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L'unione civile può essere utile, ma non è un matrimonio

 Si legge che due signori, entrambi maschi, hanno contratto unione civile; i giornalisti disinformati chiamano ciò matrimonio senza che lo sia.

Fin qui, nulla di nuovo, stando alla legge Cirinnà. La novità è che entrambi hanno dichiarato di non provare alcun reciproco sentimento se non una sana amicizia, e tanto meno di essere portatori di tendenze tali da praticare, durante tale loro unione, degli atti erotici l’un l’altro.

Ciò premesso, e chiarita dunque la natura asessuata del rapporto, ha approfittato della legge per regolarizzare una convivenza di mutuo soccorso. D’ora in poi, oltre a dividere le spese, avranno diritto ad assistersi in caso di ricovero ospedaliero, e quant’altro.

 Ecco un caso che i giuristi chiameranno “de iure condendo”: la legge Cirinnà, varata per ragioni di amori omosessuali, sta diventando forse la risposta a delle esigenze create dalla società parcellizzata e individualistica. La casistica di persone sole è assai variegata: vedovi senza figli o con figli lontani; scapoli e nubili ormai anziani e con sempre minori occasioni di socialità; anziani in genere, bisognosi di sostegno; persone di ogni età che per qualche ragione vivono lontane dalla residenza; e quant’altro… Creare convivenze potrebbe essere una soluzione a questo problema sociale.

 Le convivenze però non possono essere affidate ai sentimenti, i quali per loro natura sono volatili e mutevoli, e muoiono come nascono. Come per l’amore in senso classico – un uomo e una donna – così tutte le altre eventuali forme di convivenza devono in qualche modo essere codificate. Lasciamo dunque ogni riferimento sessuale, e studiamo questa nuova fattispecie di struttura sociale.

 Nuova? Beh, è antica quanto il mondo. Per evitare confusioni e sofismi, non parlerò qui delle famiglie diverse da quella mononucleare; ma di forme di convivenza ben note, quali caserme e conventi.

 Una caserma è una convivenza di militari che, o costantemente, o anche solo nell’esercizio delle funzioni, hanno tutti una sola residenza, un solo domicilio, una sola utenza elettrica con bolletta unica che arriva al colonnello e non a ogni singolo militare. Tutti i militari della caserma devono rispettare un comune regolamento circa orari, igiene, cibo… Se un soldato si ammala in ospedale, il colonnello può mandare un ufficiale medico a chiedere notizie.

 In un convento, i monaci hanno tutti lo stesso domicilio, e la stessa bolletta… Se incassano dei soldi per qualsiasi motivo, li versano in una cassa comune, che viene amministrata da un solo priore. Obbediscono a una regola non solo spirituale ma quotidiana. Se un monaco si ammala in ospedale, il priore può mandare un monaco a chiedere notizie.

 La novità sono le convivenze volontarie: due o più persone che, sole per qualsiasi circostanza della vita, si accordano per avere lo stesso domicilio e per delle spese comuni. Un ovvio vantaggio, se si pensa solo agli affitti e quote condominiali e utenze. Se uno si ammala in ospedale, l’altro può andare a chiedere notizie.

 Non è un caso di scuola, è un’evenienza sociale abbastanza diffusa. La giurisprudenza dovrebbe studiare meglio la questione, e regolarla con tutti gli aspetti del caso. Ciò sarà più facile, se si smetterà di parlare di matrimonio per una fattispecie che matrimonio non è; ed è una casta unione civile, spesso molto utile.

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Unioni civili e obiezione di coscienza, Forza Nuova attacca Callipo: “È un sindaco confuso”

In merito alle dichiarazioni del sindaco di Pizzo Gianluca Callipo concernenti l’intenzione di alcuni sindaci di appellarsi all’obiezione di coscienza per non procedere con le unioni civili, il segretario provinciale di Vibo Valentia di Forza Nuova Edoardo Ventra dichiara quanto segue:

