Crisi ucraina, gli Stati Uniti schierano 3 mila soldati in Europa orientale

Gli Stati Uniti invieranno truppe supplementari in Polonia, Germania e Romania in risposta alle crescenti tensioni con la Russia sull'Ucraina.

Lo riferiscono fonti dell'amministrazione americana.

In particolare, nel corso di questa settimana, gli Usa manderanno duemila soldati da Fort Bragg, North Carolina, in Polonia e in Germania e una parte di uno squadrone Stryker di circa mille militari basato in Germania in Romania.

I “Vascelli dei venti”, le mongolfiere giapponesi all’attacco dell’America

Il 5 maggio 1945 è una normale domenica. Il reverendo Archin Mitchel, sua moglie Elsie Winters e cinque ragazzi tra gli 11 e i 13 anni che frequentano la parrocchia, ne approfittano per fare un pic-nic nella foresta di Gearhat Montain, non lontano da Bly, in Oregon. Giunti a destinazione, mentre il reverendo si attarda a parcheggiare l’autobus, i ragazzi e la loro accompagnatrice s’incamminano su un sentiero. Lungo il tragitto s’imbattono in uno strano oggetto e decidono di raccoglierlo. Segue una terrificante esplosione che squarcia il silenzio in cui è ancora immerso il bosco. Il reverendo Mitchel si precipita, la scena che gli si para innanzi è agghiacciante. Al suolo, straziati dalla deflagrazione, giacciono i cadaveri della moglie ventiseienne e dei cinque ragazzi. Nonostante lo shock, riesce a chiedere aiuto. Insieme allo sceriffo, arrivano militari, polizia federale e servizi segreti.

A provocare la strage non è stato un oggetto qualsiasi, ma una bomba giapponese. Senza portaerei in grado di attraversare il Pacifico e con il progetto del primo bombardiere a largo raggio ancora sulla carta, i nipponici, in teoria, non avrebbero le capacità logistiche per colpire il suolo americano. Quello che a molti sembra un enigma, tale non è, almeno per i militari che, da qualche mese, sono in allarme per alcune esplosioni legate a ciò che nel primo numero del 1945, la rivista Newsweek aveva definito il “Balloon mistery”. Un mistero per molti destinato a rimanere tale per effetto della censura. I cittadini, infatti, non devono sapere che l’America e sotto attacco a casa propria. Dietro al “Balloon mistery” ci sono, infatti, i giapponesi che, il 3 novembre 1944, hanno dato l’abbrivio all’operazione “Fu-Go” con l’impiego, su larga scala, della prima arma intercontinentale della storia. La “nuova” arma, battezzata “Vascello del vento”, non ha niente in comune con le V1 e le V2, i razzi tedeschi usati per attaccare l’Inghilterra. Lo strumento impiegato dai giapponesi è, apparentemente, rudimentale, ma per poco non cambia l’esito della guerra. La loro arma segreta è una tutt’altro che banale mongolfiera. L’operazione è stata inizialmente pensata per lavare l’onta subita il 18 aprile 1942 con il raid “Doolittle”, quando 16 B-25 decollati dalla portaerei Hornet erano riusciti a bombardare Tokyo. L’incursione, irrilevante sotto il profilo militare, rappresentò un duro colpo per i giapponesi che ritenevano di non poter essere colpiti sul territorio metropolitano. Per rispondere all’affronto, il 9 settembre 1942, un piccolo idrovolante portato a ridosso della costa americana da un sottomarino, lancia bombe incendiarie sul Monte Emily, in Oregon. Non può bastare. Lo stato maggiore nipponico vuole un’arma in grado di colpire gli Stati Uniti con regolarità. Qualcuno, forse pensa all’operazione “Outwad”, con la quale gli inglesi hanno lanciato contro la Germania nazista decine di palloni armati di bombe incendiarie. Tuttavia, l’impresa di far viaggiare per oltre 6 mila chilometri una mongolfiera è piuttosto complessa. I giapponesi, però, non partono da zero. Nel 1933, infatti, hanno già studiato la possibilità d’impiegare un pallone a fini bellici. Ad occuparsene era stato il tenente generale Reikichi Tada, del Japanese military scientific laboratory. Interrotto nel 1935, il progetto viene rispolverato dal generale Sueyoshi Kusaba e dal maggiore Kiyoshi Tanaka del 9° Istituto di ricerca tecnica militare.

