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Povertà a Vibo Valentia, Lo Schiavo: "L’appello di don Vattiata non rimanga inascoltato"

«La politica non perda il senso dell’umanità e della solidarietà ed assolva alla sua funzione più nobile: quella di essere al servizio della comunità, specie della parte più bisognosa di essa. Leggere le parole di don Tonino Vattiata, che a Vibo Valentia chiede da tempo una struttura per realizzare un dormitorio pubblico con annessa mensa di sopravvivenza, e apprendere che i suoi appelli sono rimasti inascoltati, non fa che lasciare un grande senso di amarezza».

Lo sostiene, in un comunicato stampa, il consigliere regionale Antonio Lo Schiavo (gruppo de Magistris presidente) commentando l’appello di don Tonino Vattiata, sacerdote vibonese in prima linea nella lotta alla povertà che, dalle pagine di un giornale locale, ha spiegato come la sua richiesta indirizzata al Comune - volta ad ottenere un immobile o un bene confiscato da utilizzare a fini sociali - sia rimasta inascoltata.

«Non si ignorino le istanze delle fasce più deboli della comunità - esorta Lo Schiavo -, specie in un periodo in cui l’emergenza pandemica ha accentuato il divario tra le classi sociali ed ha determinato una crescente marginalizzazione delle categorie più fragili, di chi non ha un’occupazione stabile, di chi non ha una rete familiare alle spalle, degli anziani soli, di chi patisce le conseguenze di disparità sociali che anche nel nostro territorio possono assumere contorni drammatici. Si ascolti dunque l’appello di don Vattiata e della sua associazione che, senza fini di lucro, persegue finalità solidaristiche e si batte per offrire quello che sarebbe un giusto e necessario supporto alle persone meno fortunate. Da tempo chiediamo, come forza progressista impegnata sui temi cittadini, l’istituzione di una mensa per i più bisognosi: ora c’è una realtà meritevole e disponibile che va messa solo nelle condizioni di poterla finalmente realizzare e gestire. L’Amministrazione comunale non venga meno a questo dovere morale e non faccia mancare il suo contributo».

 

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Gli italiani diventano più poveri, il Governo pensa a nuove tasse

Come nella migliore tradizione italica, i nodi stanno venendo al pettine. Il tappeto non riesce più a contenere la tanta polvere che la politica ha cercato di nascondere. Dopo sei anni di democrazia bloccata, governi non eletti da nessuno e misure lacrime e sangue, gli italiani sono sempre più poveri.

Mentre il rovello del Governo è come raccattare i soldi necessari ad evitare le clausole di salvaguardia, aumenta il numero dei cittadini indigenti.

Ad evidenziare il livello di povertà presente in Italia, è stata l’Istat con il dossier sul Def. Il documento, presentato alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha fotografato una realtà sconcertante.

Una realtà che si cerca di nascondere con banali espedienti linguistici. Il ricorso all’espressione “grave deprivazione materiale”, non alleggerisce affatto lo stato di miseria in cui versa quasi il 12 per cento della popolazione italiana.

Nonostante la reiterata narrazione che vuole il Paese, ciclicamente, fuori dalla crisi, negli ultimi tre lustri, è cresciuto il numero delle famiglie che vivono di stenti.

Secondo il rapporto Istat, i nuclei familiari indigenti superano i 3 milioni. Complessivamente, gli italiani sotto la soglia di povertà sono 7 milioni  209 mila.

La crisi economica ha colpito pesantemente gli over 65 che, tra il 2015 ed il 2016, hanno subito un vistoso processo d’impoverimento. In poco meno di un anno, gli anziani indigenti sono passati dall’8,4  all’11, 1 per cento. Un dato sul quale pesa anche l’assenza di opportunità occupazionali. Sono sempre più numerosi, infatti, i genitori costretti a dividere la magra pensione con i figli senza lavoro.

La situazione peggiore, ovviamene, riguarda il Mezzogiorno dove la povertà è tre volte superiore a quella registrata nell’Italia Settentrionale.

I dati dimostrano come (per continuare la lettura clicca qui)

     

]Articolo pubblicato su: mirkotassone.it

Populismo: per fermarlo una legge elettorale non basta

Bisogna fermare il populismo. E’ questa la parola d’ordine dell’establishment europeo. Il dibattito sul come è piuttosto variegato.