Il primo cittadino Callipo, in merito all’approvazione delle unioni civili ed al susseguente problema morale che molti suoi colleghi si sono posti, ha recentemente dichiarato che: “un sindaco che si rifiuta di applicare la legge, appellandosi strumentalmente all'obiezione di coscienza, nega il proprio ruolo di pubblico ufficiale”. Inoltre è arrivato a tacciare, questi eventuali obiettori, di essere persino dei razzisti. Noi di Forza Nuova vogliamo ricordargli come questi “razzisti” facciano parte della sua stessa comunità spirituale (quella cattolica) e nel caso del sindaco Barillaro addirittura anche della sua stessa fazione politica. Tutti razzisti? Certo che no! Pensiamo più che altro che sia il sindaco Callipo ad essere un “sindaco confuso”. Confuso come cattolico, contravvenendo apertamente ai dettami morali della sua stessa religione. Confuso come pubblico ufficiale, in quanto ogni struttura giuridica (eccetto per i magistrati) prevede l'obiezione di coscienza che è un diritto per ogni essere umano. Il culmine della suddetta “confusione” poi lo possiamo trovare nell’altra sua affermazione, dove dice: “complice anche il clima da campagna elettorale perenne, sulle unioni civili stiamo ascoltando dichiarazioni assurde senza che ci sia una reazione all'altezza”. Vorremmo sapere cosa intenda il sig. sindaco “per reazione all’altezza” e a quale clima di campagna elettorale si riferisca, essendo stato proprio un sindaco del suo stesso partito a sollevare il problema. Per Forza Nuova, queste dichiarazioni, non sono altro che da considerarsi come l’ennesima e mal riuscita operazione propagandistica del primo cittadino, intento più che altro a far parlare di se e della città di Pizzo per queste discutibili argomentazioni. Il signor sindaco invece dovrebbe rendere pubbliche scuse ai sindaci e a tutta la comunità cattolica, tacciati di razzismo, per il semplice motivo di aver invocato il loro diritto di essere obiettori e per essersi opposti all’applicazione di una norma ritenuta moralmente ingiusta e sovvertitrice della legge naturale e divina! Purtroppo, di queste “politiche confuse”, ne sta subendo le nefaste conseguenze la nostra città, vista la derivante mancanza di una politica sana, che tuteli il vero bene comune: l’ambiente, la salute, il lavoro e non ultima la famiglia.

Pizzo. Callipo contro i sindaci che boicottano le unioni civili: "Venite da noi"

"Le coppie gay che vogliono suggellare il proprio amore anche dinnanzi alla legge possono venire a Pizzo, per me sarà un onore indossare la fascia tricolore e applicare la nuova normativa in materia di unioni civili". È un appello carico di significati quello lanciato dal sindaco di Pizzo, Gianluca Callipo, che risponde così indirettamente alle recenti prese di posizione di alcuni primi cittadini, che anche nel Vibonese hanno annunciato la loro intenzione di non voler celebrare mai "matrimoni" tra persone dello stesso sesso, nonostante la recente approvazione della nuova normativa. "Trovo inconcepibile che nel 2016 si continui a opporre una resistenza ideologica e bigotta a quella che è semplicemente una questione di civiltà - continua Callipo -. Finalmente l'Italia ha fatto quel passo avanti che l'Europa, ma anche semplicemente il buonsenso, ci chiedeva da tempo. Nonostante ciò, c'è ancora chi cerca di ghettizzare gli orientamenti sessuali delle persone, relegandole in un'area di clandestinità giuridica e negando quella piena legittimità che oggi anche la legge italiana giustamente riconosce. Un sindaco che si rifiuta di applicare la legge, appellandosi strumentalmente all'obiezione di coscienza, nega il proprio ruolo di pubblico ufficiale. È qualcosa di assolutamente inconcepibile, perché giustifica indirettamente anche gli atteggiamenti più discriminatori e pericolosi. Mi chiedo cosa accadrebbe, ad esempio, se un sindaco con convinzioni razziste si rifiutasse di celebrare un matrimonio misto oppure tra due persone che hanno una fede religiosa diversa. Ovviamente un comportamento di questo tipo sarebbe stigmatizzato con forza e non troverebbe alcun tipo di giustificazione. Invece, complice anche il clima da campagna elettorale perenne, sulle unioni civili stiamo ascoltando dichiarazioni assurde senza che ci sia una reazione all'altezza. Ebbene, noi non la pensiamo affatto come i sindaci che si sono affrettati a prendere le distanze dalla nuova normativa. Chi vorrà scegliere la nostra città per coronare il suo progetto di vita sarà sempre il benvenuto". Un atteggiamento di grande di apertura, che non rappresenta certo una novità per l'amministrazione Callipo, come dimostra il video di promozione territoriale, "A kind of magic", patrocinato dal Comune in occasione di Expo 2015. Un cortometraggio di grande suggestione, che oltre ad esaltare le bellezze paesaggistiche e architettoniche della città, ruotava intorno alla delicata storia di due ragazze che proprio a Pizzo si erano innamorate.