Il primo prototipo è testato nel marzo del 1943, quando un pallone di 6 metri di diametro attraversa il Giappone, percorrendo i mille chilometri che separano la costa orientale da quella occidentale. Il lancio è un successo. L’idea iniziale prevede, infatti, che la mongolfiera venga portata da un sottomarino a circa mille chilometri dalla costa Usa, gonfiato sul ponte e lanciato, previa attivazione del timer per il rilascio di una bomba. Per dare operatività al progetto, tre sommergibili vengono inviati nell’arsenale di Kure per essere sottoposti alle necessarie modifiche.

I lavori sono ad uno stadio avanzato, quando vengono repentinamente interrotti per destinare i battelli al rifornimento delle truppe sparse nell’immenso teatro del Pacifico. Il progetto, però, non viene accantonato. I risultati incoraggianti dei test hanno fatto nascere un’idea ancor più ambiziosa: sviluppare un pallone in grado di affrontare in autonomia l’intero volo intercontinentale. Dal 9° Istituto, si rivolgono all’Osservatorio meteorologico centrale di Tokyo, diretto dal dottor Arakawa, per sapere se esistono venti in grado di spingere una mongolfiera fin sulle coste Usa. I metereologi sono a conoscenza della presenza di una corrente che, nei mesi invernali, soffia sul Giappone tra i 2 ed i 300 Km/h ad un’altitudine di circa 12 Km. Ciò che è del tutto inesplorato, è il comportamento del vento sul Pacifico. Parte, quindi, uno studio che coinvolge sette stazioni meteo e alcune navi incaricate delle osservazioni in mare. Arakawa e il suo staff scoprono i “Fiumi d’aria in rapido movimento" - più tardi ribattezzati "Correnti a getto" - che, tra ottobre e marzo, spirano sul Pacifico al di sopra dei nove chilometri d’altitudine. I dati vengono suffragati dai risultati raccolti da 200 palloni meteo lanciati durante l'inverno 1943/44. A questo punto, gli ingegneri iniziano a lavorare al progetto ancor più alacremente. Gli ostacoli da superare sono molti, a partire da come far rimane in quota la mongolfiera durante la lunga traversata. L’idrogeno usato per gonfiare le sfere è piuttosto instabile. Di giorno, quando la temperatura supera i 30° il pallone rischia di prendere quota ed esplodere. La notte, invece, quando la temperatura scende anche sotto i 50°, la pressione atmosferica si abbassa, il gas si comprime ed il pallone inizia a scendere. Problemi di non poco conto, superati dal maggiore Otsuki, del Noborito research institute, con una soluzione brillante, ovvero una ruota d’alluminio con un dispositivo dotato d’altimetro che rilascia il gas quando il pallone supera gli 11 Km e libera la zavorra quando scende sotto i nove. Una volta caduti i 32 sacchi necessari per completare la traversata, un automatismo sgancia la bomba. La soluzione, efficace, ma troppo pesante, richiede un pallone più grande. I tecnici realizzano, quindi, una mongolfiera di dieci metri di diametro, costruita con carta di gelso tenuta insieme da un collante ricavato da un tubero, il konnyaku-nori. In vista dell’operazione, l’esercito allestisce un apposito Reggimento composto da 2.800 uomini, agli ordini del Colonnello Inoue. Le zone di lancio vengono individuate sulla costa orientale dell’isola di Honshu.