Tuttavia, in Italia la soluzione sembra essere a portata di mano. Per arrestare il male assoluto del populismo si sta pensando ad una legge elettorale.

Le soluzioni auspicate sembrano essere due, il ritorno al “Mattarellum” o un salto all’indietro di un quarto di secolo per riportare in auge il proporzionale.

Eppure una soluzione più efficace ci sarebbe. Banalmente basterebbe occuparsi degli italiani, dei loro problemi e delle loro angustie. Basterebbe  agire con vigore sulle cause che spingono sempre più gli elettori a rifugiarsi nelle tiepide braccia dell’antipolitica. Braccia accoglienti ma incapaci, il più delle volte,  di costruire una soluzione accettabile ai tanti mali che affliggono il paese.

Un dato dovrebbe far riflettere. Se i cittadini sono disposti a compiere un salto nel vuoto, vuol dire che avvertono una minaccia più pericolosa.

I custodi dell’ortodossia hanno liquidato il fenomeno definendolo “invidia sociale”. Una  formula priva di significato, pronunciata da chi vive ad una distanza siderale dal pianeta popolato dalla gente comune.

Se gli italiani sono stanchi, avviliti e disillusi, la ragione non è dovuta alla “invidia”, piuttosto alle oggettive difficoltà. A partire dall’inarrestabile processo d’impoverimento fotografato da decine di studi e report.

Un processo che ovviamente non coinvolge tutti. Mentre alcune fasce della popolazione s’impoveriscono, altre continuano, invece, ad arricchirsi. Basti pensare che, le dieci persone più ricche, hanno una disponibilità economica all’incirca equivalente a quella dei tre milioni d’italiani più poveri. In altre parole, anche negli anni segnati dalla crisi economica, è continuato a crescere il divario tra ricchi e poveri. Un dato confortato dall’Ocse, secondo cui la disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei paesi avanzati.

A descrivere, inoltre, il processo d’impoverimento che ha investito le famiglie italiane ci sono i risultati pubblicati dalla fondazione Hume, nel dossier:  “Disuguaglianza economica in Italia e nel resto del Mondo“. Dal rapporto emerge che, fino all’anno 2000, il numero di chi  usava i risparmi o contraeva debiti non andava oltre il 10 per cento. A partire dal 2002, ovvero da quando è stato introdotto l’Euro, la percentuale di chi si è indebitato o è stato costretto ad usare i risparmi è aumentata progressivamente arrivando a toccare, nel 2013, il 33,5 per cento.

Contestualmente, dal 2000 al 2015, la povertà assoluta è passata dal 4,3 al 6,1 per cento. in altri termini, in poco meno di 15 anni oltre un milione e mezzo d’italiani è andato ad infoltire la schiera degli indigenti. A ciò si aggiunga che, secondo la Banca d’Italia, nel periodo compreso tra il 1987 ed il 2015, le famiglie operaie hanno registrato una caduta del livello di ricchezza media di ben 20 punti.

Una situazione analoga a quella delle famiglie giovani che, dal 2000, hanno visto progressivamente peggiorare la loro  condizione economica. Ad un quadro a tinte fosche bisogna, infine, aggiungere l’aberrante livello della disoccupazione giovanile che sfiora il 40 per cento. In un contesto del genere, il populismo può essere arginato solo trovando una soluzione ai problemi. 

Per farlo, però, è necessario attivare tutti i neuroni, ammesso che ce ne siano.

articolo pubblicato su: mirkotassone.it

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Vibo, Lo Schiavo: "il Comune istituisca una mensa per i bisognosi"

"Di fronte al preoccupante incremento del numero di famiglie che versano in condizioni d’indigenza nella nostra città, ritengo che la politica cittadina e l’amministrazione comunale di Vibo Valentia non possano non fare la propria parte. Così come non può essere più ignorata la situazione di esposizione alla povertà dei molti vibonesi che si trovano a fare i conti con la crisi occupazionale che li ha visti perdere il proprio lavoro".

