Calabria: le promesse della politica e l'impotenza della cultura

Ve lo ricordate l'apodittico proclama enunciato più volte a partire dal 12 luglio 2016 dal ridicolo Renzi, il Matteo, secondo cui l'Autostrada Salerno- Reggio Calabria "sarà finita e da me inaugurata il 22 dicembre [2016] ".

Azzoppato dal Referendum del 4 dicembre, le Muse dicono che non ha lasciato - come aveva detto - la scena politica, perché quella promessa vuole realizzarla, non sappiamo se poco prima o dopo la fine del mondo, Tar e Consiglio di Stato, permettendo, per dirla così, ironicamente, anche per evitare "franceschinicamente" una figuraccia dinanzi a tutto il vecchio e il nuovo mondo.

Anche lui, infatti, è pienamente convinto che "c'è una parte degli italiani, sopratutto politici, che pensa che se tutto va male è quasi meglio, perché ci si può lamentare. E c'è invece chi si sveglia presto la mattina e spera che le cose vadano meglio e sopratutto lavora perché le cose vadano meglio".

Ma se chi governa e non sa governare (forse anche per non aver ben dormito di notte) cosa succeda non è difficile prevederlo, nonostante i tranquilli proclami, se poi per sanare concorsi non effettuati secondo le regole vigenti (vedi i deposti direttori di musei).

Ora dalla Cittadella Regionale risuona il rilancio di un "Polo bibliotecario". A cosa serva candidamente lo afferma (non senza qualche frecciatina) il Vice Presidente della Giunta Regionale, quando risponde: " Dipende da chi lo fa e da come si fa".

Va bene, anzi benissimo!

Credo, a tale riguardo, che non vi siano dubbi, anche per averlo direttamente sperimentato.

Ma chi lo fa? Problema difficile. Penso a quell'assessore regionale al turismo che invitato ad un Convegno internazionale, ignorando l'esistenza di Oviedo, capoluogo del Principato delle Asturie, si recò inutilmente ad Orvieto, addossando la colpa ai suoi funzionari; e sopratutto il difetto di un Codice diplomatico Calabrese, che avviato con contributi del Cner trovò attenzione anche nei fondi regionali, poi cassati improvvisamente per difetto forse di appartenenza politica, per non dire di cultura. Un enorme bagaglio che l'attuale Presidente si è oggi "eroicamente " riservato, forse per non aver trovato un adeguato Assessore, come la Rai 3 regionale un direttore?. 

Verrebbe da chiedersi: non si stava meglio nella Magna Graecia o ai tempi di Cassiodoro, Gioacchino da Fíore, Tommaso Campanella o Bernardino Telesio ?

Un amico mi ha sussurrato: " Aspetta il 22 dicembre. Matteo o Gherardo, torneranno in Autostrada", perché - lo hanno giurato - il meglio deve ancora arrivare! Speriamo se non in auto, con un treno che non sia freccia rossa, o una nave senza un valente nocchiero.

 

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Antonino Castorina (Capogruppo PD - Reggio Calabria): Primarie portano risultato straordinario, la sfida è non disperdere questo patrimonio

"Le primarie per l’elezione del segretario nazionale e la straordinaria partecipazione registrata a Reggio Calabria sono un primo enorme segnale tanto di partecipazione quanto di voglia da parte del nostro popolo di essere parte attiva delle scelte, così apre la sua riflessione Antonino Castorina Capogruppo del Pd a Palazzo San Giorgio e consigliere Metropolitano delegato al Bilancio ed ai Fondi Comunitari.

"Con questo congresso - afferma il giovane esponente del Dem- -, il Partito Democratico a Reggio Calabria ha ricominciato a discutere, a ragionare, i circoli territoriali sono rinati ed hanno rivissuto un protagonismo fatto di persone, di umanità di democrazia.

Un ringraziamento da fare a chi ha creduto in queste primarie, a chi ha messo la faccia ed a chi dietro le quinte ha organizzato i seggi elettorali, a chi ha passato una domenica per un idea da portare avanti, per un valore da difendere che è quello del riscatto e della rinascita della nostra comunità. Molti di questi - prosegue Castorina -  erano storici dirigenti del nostro Partito Democratico rimasti tutto il tempo al seggio per consentire il regolare svolgimento di questo appuntamento elettorale, alcuni di questi Giovani Democratici, tutti insieme per fare funzionare la macchina organizzativa del nostro Pd nel migliore dei modi, questo è il senso di una comunità che deve unire ed aggregare, questo è lo spirito giusto.

