con grande consolazione generale approvazione”. Nel maggio dello stesso anno, il capitolo generale, elegge Stefano Franchet nuovo priore della Certosa. Nelle more dell’insediamento la casa religiosa viene gestita da un certosino francese, padre Taddeo Supries. L’anno successivo, accompagnato da due oblati, Maurizio Gabrielli ed Arsenio Compain, arriva a Serra anche il nuovo priore che avvia, immediatamente, una frenetica opera di recupero delle strutture danneggiate dal terremoto. Tuttavia, l’avversità delle condizioni generali e le ristrettezze economiche inducono Franchet e Gabrielli a lasciare Serra. A presidiare la Certosa, rimane, quindi, soltanto padre Compain che non si scoraggia e cerca, con pervicacia, di recuperare il patrimonio artistico sottratto alla Certosa dopo il terremoto del 1783. Uno zelo che pagherà con la vita, dal momento che verrà assassinato il 21 ottobre 1844. Morto l’unico inquilino, la Certosa ritorna ad essere desolatamente disabitata. Quando pare, ormai, destinata al definito abbandono, nel 1852, il sindaco di Serra, Vincenzo Scrivo, trasmette alla corte di Napoli una petizione nella quale chiede la concessione di una rendita destinata a sostenere il ritorno dei certosini. Nell’attesa dell’espletamento delle formalità burocratiche, un evento prodigioso preannuncia l’imminente ritorno dei “monaci”. Nel giugno 1856 si manifesta quello che i serresi considerano un inequivocabile segno divino. Ogni mattina, infatti, sugli alberi che circondano la chiesa di Santa Maria del Bosco si forma una specie di brina di colore bianco, lo stesso della cocolla dei certosini. Per i fedeli si tratta di un prodigio, tanto più che la “brina”, una volta svanita al sorgere del sole, lascia una pellicola bianca dal gusto dolcissimo che i bambini leccano con cupidigia. Il segnale celeste non tradisce le attese ed il 4 ottobre 1856 dom Vittore Nabatino prende possesso della certosa Serrese. Il 17 aprile del 1857, il nuovo priore, dopo un breve viaggio a Napoli, ritorna a Serra con cinque fratelli che lo coadiuvano nell’opera di ripristino della Certosa. La rinascita a nuova vita del monastero viene suggellata il 30 maggio con la traslazione delle “Sacre Reliquie” cui concorrerà una folla di fedeli proveniente da ogni dove. Passeranno meno di due lustri e nel 1866 in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, la presenza dei Certosini verrà messa nuovamente in discussione, ma questa è un’altra storia.

 

  • Published in Cultura

Serra, storico incontro fra il Consiglio generale dei Padri Dehoniani e i Certosini

È stato un incontro dal significato particolare, con il confronto fra due diverse - ma ugualmente generose - propensioni di dedicare la vita al Cristo. Il Consiglio generale dei Padri Dehoniani, che da domenica scorsa e fino al 4 ottobre si trova in ritiro presso la Casa del Sacro Cuore di Briatico sorretta da padre Rocco Rosario Lavieri (coadiuvato da padre Fausto Leonida Colecchia e da padre Francesco Morrone), ha visitato la Certosa di Serra San Bruno: 11 padri di diversa nazionalità sono stati accolti dal priore Dom Basilio Trivellato e dall’amministratore Antonio Zaffino che hanno fatto “assaporare” loro l’essenza della spiritualità bruniana. Si tratta di un evento storico in quanto il Consiglio generale rappresenta il vertice mondiale della Congregazione fondata dal sacerdote francese Léon Gustave Dehon che basa il suo operato sul concetto della riparazione delle offese dell’umanita al Cuore di Gesù. I Padri Dehoniani hanno potuto constatare il silenzio vigente entro la cinta turrita e il modo di guardare al Divino dei “solitari di Dio”. Immergersi nella realtà del monastero serrese ha significato riscoprire il valore della contemplazione. Rivisitare un luogo ricco di storia ha voluto dire sentire quanto è forte l’azione di Dio che non si stanca di sorprendere con la fantasia dei suoi interventi. Per tutti, la visita è stata anche una ulteriore opportunità per godere delle bellezze del territorio della Calabria e sentire la forza di  gente che non si è stancata di scoprire, anche nella fatica, il gusto delle cose belle della vita. Se i religiosi di vita attiva parlano “di Dio alla gente”, i monaci contemplativi, per come  ha ribadito Dom Basilio Trivellato, parlano “a Dio della gente”. È un messaggio importante, di cui una società sempre più condizionata dalla frenesia della globalizzazione ha certamente bisogno. Va infine specificato che la comunità della Casa del Sacro Cuore di Briatico è impegnata nell’animazione spirituale religiosa del territorio ed è luogo di accoglienza per gruppi di preghiera ed è disponibile per accompagnare nel discernimento spirituale.   