E' quanto dichiara attraverso un comunicato stampa il consigliere comunale Antonio Lo Schiavo

"Per tali motivi - prosegue Lo Schiavo - ritengo quanto mai opportuno riportare all’attenzione del consiglio comunale la proposta già avanzata dal consigliere Loredana Pilegi e finalizzata all’istituzione da parte del Comune di una mensa destinata ai bisognosi che offra, anche attraverso la compartecipazione delle associazioni di volontariato, un servizio di primaria necessità a beneficio di quanti si trovano in difficoltà".

"A tal fine - continua la nota - nei prossimi giorni presenteremo un ordine del giorno da sottoporre all’assemblea cittadina e rivolto ad impegnare, come atto di indirizzo politico, gli organi preposti ad avviare le necessarie procedure per l’istituzione della mensa, iniziando dall’individuare idonei locali di proprietà comunale da destinare allo scopo".

"Sono certo - conclude il consigliere comunale - che sul punto si registrerà ampia convergenza da parte dei consiglieri di tutto l’emiciclo ed anzi, rivolgendomi a quanti ritengono necessario dare un segnale concreto nel contrasto alla povertà, li invito a sottoscrivere, già in fase di presentazione, tale ordine del giorno che potrà così approdare in Consiglio sulla scorta di un’ampia condivisione tra le forze politiche"

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"Basta un Sì", "Io voto No": intanto il 37% dei giovani rischia la povertà

Toni apocalittici, da imminente "fine del mondo": "Basta un sì", "Io voto no" e nel frattempo, mentre gli ultrà rivaleggiano sull'esito del referendum costituzionale in programma il 4 dicembre, una catastrofe, che una classe politica responsabile ed una opinione pubblica meno distratta dovrebbe considerare ben più preoccupante, sta già dispiegando, da anni, i suoi effetti distruttivi. Sono sempre di più, infatti, i giovani tra i 15 ed i 24 anni che rischiano di oltrepassare la linea rossa dell'immaginario confine dopo il quale si affaccia il baratro della povertà. A drammatizzare ulteriormente i dati, inoppugnabili, la constatazione che si tratta di numeri in controtendenza rispetto agli altri Paesi sviluppati del Vecchio Continente. Se, dunque, fino al culmine della crisi economica deflagrata in seguito all'esplosione della bolla dei mutui subprime, ci si poteva nascondere dietro il paravento realizzato con il tessuto evergreen "mal comune mezzo gaudio", adesso non è più così. L'Italia, a dispetto dei proclami renziani e della vuota inconsistenza esibita, con somma mediocrità, dalle derelitte opposizioni, arranca, fatica e non riesce a risollevarsi. A scontare le conseguenze peggiori di questa deriva è, come anticipato, la fascia d'età compresa fra i 15 ed i 24 anni: quasi il 37% è lì, sul bordo del precipizio. A certificarlo è il Rapporto che l'Eurostat ha reso pubblico in coincidenza della "Giornata Mondiale contro la povertà". L'istantanea consegnata dal dossier testimonia che le difficoltà in cui si agita il Belpaese sono molto vicine a quelle patite in Bulgaria, Grecia e Romania, ben distanti dalle nazioni trainanti in Europa: Germania, Regno Unito, Francia. Ancora più alte, neanche a dirlo, le fiamme dell'inferno in cui si dimena la fascia giovanile che sopravvive nelle regioni meridionali. Estremamente eloquente, a questo proposito, il contenuto del Rapporto 2016 sulla povertà diffuso dalla Caritas. Ai Centri di Ascolto presneti nelle città del Sud, infatti, in termini percentuali, si rivolge un numero maggiore di italiani rispetto a quello dei cittadini di provenienza straniera. Ormai i due terzi dei soggetti bisognosi, 66,6%, sono nati ed hanno profonde radici in questo "maledetto" Paese. Le cifre snocciolate nel documento confermano che ad essere rimanere invischiati nella trappola della crisi e della stagnazione non è la popolazione anziana, ma quella giovanile. Trovare un impiego è una chimera, l'accesso al mercato del lavoro è chiuso a doppia mandata ed i ragazzi faticano arrancando: tra i 18 ed i 34 anni la quota di coloro che versano in uno stato di indigenza è pari al 10,2%, una percentuale che decresce  progressivamente fino a crollare al 4% nella fascia che interessa gli anziani al di sopra dei 65 anni d'età. Portafogli vuoti, assenza di un'occupazione, impossibilità di mantenere un tetto sopra la propria testa, famiglie a pezzi: drammi che, per qualcuno, si assommano dipingendo un quadro che inchioda alle proprie responsabilità la classe dirigente e l'intera opinione pubblica. Un tessuto sociale talmente rammendato da non poter più garantire quel senso di protezione che faceva di una società una comunità in marcia, compatta e con l'obiettivo di non lasciare indietro nessuno. Politici miopi e scriteriati a cui la Caritas, indirettamente, si rivolge, auspicando la stesura di un Piano di contrasto alla povertà, che duri nel tempo e sia accompagnato da misure concretamente inclusive, come il reddito di cittadinanza. Non basterebbe, certo, e, infatti, provvedimenti del genere dovrebbero essere affiancati da altri in grado di ampliare in modo considerevole il bacino degli occupati. E' di questo che dovrebbe occuparsi la Politica: mettere un freno alle tragedie esistenziali, perdere il sonno pur di ribaltare il tavolo ed individuare le soluzioni capaci di alleviare la sofferenza. Ed è di questo che dovremmo occuparci noi, tutti, gettando nel pozzo i pentoloni traboccanti amenità, falsi problemi e "armi di distrazione di massa". Perché sì, magari sul nostro stesso pianerottolo, dietro quella porta, qualcuno oggi farà fatica a mettere assieme il pranzo con la cena, ma ciò che conta è armarsi a dovere per combattere la "Madre di tutte le battaglie", quella referendaria. Anime strabiche nella migliore delle ipotesi, irrimediabilmente cieche in quella peggiore. "Basta un sì" è lo slogan urlato dai soldatini del presidente del Consiglio, ma molto meglio sarebbe se esso fosse pronunciato davanti agli occhi della nostra coscienza, individuale e sociale, e non per prendere posizione su un quesito di cui quasi nessuno, pur ergendosi ad insigne costituzionalista da social network, ha compreso anche solo gli ingredienti più elementari. No, a prescindere dalla vittoria dell'una o dell'altra opzione, nulla cambierà, il giorno dopo che gli italiani si recheranno alle urne. Il corso degli eventi proseguirà senza scossoni degni di nota. La distinzione, anche la mattina del 5 dicembre, sarà tra chi potrà sorridere alla giornata, confortato da una solidità economica rassicurante e chi proverà a sottrarsi ai tentacoli velenosi della miseria.  