Ora però va avviata la fase di ricostruzione nei territori, - afferma Castorina - dobbiamo ragionare di Calabria per capire come porre all’attenzione nazionale il tema centrale del porto di Gioia Tauro, nel cuore geografico del Mediterraneo ma non ancora in quello politico del Pd e così il tema dell’accessibilità alla nostra regione come anche gli interventi per le politiche per l’immigrazione e per la sicurezza del nostro territorio; dobbiamo porre all’attenzione nazionale come si può intervenire per lo sviluppo della nostra area Metropolitana e come può e deve essere rappresentata la Calabria negli assetti nazionali del Pd: da Reggio Calabria emerge in modo palese l’esigenza di avviare un fase nuova e di ricostruzione.

Abbiamo messo cuore e passione per queste elezioni primarie, metteremo la stessa enfasi per avviare da subito la fase costituente di questo nuovo Pd, oggi più che mai l’unica certezza nel panorama politico nazionale conclude Castorina."

Chiaravalle Centrale. Al congresso cittadino del PD vince Renzi

Si è svolto ieri il congresso cittadino del circolo PD di Chiaravalle Centrale. In continuità con la storia recente del circolo e con i risultati dei congressi precedenti, il PD chiaravallese continua a sostenere Renzi. I rappresentanti del circolo cittadino, per bocca della segretaria Neri,  tengono a sottolineare il fatto che il “risultato uscito fuori dal congresso  è conseguente ad una linea che vede nell’ex segretario ed ex presidente del consiglio l’unico capace di condurre il partito alle prossime elezioni governative. Il Pd di Chiaravalle, rivendica la propria autonomia nella scelta che lo vede allineato al progetto nazionale di Renzi per cambiare l’Italia a tutti i livelli”. Sono stati nominati anche i delegati spettanti al circolo che saranno chiamati al congresso provinciale del 5 Aprile , Emanuela Neri, Giuseppe Maida e Gregorio Corrado. In quella occasione il Pd chiaravallese avrà modo di portare le istanze del circolo cittadino ai livelli intermedi. Grande soddisfazione da parte del segretario Emanuela Neri che sottolinea come “si è scelto di continuare per la strada del rinnovamento voluto da Renzi.  Un rinnovamento nei modi e nelle idee. Negli ultimi mesi è mancato completamente il confronto politico, i circoli soffrono questa situazione. Questo, pertanto, è un momento importante per ridare al ruolo di un grande partito come il Pd la giusta dimensione. Come dirigenti responsabili”, continua la Neri, “cercheremo di dare un contributo affinchè  si ritorni alla sana dialettica interna che non può che arricchire un partito come il nostro, dove dialogo, confronto e discussione devono tornare ad essere al centro dell’attività politica”.

 

Da Chiaravalle C.le un risultato chiaro. Il dato definitivo infatti  vede stravincere la mozione Renzi con il 99% dei voti utili. Orlando ed Emiliano non superano l’1% delle preferenze.  

Wanda Ferro: Responsabilità della giunta regionale per le gravi criticità delle province

Di seguito una dichiarazione del Consigliere regionale Wanda Ferro (Gruppo Misto).

Il governo nazionale e quello regionale stanno dimostrando assoluta incapacità di gestione dei problemi e totale indifferenza ai bisogni della gente e degli Enti locali, che soltanto oggi si rendono conto che la riforma Delrio va riscritta.

La situazione di caos in cui sono lasciate le Province, con gravi ripercussioni sui servizi e sulla stessa immagine della Pubblica amministrazione, non è una piaga d’Egitto abbattutasi sui cittadini, ma è il frutto delle politiche irresponsabili del governo Renzi e di un Partito Democratico che ad ogni livello ha dato per acquisita la conclusione del percorso di riforma costituzionale - e con esso l’abrogazione delle province - prima di attendere l’esito del referendum. Eppure la batosta referendaria avrebbe dovuto richiamare ad un maggiore senso di responsabilità la Regione Calabria, governata da un ex presidente di Provincia che è invece riuscito nell’impresa di aggravare una situazione già al collasso, tanto da rischiare per le proprie inadempienze addirittura il commissariamento da parte del Governo nazionale sulla questione del riordino delle funzioni.