 

Unioni civili e lezioni di diritto romano

Nei tempi più arcaici, il diritto romano conosceva solo una fattispecie di matrimonio, quello detto confarreato. Era proprio ed esclusivo dei “cives”, cioè i patrizi; aveva carattere sacro, con una serie di complesse cerimonie (nuptiae), tra cui il rapimento della ragazza come le Sabine e la “suovetaurilia”, sacrificio di toro, maiale e pecora; imponeva la convivenza nella casa del marito (“uxorem ducere” domum); e comunanza di vita (“ubi tu Caius, ibi ego Caia”); ne nascevano figli legittimi, e che erano i soli a essere legittimi e avere un “nomen”, cioè personalità giuridica, e unici a esistere; la moglie era “in loco filiae”, sottoposta al “paterfamilias” come i figli. Nel diritto arcaico i plebei e gli schiavi non detengono alcuna personalità giuridica, e i loro rapporti familiari (“connubia”) sono “more ferarum”, come gli animali. Il diritto romano va sempre preso alla lettera, in quanto formulare; ma con calma, con buon senso, sempre caso per caso. Il matrimonio confarreato, infatti, apparve presto troppo impegnativo; e intanto i plebei ottenevano l’equiparazione dei diritti, il che, sulle prime, comportava che i plebei facessero come i patrizi; ma ben presto fecero i patrizi come i plebei; e si diffuse la pratica del matrimonio civile, divenuto poi prassi. Dice Tacito che ai tempi di Tiberio non si trovarono nell’Urbe tra fanciulli “confarreati” per una cerimonia che li richiedeva. Era accaduto dunque un processo di laicizzazione della società romana; e siccome la legge romana regola l’esistente e non deve fare altro, la legge lo regolò. Cicerone, Cesare, Pompeo non avevano sacrificato tori e maiali e pecore; e, infatti, sono ben noti i loro divorzi. Bastava che la donna trascorresse una notte fuori casa, ed era fatta: immaginate le conseguenze. Successe di tutto: Catone Uticense divorziò da Marzia per farla sposare a un amico; ma quando lei non si trovò comoda, se la risposò. Mirandum, ovvero Beautyfull. C’erano poi, in età imperiale, coppie di fatto, però legalizzate, come quella di sant’Agostino. La donna, di condizione inferiore, poteva essere ripudiata, ma non abbandonata. La sacralità del matrimonio venne riaffermata dal cristianesimo, con l’affermazione che è un sacramento di cui gli sposi sono ministri e il sacerdote testimone. Ciò non toglie che si formassero altre fattispecie di unione, dalle convivenze di fatto alla schiavitù temporanea. Con questo istituto, abilmente manovrato dai giudici, gli Inglesi popolarono America del Nord e Australia: delle donne venivano condannate, poi si offriva loro di fare le schiave a tempo, e a tutto servizio. Nell’Europa cristiana, solo i figli nati da matrimonio erano legittimi, ma la storia è piena di Manfredi e Selvaggia e Ferrante I e Giovanni d’Austria e Waleski; e c’erano anche modalità di legittimazione dei “bastardi”. Proprio così chiamati: Renato di Savoia, vissuto tra il 1468 e il 1525, fu un personaggio importante, ed era chiamato il Gran Bastardo di Savoia! E molti patrioti americani dei primi decenni erano figli o nipoti di casa reale britannica! Le navi inglesi brulicavano di figli spuri di qualche ammiraglio o lord. Tutto questo, per la storia dei nobili. I plebei, si arrangiavano. In mancanza di leggi, e anzi con Napoleone la condizione degli illegittimi peggiorò moltissimo, vigevano le consuetudini: i proprietari terrieri che avevano una famiglia legittima e due o tre in campagna, non trascuravano i “muli”, cui trovavano una collocazione economica e sociale. Accadeva spesso che i parroci convincessero, in articulo mortis, a legittimazioni di coscienza; un’occhiata ai cognomi dei paesi… Oggi, lo si voglia o no, le situazioni di fatto sono complicate dalla realtà, ed è inutile fingere di non vedere. Se ci fosse buon senso, basterebbe un contratto di convivenza a tempo; ma s’infila l’ideologia, e tutto si complica. Quanto alla Chiesa, secondo me può fare solo una cosa seria: affermare che solo il matrimonio è matrimonio, e che le altre forme di convivenza non lo sono, e tanti saluti, e non si discute. Ma ieri sentivo per radio due cattolici, uno anche teologo, che se ci fosse il Nobel per l’arrampicata sugli specchi glielo darebbero ogni mese! “Per dare ragione a tutti, siete un uomo”, dice don Rodrigo all’Azzegarbugli. E invece, mentre riconosco che una legge ci vuole, ricordo alla Chiesa il “Sì, sì; no, no”, con il corollario, “il resto viene dal demonio”.