L’ora “X”, scatta alle 5 del 3 novembre, il giorno in cui è nato l’ex Imperatore Meiji. Il lancio della prima arma intercontinentale della storia è accompagnato dal favore del vento. La notte del 4 novembre, infatti, l’equipaggio di una motovedetta della Us Navy ripesca, a circa 60 miglia dalla California, uno strano oggetto dotato di ricetrasmittente. Gli esperti, dopo un primo sommario esame, ritengono si tratti del frammento di un pallone meteo. Nei giorni successivi, però, sono segnalati ulteriori ritrovamenti e alcune misteriose esplosioni. L’11 dicembre, ad esempio, due taglialegna trovano i resti di un pallone dotato di bomba incendiaria a Kalispell, nel Montana, a 475 miglia aree dalla costa del Pacifico. Il 19, invece, una bomba provoca un enorme cratere a Thermopolis, nel Wyyoming. Della vicenda iniziano, quindi, ad occuparsi Fbi e militari. A preoccupare sono soprattutto le bombe incendiarie che potrebbero devastare le regioni forestali lungo la costa occidentale. Per scongiurare il pericolo, viene elaborato il "Firefly project" con il pronto impiego di tremila soldati e la partecipazione della Fourth air force in funzione anti incendio. Quanto gli Stati Uniti prendano sul serio la vicenda, lo dimostra proprio la riattivazione della Fourth air force, ovvero l’unità incaricata della difesa aerea della costa occidentale, posta in riserva nel 1943 con il venir meno del pericolo di un attacco. Inoltre, per scongiurare le conseguenza di un eventuale uso di armi biologiche viene attivato il “Lightning project”, con il coinvolgimento del Dipartimento dell’Agricoltura, incaricato di raccogliere eventuali segnalazioni relative a strane malattie al bestiame o alle colture. Un timore, si scoprirà nel dopoguerra, del tutto infondato, poiché a Tokyo non hanno mai pensato d’impiegare armi non convenzionali. Identificato il pericolo, gli americani devono fare i conti con un altro rompicapo, ovvero la provenienza delle mongolfiere. Inizialmente, ipotizzano siano lanciate da sommergibili in prossimità della costa. Successivamente, sospettano possano essere opera di prigionieri giapponesi rinchiusi nei campi di concentramento della West coast.

In attesa di scoprire l’arcano, le autorità, preoccupate dalle conseguenze del primo attacco aereo della storia subito “at home”, impongono la censura e il 4 gennaio 1945 danno disposizioni affinché non sia data alcuna notizia sulle esplosioni provocate dai palloni. Nel frattempo, viene analizzano il materiale recuperato. Tessera dopo tessera, partendo dal dettaglio più banale, gli esperti riescono a ricomporre il mosaico. A dare la risposta definitiva sulla provenienza dei palloni, sarà l'Us Geological survey, il cui capo mineralogista, Clarence Ross, analizzando la composizione della sabbia contenuta nella zavorra, scopre la presenza di molluschi e organismi microscopici presenti sulla sponda orientale dell’isola di Honshu. I risultati vengono comparati con quelli elaborati dai geologi canadesi i quali, nella zavorra di una mongolfiera caduta sul loro territorio, hanno trovato sabbia prelevata nelle vicinanze di un altoforno. A fugare qualunque dubbio, saranno le ricognizioni fotografiche condotte nelle vicinanze di Ichinomiya, non lontano da Tokyo, dove vengono individuati due dei tre impianti impiegati nella produzione dell’idrogeno destinato ai “Vascelli dei venti”. Parte quindi una campagna aerea che nell’aprile del 1945, culmina nella distruzione di entrambi i siti.

Solo poche settimane prima, una mongolfiera era stata sul punto di cambiare, se non il corso della guerra, sicuramente il suo l’epilogo. Il 10 marzo, infatti, una bomba incendiaria sganciata da un pallone era riuscita a mandare in tilt la centrale nucleare di Hanford, dove, dal dicembre 1944, si produceva il plutonio utilizzato per la costruzione della bomba destinata a Nagasaki. A scongiurare la fusione e quindi l’esplosione dei due reattori, fu il meccanismo di sicurezza che, seppur non ancora testato, entrò regolarmente in funzione, risparmiando agli Stati Uniti il primo disastro nucleare della storia. Solo a guerra finita, gli americani scopriranno i dettagli dell’operazione “Fu-go”, durante la quale erano stati lanciati 9 mila “Vascelli dei venti”, l’ultimo dei quali - del migliaio che si stima siano arrivati a destinazione - è stato rinvenuto nell’ottobre del 2014 in una foresta canadese della Columbia Britannica.

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Medico ricercato dalla giustizia Usa rintracciato in Calabria

Letteralmente "Pill mill" può essere tradotto come “mulino per pillole”, ed è l’espressione usata in Nordamerica per descrivere una struttura illegale che assomiglia a una normale clinica del dolore, ma che prescrive regolarmente antidolorifici (narcotici) senza anamnesi, monitoraggio medico o documentazione.