Solo oggi i presidenti di Provincia del Pd sembrano accorgersi dei disastri provocati dalla riforma Delrio, ma continuano insieme al governatore Oliverio a stendere tappeti rossi all’ex presidente Renzi che viene in Calabria per la campagna congressuale. Eppure non possono essere più nascoste le  gravi responsabilità del governo regionale sulle sorti delle Province calabresi. Essendo stata presidente dell’Upi Calabria mentre alla guida della Giunta regionale c’erano Loiero prima e Scopelliti dopo, ricordo bene le battaglie condivise con Oliverio, allora presidente della Provincia di Cosenza, che insieme agli altri presidenti chiedeva con forza che ai trasferimenti delle competenze dalla Regione alle Province corrispondessero quelli delle risorse finanziarie e del personale. Ora che Oliverio è diventato governatore sembra aver dimenticato ciò che sosteneva pochi anni fa, senza far nulla per quelle province che oggi si trovano in stato confusionale anche per via delle carenze, ormai strutturali, del governo regionale che ha prodotto una legge monca, che non traccia una riforma risolutiva della materia, ma introduce solo alcune limitate disposizioni rinviando, per il resto, ad una successivo provvedimento legislativo mai approvato né sottoposto all’esame del Consiglio.

Da oltre due anni le Province sono costrette ad anticipare costi di gestione e di personale che sono in capo alla Regione, con il rischio di finire in dissesto e con gravi ripercussioni sulla qualità dei servizi offerti: basti pensare alla situazione di collasso in cui sono lasciati i Centri per l’impiego, che devono garantire servizi a migliaia di disoccupati calabresi e il cui personale è lasciato nella totale incertezza oltre che nell’assoluta indisponibilità di mezzi e strumenti per operare. Ricordo che nel settembre del 2015 sono state istituite, presso ciascun dipartimento interessato dalla riassunzione delle funzioni ed ai processi di mobilità del personale dalle Province, le  Unità Organizzative Temporanee “UOT - funzioni territoriali”, con lo scopo di assicurare l’integrazione, nell’ambito del sistema organizzativo, gestionale e regolamentare della Regione Calabria, delle funzioni e del personale proveniente dalle province, in attesa di definire la generale riorganizzazione delle strutture della Giunta Regionale e di adottare una legge organica di riordino complessivo delle funzioni.

Fin dall’inizio, il fallimento dei negoziati  con le Amministrazioni provinciali, alcune delle quali con enormi deficit finanziari come Vibo Valentia e Crotone, e la tensione nei rapporti tra le  istituzioni coinvolte non hanno consentito la stipula dei protocolli d’intesa previsti dalla Legge regionale 14/2015, che avrebbero   dovuto disciplinare, tra l’altro, il trasferimento delle attrezzature, dei beni, dei crediti e dei debiti, e garantire continuità nell’esercizio delle funzioni. Tutto ciò ha determinato gravissime  disfunzioni degli uffici territoriali delle UOT, che, a fronte dell’enorme numero di personale assegnato, si sono ritrovati in sedi non idonee e completamente privi di mezzi. Alcuni uffici risultano ancora sprovvisti di qualsiasi tipo di attrezzatura informatica,  senza servizio di pulizia e manutenzione dei locali, senza collegamenti ai sistemi informatici per il protocollo e per la rilevazione delle presenze. Una situazione grave protrattasi per un anno e mezzo nel silenzio assordante di tutte le strutture regionali preposte, con responsabilità enormi.