 

Il Consiglio generale della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, recatosi oggi in Certosa, è così composto:

Superiore Generale: P. Heinrich Wilmer (GER)

Vicario Generale: P. Carlos Enrique Caamaño Martín (VEN)

Consiglieri generali: P. Léopold Mfouakouet (CMR), P. Paulus Sugino (INA), P. Artur Sanecki (POL), P. Stephen Huffstetter (USA)

Economo Generale: P. Luca Zottoli (ITA)

Procuratore Generale e Postulatore Generale: P. José Carlos Briñón Domínguez (ESP)

Segretario Generale: P. Florentinus Heru Ismadi (INA)

Vice Segretario Generale: P. Radosław Warenda (POL)

Segretario Personale: P. Rinaldo Paganelli (ITA)

{gallery}Dehoniani{/gallery}

  • Published in Cultura

Parco delle Serre, parte la riqualificazione mirata dell’area della Certosa

Il Parco delle Serre, a partire dalla giornata di domani e per otto giorni consecutivi, metterà in campo un’imponente operazione di riqualificazione mirata dei punti più importanti della Certosa di Serra San Bruno. In particolare, in occasione della seconda giornata del X Cammino regionale delle Confraternite della Calabria che si terrà il prossimo 19 settembre 2015 a Serra San Bruno nell’Arcidiocesi di Catanzaro - Squillace dove è previsto un cammino penitenziale in abiti fraterni e la concelebrazione di una Santa Messa  davanti al Santuario mariano di Santa Maria del Bosco nella atmosfera dell’antico Eremo di Bruno di Colonia; e in occasione dei festeggiamenti in onore di San Bruno, fondatore dell’Ordine dei certosini, la cui ricorrenza del dies natalis è il 6 ottobre prossimo, il Parco delle Serre disporrà un intervento straordinario all’interno e all’esterno del millenario monastero certosino in comune accordo col Padre Priore Dom Basilio Trivellato. Gli interventi del personale del Parco, guidato dal coordinatore Antonio Gallè, unitamente a quello del progetto “Natura e turismo” voluto da Calabria Lavoro, prenderanno di mira l’invasione di edera delle mura della cinta turrita, si occuperanno della pulizia straordinaria di prati e aiuole, di porzione del manto stradale antistante al monastero, del percorso interessato dal cammino penitenziale e da quello del busto reliquiario di Bruno di Colonia. Nasce da questa occasione una collaborazione tra il Parco naturale regionale delle Serre e la Casa Spirituale della Certosa di Serra San Bruno che avrà un proseguo anche per il futuro quando, in periodi dell’anno prestabiliti, il Parco contribuirà col proprio apporto di mezzi e personale per interventi ordinari, straordinari e di cura dell’importante baluardo della cristianità. “In conformità con lo spirito del Cristianesimo – ha dichiarato il commissario straordinario del Parco delle Serre Antonio Errigo - il monastero certosino di Serra San Bruno quale ‘Cittadella dello spirito’ come l’ha definita il Papa emerito Ratzinger nella memorabile visita alla Certosa nell’ottobre del 2011, rappresenta importante centro della religiosità e della ricerca del Signore nello spirito della clausura, nel contempo è anche un monumento dall’alto valore storico-culturale e meta fondamentale del turismo religioso. L’antico eremo dei certosini, incastonato in uno scenario ambientale incomparabile, pur essendo in buono stato di conservazione, richiede la necessità di una cura straordinaria, per questo il Parco sempre sensibile a questi temi ha messo in opera dei lavori di riqualificazione e finitura in prossimità dei due eventi religiosi straordinari che richiameranno a Serra San Bruno una moltitudine di fedeli che giungeranno da tutta la Calabria e da buona parte d’Italia”.