Le fabbriche di pillole contribuiscono all'epidemia di oppioidi negli Stati Uniti e sono oggetto di una serie di iniziative legislative a livello statale.

E' con tale accusa che, fino a ieri, era ricercato Luigi A. Palma, noto anche come Jimmy Palma, medico oculista, romano d’origine, trasferitosi per 25 anni in Florida, e fermato a Gerace (Rc) ad un posto di controllo dai carabinieri della Compagnia di Locri.

I militari, insospettiti dall’atteggiamento dell’uomo, che viaggiava a bordo di un’auto condotta da un 66enne originario della Locride, hanno proceduto ad un approfondito controllo sul 54enne, scoprendo che sul suo conto pendeva un'ordinanza d'applicazione della misura coercitiva della custodia in carcere, disposta a maggio scorso dalla Corte d’appello di Roma, in seguito al decreto d'estradizione verso gli Stati Uniti emesso dal ministro della Giustizia italiano.

L'uomo, attualmente associato al carcere di Locri, era già stato arrestato una prima volta nel 2018 e scarcerato per decorrenza dei termini della custodia cautelare.

Dal maggio scorso si era reso irreperibile, quando era stato spiccato nei suoi confronti il nuovo ordine d’arresto dalla Corte d’appello capitolina.

È accusato dal Dipartimento di Giustizia statunitense, insieme ad un altro italiano ed a cinque possessori di carta verde, di avere gestito cliniche per la cura del dolore in Florida ed in Tennessee, nelle quali sarebbero stati dispensati illecitamente antidolorifici (ossicodone, ossimorfone e morfina).

In particolare, i pazienti si sarebbero presentati nelle cliniche gestite dalla “Urgent care & surgery center enterprise - Uscs”, nelle quali avrebbero ricevuto i farmaci loro prescritti, una parte dei quali sarebbe stata consegnata agli spacciatori, che avrebbero pagato loro le visite mediche, per rivendere i medicinali nel mercato nero.

Come riportato nell'atto di accusa, il traffico di dodici milioni di dosi di narcotico spacciate in sei anni sotto forma di farmaci per il doloreha generato profitti per 21 milioni di dollari e “circa 700 pazienti aziendali Ucsc sono morti e una percentuale significativa di quei decessi, direttamente o indirettamente, sono stati il ​​risultato di un sovradosaggio di stupefacenti prescritti.

 

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Coronavirus, tre cittadini Usa fanno causa all'Oms: avrebbe coperto la pandemia

Le dichiarazioni del presidente Usa, Donald Trump, contro l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno sortito un primo effetto: tre cittadini di New York hanno fatto causa all’organizzazione in orbita Onu, ritenendo che questa avrebbe coperto la pandemia.

Al momento sarebbe la prima azione legale contro l'Agenzia internazionale, e la causa avviata in un tribunale federale di White Plains, nella contea di Westchester.

Secondo i tre cittadini americani, la colpa principale sarebbe la grave negligenza per la gestione e risposta al Covid-19.

È possibile leggere nell’atto introduttivo che l’Oms «Ha gestito male la risposta al virus e le informazioni, impegnata in un insabbiamento della pandemia in Cina e ha contribuito o causato la successiva diffusione del virus in tutto il mondo, compresi gli Usa e lo stato di New York».

I soggetti che si ritengono danneggiati si chiamano Richard Kling, di professione medico, Steve Rotker e Gennaro Purchia.

In particolare, Kling e Rotker sono di New Rochelle, il primo focolaio dell'emergenza nello Stato federale più colpito dall’emergenza.

Un’iniziativa che per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, al contrario del possibile clamore, si rivelerà molto probabilmente un «buco nell’acqua», così come riferito dai giuristi statunitensi, stante «l'immunità funzionale» concessa all'Oms in tali casi, dalla stessa legge americana.

Coronavirus: a New York scavata un’enorme fossa comune

Con il dilagare del coronavirus, a New York è stata scavata un'enorme fossa comune destinata alle vittime.

Le immagini, scattate da un drone, mostrano gli operai al lavoro nel cimitero di Hart Island, di fronte al Bronx.