Non si è ritenuto di nominare dei commissari ad acta, né di evitare il trasferimento del personale delle UOT presso altri settori o strutture. Infatti parte del personale è stato  trasferito presso  altri settori, e si sono succeduti una serie di trasferimenti di personale delle UOT  presso le cosi dette” strutture” di assistenza tecnica. Ciò, oltre ad essere in conflitto con i criteri della delibera istitutiva delle UOT, ha svuotato le unità  di figure professionali provviste delle competenze e dell’esperienza necessaria per  continuare a svolgere le funzioni riassunte dalla Regione. Le UOT inoltre non ricevono le risorse, già drasticamente ridotte, che la Regione Calabria trasferiva alle Amministrazioni Provinciali con la Legge 34/2002, e di fatto si vedono preclusa qualsiasi  operatività su molte linee di attività, con ovvie ricadute negative sul  territorio già fortemente penalizzato dai continui tagli ai Comuni ed alle Province. Insomma la Regione ha svilito il ruolo delle UOT e la dignità professionale del personale, e ha generato oltre all’inefficienza degli uffici territoriali provinciali uno stato di confusione che ha ripercussioni fortemente negative su un’utenza già disorientata per via del passaggio delle funzioni.

Certo non meraviglia l’iniziativa dell’Upi di presentare esposti cautelativi in Procura e alla Corte dei conti per difendere le prerogative delle Province. Oliverio dica cosa intende fare per superare le gravi criticità che riguardano gli uffici periferici delle UOT, soprattutto a Vibo e Crotone, se intende chiudere le UOT, e quali sono i tempi stimati di attuazione dell’iter che dovrebbe portare alla definizione dell’intera vicenda, tenuto conto dell’anomalia di una struttura temporanea che però da due anni è nell’organigramma della Regione Calabria, con funzioni definanziate e uffici lasciati nell’impossibilità di operare. 

Referendum: i sostenitori del "Sì" mi hanno convinto a votare "No"

Il protagonismo, spinto fino al parossismo, con cui il Governo sta facendo campagna elettorale per il “Sì” al referendum, la dice lunga sulla piega che, già da un pezzo, ha preso il Paese.

Per sua natura la riforma costituzionale dovrebbe nascere dal più ampio accordo possibile tra le forze politiche presenti in Parlamento.

Già di per sé è, quindi, un’anomalia che sia l’esecutivo a vararla ma, ancor più, anomalo è che il Governo eserciti tutto il potere di cui dispone per cercare di convincere i cittadini a votarla. Se poi il Governo che la propone e la propaganda non è mai stato votato da nessuno, l’intera vicenda assume contorni ancor più singolari.

Paradossale è, inoltre, la narrativa renziana, fatta di lezioncine imparate a memoria, di banali trovate  pubblicitarie e di piccole furberie da imbonitore di mercato rionale.

Il tutto per cercare di far passare una riforma raffazzonata, demagogica, ingannevole che, qualora venisse approvata, terrebbe l’Italia legata, per altri cinquant’anni, ai suoi peggiori vizi.

 La vittoria del “Sì” consegnerebbe, infatti, la sovranità popolare nelle mani dei partiti, o meglio di un partito. Dietro allo schermo del taglio ai costi della politica e della diminuzione del numero dei parlamentari, si nasconde in realtà un progetto finalizzato a contrarre gli spazi riservati alla sovranità popolare. Una cosa sarebbe stata, infatti, superare il bicameralismo perfetto eliminando il Senato, un’altra far eleggere, come accadrebbe in caso di vittoria del “Sì”, i senatori ai consiglieri regionali, ovvero ai rappresentanti politici più colpiti da scandali, ruberie e inchieste giudiziarie.

Nel caso in cui si dovessero affermare le ragioni di Renzi & Co, i senatori sarebbero, quindi, nominati dai Consigli regionali, con il risultato di dare più potere a partiti politici, ormai, delegittimati dal loro stesso agire. Un potere ulteriormente accentuato dal premio di maggioranza, previsto dall’Italicum, che consegna il 55% del Parlamento al partito che rappresenta il 40% degli elettori, con il risultato che, in presenza di alte percentuali d’astensione, il potere legislativo e di conseguenza quello esecutivo diverrebbero appannaggio, quasi esclusivo, di un’esigua minoranza.

Come se non bastasse, per limitare ulteriormente la partecipazione dei cittadini, la riforma prevede un sostanzioso aumento (da 500 mila 800 mila) del numero di firme necessarie per poter proporre un referendum abrogativo.

Certo, si potrebbe obiettare che viene inserito in Costituzione, l'obbligo di far discutere le leggi di iniziativa popolare dalla Camera, ma si tratta  del classico specchietto per le allodole. In ragione del ferreo controllo esercitato dall'assemblea, qualunque iniziativa del genere potrà essere respinta senza alcuna fatica.