 

  • Published in Cronaca

Serra, buona presenza di turisti a Santa Maria del Bosco

L’ultima domenica di luglio conferma che la meta serrese conserva ancora la sua attrattività nonostante il fascino delle onde marine: evidentemente la spettacolarità dei paesaggi naturali e la spiritualità bruniana rimangono obiettivi desiderabili per i visitatori. Sia l’area della Certosa che Santa Maria del Bosco sono state raggiunte da numerosi turisti meravigliati dalla bellezza dei luoghi  santi e dai loro segreti. C’è chi ha preferito un conviviale picnic e chi ha optato per una salutare camminata lungo il sentiero Frassati, chi ha scelto di visitare il Museo della Certosa e chi ha recitato una solitaria preghiera nei pressi del laghetto di San Bruno  o nelle chiese del paese. Le temperature gradevoli, specie all’ombra di qualche albero secolare, sono state poi un motivo in più per venire a Serra per chi non sopporta l’afa delle città.

 

Il giallo del priore che s'impiccò nella Certosa di Serra

Un giallo, ma più che un giallo un mistero, un autentico rompicapo del quale si è lentamente persa la memoria. Un episodio inquietante, accaduto quarant’anni fa, in un luogo sul quale, da sempre, aleggia il mistero ed alberga la leggenda. La Certosa di Serra San Bruno, per certi aspetti, un luogo simbolo, sul quale spesso si esercita un giornalismo da avanspettacolo alla ricerca di facile sensazionalismo e scoop a buon mercato. Da Majorana, a Milingo, dal pilota di Hiroshima a Federico Caffè, ammesso che sia tutto falso, quando c’è da cercare una traccia di qualche illustre personaggio “svanito” nel nulla, la Certosa viene sistematicamente chiamata in causa. Mentre fiumi d’inchiostro hanno solcato le cronache nella costruzione di notizie romanzate da offrire in pasto al grande pubblico, episodi reali e misteri consumatisi tra le mura di cinta ed il chiostro, sono stati, invece, frettolosamente consegnati ad un oblio troppo sbarazzino per non suscitare qualche sospetto. Quello che ci accingiamo a narrare è un fatto realmente accaduto che, all’epoca, dovette suscitare non poco scalpore in quello che Normann Douglas aveva definito “il paese più bigotto della Calabria”. Un episodio che occupò marginalmente le cronache e che ben presto venne derubricato al semplice pettegolezzo da strapaese. Il 21 febbraio del 1975, era una giornata fredda, gelida, un timido sole, ogni tanto, faceva capolino tra le nuvole minacciose che si addensavano all’orizzonte. I serresi, con la testa già rivolta alla pausa domenicale ormai prossima, erano intenti alle loro attività. Sembrava un venerdì come tanti altri quando, nella tarda mattinata, iniziò a circolare un’indiscrezione clamorosa, per certi versi inquietante. Chi aveva dato per primo la notizia, lo aveva fatto come se in realtà stesse facendo una domanda. “Dicia ca s’ammazzau nu monacu, cu s’apa s’è vieru?”. Una volta trapelato, quello che sulle prime sembrava un pettegolezzo, era stato propalato con sconcertante rapidità, tanto da arricchirsi, nel corso delle ore, di particolari e dettagli non sempre aderenti alla realtà. Qualcuno, con sicumera, andava ripetendo: “dicia ca non era nu monacu, dicia ca s’ammazzau lu priguri”. In tanti, già dubbiosi sulla prima notizia, stentavano a credere alla seconda. Era difficile già immaginare che un certosino si fosse tolto la vita, contravvenendo ad uno dei più importanti precetti cristiani, ma un padre priore, poi? La condanna per chi si toglie la vita è categorica. Formulata con la patristica si è arricchita di postulati e riflessioni con la scolastica. Il primo a condannare il suicidio è stato, infatti, Sant’Agostino, nella“Città di Dio”. Il precetto è stato poi espresso con maggior vigore, in epoca medievale, da San Tommaso D’Aquino, che ha definito il suicidio “un peccato contro Dio”. Eppure, al di là di ogni ragionevole dubbio, come riportato, due giorni dopo nelle pagine dedicate alla cronaca nazionale della “Gazzetta del sud”, le mura certosine erano state teatro di un fatto che, come recitava l’occhiello, aveva “Turbato la pace del Convento”. Il titolo del pezzo firmato da Domenico Nunnari, non lasciava alcun dubbio: “S’impicca a Serra San Bruno il padre priore della Certosa”. La notizia, per il quotidiano, siciliano, ancora