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Unioni civili e stepchild adoption, Mangialavori (FI): "I desideri non possono diventare diritti"

"Unioni civili e stepchild adoption - Riflessioni a confronto" questo il titolo dell’iniziativa che si è svolta ieri a Vibo su iniziativa di Forza Italia - Dipartimento diritti umani e libertà civili della Calabria. Una manifestazione che ha registrato diversi momenti di accesa dialettica e viva attenzione dai partecipanti. La prima a prendere la parola è stata Anna Maria Giofrè, responsabile provinciale del Dipartimento che ha introdotto l’argomento in discussione. A seguire, Maria Josè Caligiuri, responsabile regionale del dipartimento che ha messo in luce la posizione di Forza Italia su tali temi. È stata poi la volta di Lavinia Durantini presidente dell’Arcigay di Cosenza che ha motivato con dovizia di argomenti le ragioni in favore delle unioni civili e della stepchild adoption. Brillante, l’intervento di Nino Spirlì che si è caratterizzato per la sua verve e per l’originalità del taglio. Spirlì ha proposto una lucida visione laica dei rapporti sentimentali e la necessità che lo Stato s’interessi poco o nulla ai rapporti affettivi fra la gente. Contrarietà è stata espressa in merito alla stepchild adoption. Il presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Alberto Nicola Filardo ha messo in luce il profilo giuridico delle vicende in esame. La psicologa e psicoterapeuta Gabriella Zaccuri ha relazionato sulla base di dati approfonditi tratti dalla sua esperienza e competenza professionale. Dal canto suo, Don Francesco Vardè, pubblico ministero presso il Tribunale ecclesiastico presso Reggio Calabria e parroco della concattedrale Santa Maria Assunta di Nicotera ha messo in evidenza come, su questi temi, sia necessario un forte richiamo ai valori del Cristianesimo. Le conclusioni sono state affidate al consigliere regionale azzurro Giuseppe Mangialavori, il quale si è mosso su due piani. Per quanto riguarda le unioni civili ha dichiarato: "Il Ddl Cirinnà non ignora giuridicamente l’unione di persone fra lo stesso sesso e, al contempo, non le equipara al matrimonio. Un dato dai tanti risvolti che meritano adeguati approfondimenti". Contrarietà netta sulla stepchild adoption: "I desideri - ha affermato - non possono diventare diritti. E i genitori A e B non possono sostituire una mamma e un papà". I lavori sono stati moderati dal giornalista Salvatore Berlingieri.