 Nella direzione che rafforza il partito di maggioranza relativa va, anche, il riordino delle competenze regionali, che sarebbe giusto e opportuno, se non fosse, finalizzato a limitare ulteriormente ogni ostacolo potenziale all'onnipotenza dell'esecutivo.

Chiamare tutto questo "deriva autoritaria" può essere eccessivo, tuttavia non v’è dubbio che la riforma, così com’è stata architettata, dà un incondizionato "mani libere " al governo, il che potrebbero non essere un male, se non fosse che l’attuale esecutivo, oltre a non essere stato eletto da nessuno, è composto, per la gran parte, da figuri che nella migliore delle ipotesi avrebbero sfigurato anche come consiglieri circoscrizionali.

Non si può, inoltre, cedere al ricatto della “ingovernabilità”, poiché, per citare Sartori, "una dose di instabilità è preferibile alla stabilità di un cattivo, o pessimo, governo".

Del resto, che le ragioni del “Sì” siano a dir poco fragili, lo testimonia il clima da paura che si sta cercando di diffondere nel Paese. A sentire i sostenitori della riforma, Renzi in primis, sembrerebbe che, a conclusione dello spoglio, in caso di vittoria del “No” dovrebbe abbattersi sull’Italia il furore dei cavalieri dell’Apocalisse.

Lo stereotipo del terrore, con cui si cerca di sbarrare la strada alla democrazia e ad orientare le scelte nella direzione voluta dai padroni del vapore, già di per sé dovrebbe mettere in guardia gli elettori. Tanto più che, nel caso dovesse passare il “No”, non ci sarà nessun salto nel buio, come dimostrano le recenti vicende in cui l’evocata catastrofe (vedi Brexit o Vittoria di Trump) non si è mai concretizzata. A ciò si aggiunga che, se l’Italia riesce a sopportare Renzi ed i suoi ancillari alleati (da Verdini ad Alfano), vuol dire che ha maturato anticorpi tali da poter resistere a qualunque genere di contraccolpo.

Infine, a convincere gli indecisi a votare “No” dovrebbero essere gli agit prop della grande finanza, schierati a ranghi compatti a favore del “Sì”. Se l’Unione europea, il Financial Times, Goldman Sachs e le altre banche d'affari, ovvero coloro i quali hanno trascinato l’Italia nella crisi che ha impoverito le famiglie e depredato i giovani del loro futuro, stanno con Renzi, ci sono ragioni a sufficienza per prendere posizione dall’altra parte della barricata e votare “No”.

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Lamezia, referendum: Azione identitaria critica la scelta di concedere il salone vescovile

Riceviamo e pubblichiamo:

"In vista della consultazione referendaria è del tutto normale la scesa in Calabria di vari politici nazionali, tutti impegnati a sostenere e spiegare ai cittadini le proprie ragioni, quello che ho trovato decisamente fuori luogo è l’impegno attivo della Chiesa la quale, attraverso la Diocesi di Lamezia Terme, concede il salone vescovile ad un ministro come la Boschi, la quale nella sua azione politica, insieme ad altri suoi colleghi, non ha osservato il rispetto della Dottrina sociale della Chiesa, che dovrebbe essere quella di stare dalla parte dei poveri per come il Vangelo ci insegna e verso il quale lo stesso Papa non smette mai di ricordare. Che la Chiesa partecipi dando il suo fattivo contributo alle vicende ed ai dibattiti politici la trovo assolutamente una cosa normale, quello che stride fortemente è il distacco che questa assume in certe situazioni rispetto al Magistero tradizionale ed alla sua Dottrina.

 Papa Leone XIII scriveva nella sua enciclica che la società moderna stava andando verso un costante progresso dal punto di vista materiale e pertanto sosteneva che questo non poteva essere sufficiente e non bastava, in quanto lo scopo della società doveva essere quello di aiutare l’uomo a perfezionare se stesso nella prospettiva della sua salvezza eterna.

Leone XIII scriveva parole durissime contro quell’ipercapitalismo che oggi impera, “la cupidigia dei padroni e la sfrenata concorrenza che creano povertà, colpiscono gli indifesi operai e l’usura divoratrice continua grazie ad ingordi”.