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Povertà. "Tante famiglie calabresi al limite della sopportazione"

"Si dia una mano alle famiglie italiane, specie a quelle che non ce la fanno più a sbarcare il lunario e i due terzi delle quali sono nel Mezzogiorno. Lo si faccia sulla base delle prescrizioni della Costituzione che impone allo Stato di agevolarle con misure economiche ed altre provvidenze affinché possano adempiere ai loro compiti fondamentali". Lo afferma la consigliera regionale di Calabria in Rete Flora Sculco, secondo cui "in tante realtà del Sud e della Calabria siamo ormai al limite della sopportazione, perché gran parte dei disagi prodotti dalla crisi e dai tagli al welfare si scaricano sulle famiglie. Pur sapendo che sul tema c'è la sensibilità del Governo, è tuttavia auspicabile che lo stesso agisca presto, preferibilmente col varo di un pacchetto fiscale organico che miri a facilitare i compiti delle famiglie italiane ed in particolare di quelle del Mezzogiorno sempre più sovraccaricate di oneri. L’attenzione del Governo si muove nella direzione giusta, sia per quanto concerne il 'bonus bebè' e la previsione di detrazioni a partire dal secondo figlio che per l’allargamento della ‘no tax area’ in ragione del numero dei figli. Con famiglie meno tartassate dal fisco e più sostenute nello svolgimento dei loro compiti - sottolinea Flora Sculco - non solo si fronteggiano meglio una serie di altre questioni che vanno dalla denatalità, problema non più ciclico ma strutturale, alla formazione dei minori, ma si concorre altresì ad aiutare il Paese a mettersi al passo con il trend di crescita degli altri partner europei". Conclude la consigliera regionale: “Nel Mezzogiorno la povertà assoluta in rapporto alla popolazione, aumentata dal 2008 al 2014 dal 5,2% al 10,6%, è in continua crescita con numerose famiglie al limite della povertà assoluta.  E’ urgente che si addivenga, oltre a rendere operativi i provvedimenti specifici per il rilancio del Sud, a un ‘grande patto per favorire la famiglia’ anche in funzione del contrasto alla povertà e all’emarginazione sociale, come propone il ministro Enrico Costa. Un ‘patto’ che interessi non solo lo Stato, ma anche le Regioni e che includa ogni possibilità di risorsa disponibile per rendere efficaci i provvedimenti volti a irrobustire le funzioni della famiglia".  