 

 

Monsignor Morosini scrive ai giovani: "Sulle unioni civili non cedete al pensiero dominante"

Il Parlamento italiano ha iniziato la discussione e votazione in aula di una legge, che riguarda la famiglia e l’adozione dei figli. Una legge "che turba le nostre coscienze di credenti. Una legge che trova disorientati soprattutto voi più giovani, che sentite forti le due realtà: coerenza nella fede, apertura ai cambiamenti in atto nella società". L’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, scrive ai giovani della diocesi per “parlare con voi e aiutarvi a cercare la verità, a non dare per scontato che tutto ciò che si dice attorno a noi sia pura verità". Nella lunga lettera il presule calabrese invita i giovani a riflettere sui temi al centro del dibattito "in silenzio": "la verità si cerca in solitudine, nel profondo del cuore, dove le decisioni sono più autentiche e più motivate. Dobbiamo chiudere la porta sul vociare esterno: troppo chiasso, troppi rumori attorno a temi così vitali e capitali per il futuro della nostra società. Un accavallarsi di voci non sempre autentiche, non sempre libere, non sempre sincere. Non vi dico nulla di nuovo se vi esorto a stare attenti alle manipolazioni che i centri di poteri, occulti e meno occulti, tentano di fare delle vostre coscienze attraverso i media". Come pastore mons. Morosini invita a “fare leva sulla vostra libertà di adesione alla Chiesa che rappresento e della quale sono guida. La fede è libertà, anzi – spiega – la massima espressione della libertà dell’uomo. Ma proprio perché espressione di libertà, essa, una volta accolta ed accettata, esige fedeltà e coerenza”. La religione, evidenzia, non deve essere “un ufficio burocratico al quale rivolgersi per la soddisfazione di alcuni bisogni religiosi, legati al fattore culturale: “se avete scelto di credere e di aderire alla fede e alla chiesa cattolica, dovete agire di conseguenza”, scrive il presule che, richiamando i temi della discussione oggi in parlamento evidenzia che “non possiamo ignorare che Gesù nel Vangelo ha affermato il valore naturale del matrimonio, fondato sull’amore di un uomo e di una donna: un amore totale, esclusivo, indissolubile, aperto alla procreazione. Posizione ribadita da Papa Francesco e dal Patriarca ortodosso di Mosca Kirill. Chi professa la fede cristiana deve accettare tutto questo. Perciò tutte le altre unioni non possono essere accettate, se equiparate al matrimonio". "Non basta dire – scrive – che sono fondate anch’esse sull’amore di due persone. Il matrimonio per essere tale deve essere fondato su di un amore fecondo, capace cioè di procreare la vita. E non si può dire che è egualmente fecondo, se i contraenti, per avere figli, si affidano a pratiche riproduttive che sono contro natura e non esprimono il valore dell’intimità dell’amore, che rende capaci l’uomo e la donna di collaborare con Dio alla creazione della vita". Non c’è nulla da “eccepire che lo Stato legiferi in tal senso, regolando i rapporti tra persone che vogliono mettersi assieme”; ma va affermato con “chiarezza che questo riconoscimento non deve equiparare, in alcun modo e per qualunque titolo, tali unioni al matrimonio. Ciò non vuol dire negare diritti alle minoranze. Queste, però, non possono rivendicare diritti che li pongono fuori dell’ordine della natura”. E poi l’adozione dei figli: “noi crediamo che ad ogni bambino che nasce deve essere garantito un padre e una madre". "Sappiamo – continua il presule - che per disgrazia o per morte di uno dei genitori, un bimbo si possa trovare orfano di uno dei due genitori o di entrambi, e quindi affidato ad una o più persone, che possano prendersi cura di lui. Ma i casi eccezionali non devono essere presi a parametro per decidere di annullare lo scorrere ordinario della vita. Né si dica che è la scienza psicologica a sostenere come legittima e senza danni per il bimbo l’adozione da parte di due persone dello stesso sesso. Ci sono tanti altri, che, in nome della stessa scienza e con studi ben articolati, dicono il contrario". Nella lettera il presule calabresi si sofferma poi sulla maternità e paternità surrogate evidenziando che una volta dichiarata l’unione tra due persone dello stesso sesso alla pari del matrimonio naturale il rischio è la "rivendicazione" anche del diritto di avere un figlio, "ritornando alla natura della relazione uomo-donna, ma chiedendo la disponibilità materiale a pagamento o meno: l’utero in affitto, le banche dei semi. “Pensate che l’utero in affitto, la maternità surrogata ecc. siano moralmente accettabili dal punto di vista naturale? Pensate che la dignità della donna sia salvaguardata? Pensate che la sacralità della vita umana sia rispettata?", si chiede il presule che esiste “non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è moralmente lecito. La centralità della persona umana, la sua dignità, il suo 'benessere' esistenziale devono essere salvaguardati sempre".