Oggi il capitalismo è rappresentato dalle varie banche, istituzioni finanziarie e poteri sovranazionali che ordinano ai nostri politici ricette da prescrivere al popolo, non per guarirlo naturalmente, bensì per allungarne sofferenza ed agonia.

Con la Rerum Novarum Leone XIII aprì la strada ad una terza via, anticapitalista ed antimarxista con la quale sancì la superiorità del lavoro sull’economia, tutti insegnamenti ignorati dai governi, specie di quelli degli ultimi vent’anni, nei quali banchieri ne hanno e ne continuano a fare parte e la stessa ministra Boschi ne rappresenta la più vivida testimonianza pratica.

Governi come quello di Renzi che tollera suicidi di gente senza lavoro ormai disperata, migliaia di aborti, matrimoni omosessuali, come può la Chiesa ospitarne un suo rappresentante senza sentirsi in dovere di chiedere allo stesso sul perché di questa condotta politica che va decisamente contro l’insegnamento di nostro Signore Gesù Cristo?

Oggi quella enciclica e quelle parole scritte da Leone XIII sono ancora più attuali e comprensibili e dovrebbero essere prese in considerazione dalle istituzioni cattoliche e da tutte quelle associazioni che ruotano attorno ad essa . Non si venga a giustificare l’ospitalità alla ministra Boschi con la solita solfa della democrazia, parola nata sette secoli prima della nascita di Cristo in Grecia e l’unica volta in cui viene usata nel Vangelo è applicata per mandare Gesù a morire in croce e liberare Barabba. Oggi la Chiesa più che mai deve porsi come punto di riferimento per i più poveri, cosi come più volte predicato dallo stesso Papa Bergoglio, per dare speranza alla classe lavoratrice, artigianale e soprattutto ai giovani che non vedono un futuro.

Spero vivamente che lo stesso Emerito Vescovo Cantafora, che ha gentilmente messo a disposizione la sala della Diocesi alla ministra Boschi, voglia chiedere conto alla stessa della condotta politica del governo, che certamente è ben lontano dal vero pensiero Cristiano e sociale che deve assurgere a guida per risolvere i drammi dei nostri giorni"

Igor Colombo - Coordinatore regionale  Azione identitaria Calabria

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La sinistra non va mai al potere, se ci va non dura

I fatti novembrini della Leopolda, con agitazioni contro Bersani eccetera, mentre gli energumeni dei centri sociali, tra le mie risate, difendono con le spranghe la costituzione, inducono a qualche simpatica riflessione.

La sinistra non va mai al potere, e se ci va, non dura. Ci va, qualche volta, sotto forma di centrosinistra, cioè di un centro più vaghe opinioni ugualitarie. C’è stata in Russia, ma come dittatura della burocrazia. Il solo esempio di sinistra sinistra andato al potere in Europa Occidentale fu il Fronte Popolare di Blum, che nel 1936 vinse le elezioni in Francia. Nel 1938 venne abbattuto… e voi pensate da una congiura di aristocratici dell’ancien régime? Da biechi fascisti? Ma no, da un’ondata di scioperi operai!

 Fin dalle origini, negli ultimi decenni del XVIII secolo, la sinistra ha mostrato due evidenti caratteristiche, la seconda conseguenza della prima: alto livello di ideologizzazione, e altissima conflittualità. Marx ha passato più tempo a dir male di Mazzini e Proudhon che dei capitalisti; e viceversa.

 I socialisti italiani si divisero subito in correnti, che, alla grossa, erano due: riformisti e massimalisti; siccome nel 1919 avevano vinto le elezioni ma non sapevano che fare, subito una bella scissione, ed ecco il Partito Comunista d’Italia. Ogni socialista che si rispetti odia i comunisti, e ogni comunista disprezza i socialisti: vi ricordate di Craxi?