“Mancanza di lavoro e povertà sono spie di un’emergenza allarmante”

“Dinanzi al malessere sociale diffuso, la proposta di approvare misure di sostegno al reddito e di elaborare un piano per l’occupazione, su cui si sono soffermati i colleghi Guccione e Tallini, mi vede perfettamente d’accordo. D’altronde - afferma la consigliera regionale di Calabria in Rete Flora Sculco -  in Consiglio c’è, ferma da un anno, la proposta del collega Nucera sul reddito minimo che è aperta ad ogni contributo migliorativo. Si parta da quell’iniziativa legislativa. Dinanzi agli indicatori socio-economici che mettono la Calabria in fondo ad ogni classifica e a fronte di una crisi che non arretra, si ha il dovere di dare una mano a famiglie intere ormai al limite dell’inedia. La via maestra è il rilancio dello sviluppo per generare nuova ricchezza e nuova occupazione, ma mentre attendiamo che l’utilizzo dei fondi comunitari produca risultati, che il rilancio dell’agricoltura col Psr superi la fase della convegnistica e che lo straordinario patrimonio di beni storici, culturali e ambientali della Calabria sia messo a profitto, non si possono chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà di chi perde il lavoro o un lavoro non l’ha mai avuto”. Ancora Sculco: “Dopo la seduta del Consiglio sulla sanità si pensi ad una seduta specifica sul lavoro con la partecipazione delle forze sociali e di tutti i soggetti che hanno ruolo, incluse le università e il terzo settore. L’assenza di occasioni di lavoro - conclude la consigliera regionale -  per i nostri giovani e l’aumento della povertà sono le spie di un’emergenza allarmante che rischia d’incidere sulla qualità della democrazia”.

Senza progresso la Calabria del nulla

 Il Sud è abituato da sempre al meglio che niente, perciò anche l’annunzio di uno 0,1% di progresso ci pare un superenalotto. Il Sud pare addirittura vada un tantino meno peggio del Nord: formalocchiu! Il Sud, cioè Molise Puglia Campania Basilicata Sicilia: la Calabria, detta anche la Magna Grecia, spicca come sempre nella sua storia: non progredisce nemmeno lo 0,000001. Come mai? Beh, non è difficile capirlo. Per progredire, anzi per campare, ci vogliono, per esempio, agricoltura pastorizia industria artigianato navigazione trasporti servizi turismo… Bisogna lavorare e produrre, consumare i prodotti, scambiarli e venderli ad altri; insomma, fare quelle cose che si chiamano l’economia. Ebbene, o eredi di Pitagora, in Calabria non c’è nulla di tutto questo. Lo strombazzato turismo è un breve caos di due settimane balneari, assenti assoluti altri modi di turismo: religioso, culturale eccetera.  Industria, artigianato? Agricoltura? Guardatevi intorno e ditemi cosa c’è. C’era una volta l’assistenzialismo indiretto: ospedali scuole uffici poste… Non ci sono più, e comunque non si assume da vent’anni. L’assistenzialismo diretto? Restano giusto le pensioni. La Calabria riceve ogni anno un mare di soldi e non li sa spendere; più esattamente, non li sa manco rubare: troppo faticoso. Opinione pubblica, partiti politici, ecclesiastici, giornalisti eccetera, che ne dicono? Non dicono nulla, perché la mamma li avvertì fin da fanciulli: “La parola migliore è quella che non esce di bocca”. E la cultura ufficiale? S’ingrassa con libri e film antimafia segue cena. A cena, bene inteso, niente carne rossa o soppressata: i nostri calabri intellettuali sono infatti sempre politicamente corretti, e credono non solo allo Stato e alla Magistratura, ma anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Magari, una fettina di salame a casa… Ci vorrebbe un commissario giapponese armato di katana e con pieni poteri.

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