privo delle pagine calabresi, era rilevante, a tal punto da trovare ospitalità a pagina due. Lo stridente contrasto tra il fatto e il luogo in cui si era consumato, emergeva, chiaramente, fin dall’incipit. Nunnari, infatti, apriva il pezzo, così: “La grande e secolare pace nella Certosa di Serra San Bruno è stata infranta per un inatteso e gravissimo evento: la tragica scomparsa del padre priore che si è ucciso impiccatosi all’interno del convento”. Ma chi era il protagonista? L’uomo che aveva deciso di lasciare il silenzio certosino per attraversare l’Acheronte, era un vigoroso quarantaseinne, originario di Boixtel, una cittadina di trentamila abitanti situata nella provincia olandese del Brabante settentrionale. Willibrando Pnemburg, il nome, era “stato trovato morto da altri religiosi” nella sua cella, impiccato con le lenzuola al proprio letto. Cosa abbia potuto indurre il priore a compiere quel gesto, era e rimane un mistero. Secondo la cronaca del tempo, “niente lasciava presagire quella fine”, tanto più che “da qualche anno, per libera scelta dei padri era stato eletto alla suprema carica della Certosa, certamente in considerazione delle sue elette virtù, per il suo scrupolo nella condotta della vita comunitaria, per la sua dedizione assoluta agli ideali certosini”. Un uomo di grandi meriti “esterni” e “visibili, legati, senz’altro, al restauro della monumentale chiesa rinascimentale distrutta dal terremoto del 1783”. Un restauro significativo che aveva interessato anche i “famosi” pinnacoli della vecchia facciata. Nella ricostruzione giornalistica, padre Pnenburg viene descritto come “un religioso equilibrato, sensibile, preparato […] dotato anche di un gran senso di umanità. La sua cultura, le sue capacità, legate a grande rettitudine d’animo, lo avevano fatto prescegliere dalla casa madre di Grenoble come uno dei padri visitatori”. Da qui, “i frequenti viaggi all’estero e nelle altre case italiane per adempiere alle delicate mansioni affidategli. […] Si può ritenere che proprio lo ‘stress’ di questi continui spostamenti in Paesi diversi abbia nuociuto alla sua salute fisica e forse, al suo stato mentale. Ogni altra ipotesi viene esclusa da quanti hanno avuto rapporti con lui”. La conclusione lapidaria del cronista, riprende, con tutta evidenza, la semplicistica tesi ufficiale, divulgata all’epoca con l’intento di far calare sulla notizia un repentino silenzio. Tuttavia, la tesi appare in stridente contrasto con il ritratto stesso del priore, definito dal cronista “un religioso equilibrato”, a tal punto da farlo prescegliere quale componente di “una ristretta commissione centrale che, in omaggio allo spirito del concilio Vaticano  II, era incaricato di promuovere nell’ordine adeguamenti graduali”. Viene, quindi, da chiedersi, possibile che nessuno nei giorni precedenti si fosse accorto di un disagio che di lì a poco si sarebbe risolto in un suicidio? E poi, per quanto numerosi potessero essere, è mai possibile, che i viaggi abbiano causato uno stress tale da indurre un uomo “equilibrato" a togliersi la vita? Tanto più, che, da quanto appreso, pare che in prossimità dell’accaduto il priore fosse stato chiamato presso la casa madre di Grenoble. Un viaggio per il quale sarebbe partito “sereno”, “tranquillo” e dal quale, pare, fosse ritornato piuttosto “turbato”. Cosa sia successo in Francia è difficile dirlo. Ciò che, invece, si conosce è la diceria circolata in paese all’epoca, ma non solo. I serresi, infatti, amanti del pettegolezzo, tanto più se pruriginoso, la notizia la ricordano e molti non si sottraggono ad aggiungere, seppur a mezza bocca, qualche particolare che vorrebbe, all’origine del gesto, una sorta di desiderio di espiazione per aver intrattenuto un rapporto carnale con una donna del luogo. Il pettegolezzo, anch’esso, semplicistico e privo di alcun riscontro, dovette, però, circolare con grande insistenza nelle case serresi se, a distanza di un quarantennio, tutti gli interrogati rispondono all’unisono, associando la morte di padre Pnemburg ad una donna. Volendo scartare le cause riconducibile allo “stress” e ad amorosi sensi, viene, quindi, da chiedersi, cosa ci sia stato dietro quel suicidio troppo frettolosamente archiviato. E se non fosse stato un suicidio?