 I comunisti, giunti al potere con la forza in Russia poi Unione Sovietica, non per questo trovarono pace; anzi, Trotskij, che se ne stava micio micio e inoffensivo in Messico, venne raggiunto da una picconata speditagli da Stalin in persona: prevenire è meglio che curare, pensava Baffone. Gli anarchici spagnoli non dovettero attendere di essere eliminati dai franchisti, perché ci pensò alla grande il medesimo Stalin attraverso i suoi agenti, tra cui il famigerato Vittorio Vidali, che avrà a che vedere con l’assassino del detto Trotskij, e sarà deputato del PCI. 

 Per dirla con la Traviata, “qui son più miti i cuori”; e non è più tempo di omicidi politici. Renzi chiama rottamazione le sue operazioni di eliminazione politica dei vari D’Alema, Bersani eccetera.

 Tutto questo avviene, dal XVIII secolo, nella più ottusa buona fede; e gli odi tra le sinistre non son dovuti a volgari motivi di soldi e potere, ma sempre a nobili ragioni di alti ideali e parole; parole cui l’uomo di sinistra, a furia di ripeterle, crede davvero, e per cui lotta; nel passato neanche troppo lontano, fino a uccidere e morire. Non sto facendo ironia, è davvero così. Per le infinite divisioni sulle parole, la sinistra propriamente detta non andrà mai al potere. Il massimo che può sperare, qualche compromesso storico di breve durata; e che, generalmente, provoca interessi e corruzione. Tranquilli, è successo lo stesso ai miei ex camerati quando sono divenuti Alleanza Nazionale, Dio me ne liberi, a parte che nel 1995 me ne liberai da solo.

 Oggi, meno male, a sinistra si contentano di espulsioni.

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Renzi, la storia ed i misteri d'Italia

Matteo Renzi aveva tre anni quando venne rapito e poi ucciso Moro; non è colpa sua se, crescendo, gli hanno rifilato versioni atte a reinventare la storia. Io, che di anni ne avevo invece ventotto, e godo tuttora di ottima memoria, gli racconto come andarono le cose. I fatti: poi, giudichi lui. Gruppi terroristici, in gran parte di estrema sinistra e qualcuno di estrema destra, sgavazzavano in Italia già da anni, colpendo e uccidendo; e, guarda un po’, quasi mai uomini politici, ma nel mucchio: qualche poliziotto, medici delle carceri… obiettivi, secondo loro, simbolici. Aldo Moro viene sorpreso non in un bosco sui Pirenei, bensì nel bel mezzo di Roma, in piena mattinata. In due minuti vengono uccisi cinque uomini di scorta senza che rispondano al fuoco; mentre il Moro, al centro di una tempesta di colpi, non subisce nemmeno un graffio. Un’operazione che ben difficilmente può essere attribuita a degli intellettuali un po’ matti a furia di leggere Marx; roba da intenditori. Chi fossero davvero, la risposta è uguale alla domanda vera e che nessun giudice pose mai: perché Moro e non un altro qualsiasi? Boh! Per due mesi e mezzo, l’Italia fa una figura incredibilmente barbina. Partì un diluvio di parole da parte di tutti; mentre le Brigate Rosse inviavano quantitativi industriali di “risoluzioni strategiche”, immaginate l’orgia di retorica intellettualoide. Polizia, carabinieri, finanzieri eccetera si dedicarono alla ricerca di rapitori e rapiti, senza trovare un accidenti di nulla. Prodi, giustamente non fidandosi, pensò di rivolgersi a più affidabili informatori: gli spiriti, contattati attraverso apposita seduta. Gli spiriti, ad onor del vero, furono assai precisi, ma Romano capì fischi per fiaschi anche con il bicchierino. Del resto era quello che, in seguito, avrebbe scambiato l’euro a 1936,27 lire. Mentre dunque tutti, morti compresi, annaspavano nel buio, il corpo esanime di Moro venne riportato, sempre nel centro di Roma; e i latori se ne andarono indisturbati. Tre anni dopo, il 17 dicembre 1981, le Brigate Rosse rapirono il generale americano Dozier. Entro una settimana circa, il Dozier venne liberato vivo e vegeto, e tutti i terroristi d’Italia sbattuti in galera, tranne chi pensò bene di scappare in Francia, dove i terroristi se li tengono cari: guarda un po’! Il terrorismo, in quella circostanza, finì. Boh! La sorte di Moro fu molto diversa da quella dello statunitense Dozier. Come mai? Misteri d’Italia e d’America! 

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