Francesco, il papa che non è arcobaleno

Ammettiamolo pure che finora qualche parola di papa Francesco aveva incoraggiato tutti i progressisti di ogni risma: i fanatici del Concilio, i convinti che il cristianesimo sia nato due anni fa, i radical chic, i buonisti eccetera. E ammettiamo pure che anche l’altra parte, i tradizionalisti, stava sulle spine… Comunque, la cultura liberale e di sinistra aveva arruolato Bergoglio in prima linea di quello che una volta si chiamava cattocomunismo; e aveva inteso come eversione della tradizione e delle regole ogni accenno a sentimenti come la misericordia.  E ora? E ora il papa ha dichiarato essere una sola la famiglia, quella “voluta da Dio”, cioè quella naturale, formata da un uomo e da una donna e sposata, quindi niente convivenze e tanto meno coppie omosessuali. Non è famiglia qualsiasi incontro tra qualsiasi persona, ma solo quella della Dottrina. Come la mettiamo? Ora i progressisti sono liberissimi di pensarla come vogliono, ma non di far credere che come loro la pensi anche il papa. Viva la chiarezza, che sarebbe come dire che A = A e solo A; perciò A è diverso da B, da C e da qualsiasi cosa che somigli ad A ma non lo sia.  Ebbene, cos’è il matrimonio? Così lo definisce san Tommaso d’Aquino: Procreatio prolis, mutuum auxilium, remedium concupiscientiae; ovvero: figli, sostegno reciproco, regolamentazione della sessualità. Non parrà una definizione romantica, a molti, ma l’Aquinate visse nel XIII e non nel XIX secolo; e poi, con il romanticismo, succede che due si amino, poi non si amino, poi si tornino ad amare… Mica si può combinare così un matrimonio o una qualsiasi umana attività, fidandosi dei sentimenti. Sarebbe come dire che un pilota d’aereo deluso in amore si suicida con tutto l’areomobile: non è fantasia, è successo davvero. Ergo, se uno è psichicamente fragile, scriva poesie ma non piloti aerei. Con tutto questo e quant’altro, secondo me occorre una legge che regolamenti le convivenze. Come? Ma come si è sempre fatto. Cos’è una caserma dell’esercito se non una convivenza? E la bolletta della luce non arriva a ogni singolo guerriero, ma una sola per tutti, e la deve pagare il colonnello. Lo stesso per un convento. E se un soldato o un frate si ammalano in ospedale, il colonnello o il priore devono chiedere notizie ai medici, e i medici sono obbligati a rispondere. Ma se il priore o il colonnello vanno a chiedere notizie di X che non sia né frate né soldato, i medici sono obbligati a non rispondere. Perciò ci dev’essere un elenco ufficiale dei soldati, sottufficiali e ufficiali della caserma e dei frati del convento, depositato in un archivio ufficiale e da esibire in sede legale. In questa definizione non è compreso se i militari siano o no tutti eroici e disciplinati, o se i frati la sera preghino o non piuttosto pecchino: sono categorie non regolabili per legge. Non so se sono stato chiaro. Se io ho esigenza di trascorrere dei mesi fuori dal mio domicilio familiare e paese, e perciò affitto un appartamento assieme a un amico parimenti necessitato, bisogna chiarire per iscritto come pagheremo gas e luce e pigione, eccetera; e questo per prevenire fastidi e liti. In ciò non è compreso se resteremo solo amici, oppure… Ma vi assicuro che non ho questa intenzione.