  • Published in Cultura

Il magico “tempio” del bosco di Santa Maria

Tra il 1907 ed il 1911, il viaggiatore inglese Norman Douglas visita la Calabria. Il suo, però, più che un giro turistico è una vera e propria esplorazione. Animato da spiccata curiosità intellettuale, si muove con i mezzi più disparati pur di raggiungere la propria destinazione. Per cercare di conoscere da vicino una terra selvaggia, abitata, come diceva Dumas da “streghe e maghi”, Douglas non si sottrae a nessuna fatica. Nel corso del suo lungo e paziente peregrinare raggiunge anche le Serre. Partito da Caulonia, arriva nel paese della Certosa dopo aver attraversato Fabrizia. Di Serra, definita “uno dei luoghi più bigotti di Calabria”, non scrive niente di originale. Il racconto della sua brevissima permanenza inizia con una banale: “Può benissimo dirsi che la cittadina sia sorta attorno, o piuttosto vicino, alla tanta decantata abbazia dei certosini”. Dopo aver raccontato, con non poche imprecisioni, l’episodio accaduto nel marzo 1811, quando il generale francese Manhés fece chiudere le chiese e proscrivere i preti dopo l’uccisione, da parte dei briganti, di due soldati transalpini, ritorna a parlare fugacemente del “ monastero”, del “ laghetto artificiale” e della “rinomata cappella di Santa Maria”. Si tratta di brevi annotazioni nelle quali viene rilevata la ricostruzione, “su schemi moderni”, della Certosa che “conserva ben poco della struttura originale “ antecedente al terremoto del 1783. La curiosità lo spinge, però, ad occuparsi più dei certosini che del convento. Pertanto scrive:  “Ho gironzolato […] in compagnia di due monaci francesi in tonaca bianca, sforzandomi di ricostruire non il convento come era ai suoi tempi più giovani, ma ‘loro’”. Da uno dei due, “il più vecchio” che “aveva conosciuto il mondo”, apprende che, per ovviare alla prescrizione della regola che impone l’astinenza dalla carne, la “divina confraternita ha un contratto affinché il pesce venga portato su quotidianamente, per mezzo del servizio postale dalla lontana Soverato”. Indagate le abitudini alimentari dei certosini, quel che più di ogni altra cosa sorprende Douglas è la “maestosa foresta” che si trova sul “retro del monastero”, che “nella luce fioca del mattino madido di rugiada” appare come un “tempio” che racchiude “una magia più naturale e più sacra, che non negli ambulacri dei chiostri poco lontani”. Quel che ha permesso allo “aggruppamento di alberi solenni” di svilupparsi sono “ le rare condizioni del suolo e del clima”. “ La regione – scrive – è alta; il suolo è perennemente umido e intersecato da un’orda di ruscelli che riuniscono le loro acque per formare il fiume Ancinle; frequenti scrosci di pioggia scendono dall’alto. Serra ha un regime di precipitazioni piovose di insolita abbondanza”. Del centro abitato, che forse non ha neppure visitato, dice soltanto che “ sta in una vallata che occupa il bacino di un lago pleistocenico”. Ansioso di lasciare Serra per raggiungere la vita “lussuosa” e gli “agi” offerti dalla città di Crotone, Douglas, prima di partire, osserva quello che definisce uno “spettacolo benedetto per l’utilitarista”, ovvero la “fabbrica che trasforma il legno in carta”. Con tutta evidenza si riferisce alla fabbrica di cellulosa che ha operato a Serra tra il 1892 ed il 1928.