La fossa, nella quale sono state deposte molte bare, accoglierà coloro i quali non possono permettersi un funerale o il cui corpo non è stato reclamato da nessuno.

In situazioni ordinarie, nel cimitero, destinato ad accogliere le spoglie delle persone senza parenti o che vivono ai margini della società, vengono sepolti 25 feretri alla settimana. Un compito che spetta ai detenuti del carcere di Rikers Island.

Questa volta, invece, l'amministrazione cittadina ha dovuto assumere decine di lavoratori a contratto.

La stima è che le fosse accolgano venti defunti al giorno, cinque giorni alla settimana.

Ecco il video: https://youtu.be/r0GZroqkX5Q

Neonato ucciso dal coronavirus negli Stati Uniti

Un bimbo di appena sei settimane è morto a causa del coronavirus. È accaduto in Connecticut, negli Usa.

A confermare la notizia, anticipata dai media locali, il governatore dello stato, Ned Lamont sul suo account Twitter.. "Riteniamo che sia una delle vittime più giovani", spiega Lamont, che ha poi rivolto un pensiero allo strazio dei familiari. "Il virus attacca i più fragili - la conclusione del governatore - E questo mostra l'importanza di stare a casa e limitare l'esposizione ad altre persone".

Le autorità dell'Illinois hanno annunciato sabato la morte a Chicago di un bambino di nove mesi, la persona più giovane conosciuta per essere morta a causa del virus negli Stati Uniti.

Negli Usa, intanto, è allarme per l'elevato numero di persone sotto i 40 anni colpite dal virus.

Nello stato di new York il 20 per cento dei pazienti ricoverati in ospedale ha meno di 44 anni, a Filadelfia si calcola che il 56 per cento dei contagi sia tra persone sotto i 40 anni.

Coronavirus, vaccino: negli Stati Uniti il primo test sull'uomo

E’ iniziata oggi la sperimentazione sull’uomo di un vaccino contro il coronavirus.

La notizia, diffusa dall’Associated press, arriva dagli Stati Uniti, dove i ricercatori del Kaiser Permanente Washington Research Institute di Seattle hanno avviato i primi test su un volontario di 45 anni.

Se l’esperimento andrà bene, i test saranno allargati per provare l’efficacia del vaccino. 

Tuttavia, anche se i risultati dei test dovessero essere positivi, per avere un vaccino bisognerà aspettare dai 12 ai 18 mesi.

Paul Morreale, il figlio del muratore calabrese diventato giudice e grande avvocato negli Stati Uniti

Paolo “Paul” Morreale  nacque a Reggio Calabria, in via Pantano, il 28 marzo 1904, da Antonio (cinquantatreenne “muratore”) e Carolina Oliverio (“filatrice").

La famiglia Morreale giunse ad “Ellis Island” nel 1908 e stabilì la residenza nella cittadina si Middletown, Contea di Orange, nello Stato di New York.

Paul sin da ragazzino aiutò in ogni modo la famiglia. Alternò ai piccoli lavori lo studio. Di viva intelligenza e grazie al sacrificio dei propri genitori poté studiare.

Si laureò in giurisprudenza alla “ Union College - Albany Law School” nel 1929. Già l’anno successivo fu ammesso alla professione di avvocato. Divenne, in breve, il riferimento di gran parte degli italo-americani.

Nel 1936 divenne giudice ordinario del tribunale della città di Middletown. Dal 1934 al 1936 fu “ Past treasurer” del “Republican City Commitee” di Middletown. Fu commissario repubblicano per la città di Orange. Fu Presidente dell’Horton Memorial Hospital di Middletown.

Con un altro grande avvocato avviò uno dei più apprezzati studi legali il “Bull & Morreale” che successivamente divenne il “Bull, Morreale & Judelson”.

Ricoprì il ruolo di “Planning Board Chairman” di Middletown e della intera Contea. Fu Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Middletown e della Contea di Orange. Sotto la sua guida in tanti si formarono professionalmente.

Tra i questi il famoso Giudice Angelo John Ingrassia lo riconosceva come suo “mentore” e diceva: “mi diede il mio primo lavoro come avvocato e mi insegnò a seguire, sempre, i sogni”.

*Presidente onorario "Ambasciatori della fame"

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