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Unioni Civili a Reggio: grottesco invocare la scomunica dell’Arcivescovo

Sì, nel 2015, ci sono persone e movimenti che invocano la scomunica nei confronti di pubblici amministratori "colpevoli" di aver acconsentito all'adozione del Registro delle Unioni Civili in una città italiana. Episodi che sarebbe semplice derubricare a ridicoli scivoloni, ma che meritano qualche riga soltanto perché superano abbondantemente la soglia accettabile del buonsenso. Teatro della querelle è Reggio Calabria dove il Centro Studi Tradizione e Partecipazione si è lanciato in una spericolata operazione tesa a tirare dalla tonaca Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, dal luglio del 2013 Arcivescovo in riva allo Stretto dopo aver assolto per cinque anni al ruolo di guida della diocesi di Locri-Gerace. Animatore e presidente del movimento di estrema destra in questione è Giuseppe Agliano, scopellitiano di ferro e lesto a rispondere "Presente" all'appuntamento dello scorso 28 febbraio in Piazza del Popolo a Roma, quando Matteo Salvini ha convocato il suo popolo per iniziare a mettere radici anche nelle, un tempo ostili, terre al di sotto del Po. Un modo come un altro, per Agliano, per certificare l'esistenza in vita di un'area, quella che fa capo a Giuseppe Scopelliti, allo sbaraglio nell'ultimo anno dopo la condanna a sei anni inflitta in primo grado all'ex presidente della Regione e la successiva bocciatura elettorale in occasione delle Europee celebratesi il 25 maggio. "Da qualche giorno - scrive ironicamente Agliano - Reggio è diventata città civile e moderna. Fino a giovedì scorso non c’eravamo accorti di vivere in un villaggio di cavernicoli barbuti, con la clava in una mano e con l’altra impegnati a trascinare le donne dai capelli". "Ora - continua il comunicato utilizzando un tono sarcastico - siamo invece dei reggini civilizzati perché approvare il Registro delle Unioni Civili, atto illegittimo ed inutile, ci ha reso un popolo più avanzato e al passo con i tempi, in cui tutto funziona perfettamente. Noi adesso viviamo in una città civile e moderna, una città dove può accadere tutto ed il contrario di tutto senza che nessuna coscienza “istituzionale” si senta disturbata". Proseguendo nella lettura della nota, ci si imbatte nell'inevitabile richiamo alla "sacralità della famiglia", prima di essere colpiti dalla stoccata finale. "Ci auguriamo, tuttavia, che - ecco il colpo di scena che lascia senza fiato gli ignari spettatori della memorabile interpretazione delle dinamiche sociali da parte di Agliano - almeno Sua Eccellenza l’Arcivescovo, dopo aver “battezzato” la Giunta comunale in quel di Santa Venere, dopo aver “raccomandato” questi moderni e civili amministratori alla Santa Patrona nel corso della Processione settembrina della Sacra Effige, dopo aver provato a “responsabilizzare” il Primo Cittadino attraverso il rito della Confermazione, si renda conto davvero con chi ha a che fare e, almeno li scomunichi”. Limitandosi a riportare fedelmente la definizione contenuta nell’Enciclopedia Treccani, è opportuno ricordare che la scomunica è la “censura ecclesiastica che esclude il battezzato dalla comunione dei fedeli, vietandogli, in particolare, di amministrare e ricevere i sacramenti. Presuppone una grave responsabilità morale, cioè un peccato grave, tale da compromettere l’unione con la Chiesa, corpo mistico di Cristo”. E ancora, per meglio specificare il concetto e comprendere l’abnormità dell’appello rivolto dal Centro Studi all’Arcivescovo, è bene ricordare che “La scomunica è la più grave delle censure ecclesiastiche poiché comporta l’esclusione dalla comunione ecclesiale acquisita mediante il battesimo”. Andando brevemente a ritroso nel tempo, salta alla mente che il 21 giugno del 2014, Papa Francesco, in visita pastorale in Calabria colse l’occasione per scomunicare i criminali affiliati alla ‘ndrangheta. Prendere coscienza che, a distanza di undici mesi, qualcuno chiede che la medesima pena sia applicata ai consiglieri comunali di Reggio macchiatisi del “grave peccato” insito nell’approvazione del Registro delle Unioni Civili, lascia intuire che la misericordia, cui è dedicato il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco, sia un moto dell’anima che tutti, credenti e non, abbiamo la necessità di alimentare con costanza, soprattutto verso coloro che camminano lungo il sentiero pericoloso tracciato dal fantomatico “Modello Reggio

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