  • Published in Cultura

Il comunista che salvò la Certosa

E’ morto la notte scorsa, nella sua abitazione di Catanzaro, Quirino Ledda, ex vice presidente del consiglio regionale e storico dirigente del Pci. Sardo di nascita e calabrese d'adozione, Ledda è stato, negli anni Settanta, segretario regionale della Federbraccianti ed esponente di primo piano del Partito comunista italiano. Eletto, nel 1980, Consigliere regionale della Calabria, la figura di Ledda è indissolubilmente legata, anche, a Serra San Bruno ed alla storia della Certosa. Se il monastero fondato da Brunone di Colonia, oltre mille anni addietro, ospita ancora i frati dal candido saio, buona parte del merito va ascritto proprio lui. Molti non c’erano ancora, molti altri, forse, non lo ricordano più, ma sul finire degli anni Settanta le condizioni della Certosa erano piuttosto precarie. L’intera struttura presentava gli inevitabili acciacchi prodotti dal tempo. La situazione era diventata insostenibile a tal punto che iniziava, addirittura, a farsi strada l’ipotesi di chiudere definitivamente la Certosa e di trasferire i monaci in un altro convento. Quanto la situazione non fosse più tollerabile, in molti lo capirono, il 2 aprile 1981 quando, sulla Stampa di Torino, venne pubblicato un articolo dal titolo  “Anche ai certosini può capitare (a volte) di perdere la pazienza”. L’autore del pezzo, Enzo Laganà, scriveva: “I frati certosini di San Bruno abbandoneranno definitivamente il più antico cenobio fondato dal loro santo? Gli ultimi ventidue superstiti di questa storica istituzione sono, infatti, intenzionati a non affrontare un altro inverno se non saranno riparate le strutture del convento”. Il giornalista aveva raccolto lo “sfogo” del padre priore dell’epoca, Pietro Anquez il quale, “smentendo in parte il riserbo che circonda la vita” certosina, aveva “denunciato”, tra l’altro, la grettezza degli apparati burocratici. A rendere paradossale la situazione, infatti, c’era un “progetto per la ristrutturazione” che misteriosamente si era perso “nei vari passaggi da ufficio a ufficio”. Una situazione kafkiana, resa ancor più singolare dalla circostanza che il ministero dei Beni culturali aveva affermato che in Calabria non si riuscivano ad “utilizzare tutti i soldi assegnati”. Infatti, come ricorda Bruno Gemelli, nel “Grande otto”, un finanziamento c’era. La Cassa per il Mezzogiorno aveva destinato ben “ 7 miliardi di vecchie lire al restauro dell’antichissima Certosa”. Evidentemente, l’ignavia della politica e la neghittosità della casta burocratica regionale, ieri come oggi, erano le principali palle al piede della Regione Calabria. Fu in questo contesto che intervenne Quirino Ledda. Nel suo ruolo di consigliere regionale, come sottolinea Gemelli, “facendo indispettire l’apparato” del suo stesso partito, in un’interpellanza al Presidente della Giunta regionale, Bruno Dominijanni ed all’Assessore regionale alla cultura, Ermanna Carci Greco, denunciò il grave pericolo che incombeva sulla Certosa. L’intervento servì non solo a smuovere la politica che, per il tramite del Consiglio regionale, stanziò 50 milioni di lire per finanziare gli interventi più urgenti, ma innescò una vera e propria campagna stampa che mise il monastero serrese al centro dei riflettori nazionali. L’interrogazione di Ledda, nell’aprile del 1981, venne ripresa da Repubblica, in un articolo di Pantaleone Sergi dal titolo, “Ledda nella sua interrogazione ha posto ai governanti regionali alcuni gravi problemi sollecitando un intervento tempestivo”. Seguirono poi, gli interventi di Filippo Veltri e Gianfranco Manfredi sull’Unità e di Pino Nano sull’Avvenire. L’Occhio, un giornale dalla vita piuttosto breve, diretto da Maurizio Costanzo, poco prima di chiudere i battenti, nel 1981, dedicò alla Certosa un vero e proprio reportage. La campagna giornalistica e le pressioni politiche sortirono gli effetti sperati. Il 3 novembre 1984, finalmente, iniziarono i lavori di restauro eseguiti dall’impresa Borini di Torino. Alla cerimonia inaugurale del cantiere parteciparono, tra gli altri, Quirino Ledda, l’Assessore regionale alla cultura Rosario Olivo ed il Sottosegretario ai lavori pubblici Mario Tassone. Quanto l’intervento di Ledda fosse stato determinante per salvare il monastero e con esso la presenza della comunità certosina a Serra San Bruno, lo testimoniò lo stesso padre Anquez, il quale volle esprimergli la sua riconoscenza in una lettera nella qual scrisse: “ Caro Signore, Vi ringrazio moltissimo della fotocopia della vostra interrogazione al Consiglio regionale della Calabria e vi ringrazio pure del pensiero. (…) Vorrei aggiungere che a mia conoscenza è la prima volta che sento parlare di uomini politici che fanno un’interrogazione del genere e ne prendo atto: il vostro interessamento alla Certosa di Serra vi fa onore e in nome della mia Comunità vi prego di gradire la nostra gratitudine. Rimane da sperare che il vostro appello sia capito, prima che sia troppo tardi… Con distinti saluti. F.to Pietro Anquez priore”. Qualche tempo dopo, Ledda si vide recapitare una cartolina proveniente dalla Grande Chartreuse di Grenoble, ovvero dalla casa madre dell’Ordine certosino, era l’ennesimo ringraziamento che padre Anquez rivolgeva a quel comunista che aveva salvato la Certosa.

  • Published in Cultura
Subscribe to this RSS feed